Ago 092018
 

Lina-Wertmüller-Seven-Beauties-1977

Chissà se la predilezione per i titoli lunghi deriva dal suo nome anagrafico, Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Español von Brauchich? Uno per tutti? Film d’amore e d’anarchia ovvero: stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza… (1973). In realtà, le remote ascendenze nobiliari svizzere poco hanno in comune con “una ragazza romana che ne ha fatte di tutti i colori”.

Nata a Roma il 14 agosto 1928, già alle elementari è una ragazzina vivacissima e quando cresce le capita di essere cacciata da ben undici scuole, finché a diciassette anni trova quella a lei più congeniale: l’Accademia d’arte drammatica “Pietro Sharoff”, regista russo allievo di Stanislavskiy. Ancora giovanissima collabora con la “Compagnia dei Giovani” di Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Romolo Valli e Anna Maria Guarnieri per poi approdare nel mondo del cinema dalla porta principale come aiuto regista di Federico Fellini per La dolce vita (1960) e 8 ½ (1963). E’ stata la sua amica del cuore, l’attrice Flora Carabella, poi moglie di Marcello Mastroianni, a farle conoscere Fellini. “Stare con lui era come trovarsi davanti a una finestra aperta su mondi sconosciuti”.

Con I basilischi (1963) firma il suo esordio alla regia raccontando con affettuosa ironia pregiudizi e aspirazioni di giovani “vitelloni” scovati per le strade di un paesino del sud. Il film si aggiudica la “Vela d’argento” al Festival di Locarno. E’ solo l’inizio di una lunga serie di successi che la porterà a conquistare ben quattro nomination agli Oscar per Pasqualino Settebellezze (1975), compresa quella come miglior regista. In tutta la storia del cinema, è la prima volta che una regista donna ottiene tale prestigioso riconoscimento. La sua popolarità varca i confini nazionali tanto che a San Francisco un tassista, riconoscendola, la saluta ammiccando “bottana industriale”, preso in prestito da un Giannini rivoltoso contro la capitalista del nord Melato in Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto (1974), film apprezzato da Martin Scorsese e da Henry Miller (per erotismo e umorismo gli ricorda il suo “Tropico del Cancro”).

giancarlo-giannini-lina-212570Anche se rimarrà sempre attratta dal teatro, se ha scritto commedie musicali per la mitica coppia Garinei-Giovannini o realizzato spettacoli televisivi (come la fortunatissima serie de Il giornalino di Gian Burrasca, otto puntate tra il 1964 e il 1965), il cinema è la sua più grande passione: “In Italia la letteratura del Novecento è stato il cinema, con tutti quei grandi registi che hanno saputo cogliere gli aspetti più importanti della nostra cultura”. E questo apprezzamento si estende agli attori, con molti dei quali forma un duraturo sodalizio artistico: da Giancarlo Giannini a Mariangela Melato o a Sofia Loren, che dirigerà in ben quattro film, a cominciare da Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova, si sospettano moventi politici (1978), passando per Francesca e Nunziata (2002), fino a Peperoni ripieni e pesci in faccia (2004), un’altra storia ambientata nella suggestiva cornice del mare di Napoli, la città che ama tanto e che nel 2015 l’ha omaggiata col titolo di cittadina onoraria.

Indomita pioniera, quando è sul set guida la troupe con il piglio del più implacabile dei condottieri, da dietro i suoi immancabili occhialini bianchi che colpirono così tanto Woody Allen da proporle un cameo in Io e Annie (progetto non andato in porto per impegni di lavoro della Wertmüller). Il primo giorno di riprese di Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972) redarguì duramente Giannini perché, durante una pausa, aveva osato andarsi a mangiare un boccone dopo essere rimasto a digiuno dalla mattina presto. Né sfuggirono ai suoi strali Enzo Cannavale e Luciano De Crescenzo sul set di Sabato, domenica e lunedì (1990), bellissima trasposizione dell’omonima commedia di Eduardo De Filippo.

Unica donna nel firmamento di quei registi italiani che hanno saputo allietare intere generazioni, ci tiene a precisare: “Il mio cinema non ha niente a che fare con la commedia all’italiana. E’ un’altra cosa”. In molti ritengono che la Wertmüller abbia creato un cinema che prima di lei non esisteva: grottesco, estremo, surreale, che tocca tematiche (anche drammatiche) e conflitti in modo originale e spregiudicato, compreso il rapporto tra i sessi. Il suo sguardo non trascura nessuno, fissando epoche e protagonisti ogni volta diversi: scugnizzi, borghesi, proletari, madri-coraggio, prostitute, giornalisti, maestri di scuola, spacciatori, idealisti, miliardari o aristocratici.

Nell’arco della sua lunga e poliedrica attività realizza 33 film e scrive 32 sceneggiature dirigendo i più grandi attori italiani, da Mastroianni a Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Roberto Herlitzka, Michele Placido, Valeria Golino o Stefania Sandrelli e raccoglie una rosa di star internazionali come Rutger Hauer, Peter O’Toole, Nastassjia Kinski e Faye Dunaway In una notte di chiaro di luna (1989), film che affronta di petto la piaga dell’Aids, o Harvey Keitel in un’altra storia a tinte forti sul mondo della camorra e dei trafficanti di droga, Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti (1986). Senza dimenticare Isa Danieli, la brava attrice napoletana che compare in una decina dei suoi film dopo aver fatto parte della compagnia di Eduardo De Filippo.

Curiosa, spietata, elegante, anticonformista, inimitabile, sempre vivacissima, Lina Wertmüller ha ripercorso la sua vita e la sua carriera nel libro autobiografico che ha lo stesso titolo di un film da lei diretto nel 1974, “Tutto a posto e niente in ordine” (Mondadori, 2012), e negli interni della sua splendida casa a due passi

Dietro gli occhiali bianchida piazza del Popolo sono state effettuate molte delle riprese contenute nel bel docufilm di Valerio Ruiz Dietro gli occhiali bianchi (2015), ritratto di una regista tanto eclettica quanto complessa, denso anche di vita personale, come quando ricorda il marito, lo scenografo e costumista Enrico Job scomparso nel 2008, con il quale ha condiviso per più di quarant’anni una vita meravigliosa e un’intensa collaborazione artistica.

E il mistero di quei titoli così lunghi ?: “Un piccolo capriccio che mi sono concessa e che evoca lontanamente i capricci e i dispetti che facevo da bambina”. Proprio come quel discolo di Gian Burrasca- Rita Pavone per cui ha scritto il testo della famosissima “Viva la pappa col pomodoro”!

Ornella Magrini

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