Ott 182018
 

AragornPer sfiducia verso un volto poco noto nel 1984 il regista di Greystoke (Hugh Hudson) affidò il ruolo di Tarzan a Christopher Lambert piuttosto che a Viggo Mortensen e quel volto s’intravvede ancora appena tra la comunità Amish di Witness – Il testimone (Peter Weir, 1985). E’ del 1991 il suo primo ruolo da protagonista nel sorprendente esordio alla regia di Sean Penn, Lupo solitario, dove incarna un reduce del Vietnam inquieto, violento e autodistruttivo. Per imporsi alle platee internazionali, però, ci vorrà l’arrivo del suo Aragorn, il glorioso guerriero della fortunata trilogia de Il Signore degli Anelli che inaugura gli anni 2000.
Nato a New York il 20 ottobre 1958 da padre danese e madre americana, è il maggiore di altri due fratelli, Charles e Walter. Durante l’infanzia, a causa dell’attività del padre che lavora nei ranch, scopre gli orizzonti sconfinati del Venezuela e dell’Argentina, e poi da adolescente si trasferisce con la famiglia a Copenaghen. Continuerà a fare la spola tra gli Stati Uniti e la Danimarca anche dopo essersi laureato in Scienze Politiche e Letteratura Spagnola alla St. Lawrence University. A vent’anni parla correntemente francese, spagnolo e danese (a cui si aggiungeranno altre lingue, compreso l’italiano), pratica molti sport, ama l’arte della fotografia, la poesia, la pittura, la musica: inciderà diversi CD, anche un paio con Buckethead, ex chitarrista dei Gun’s ‘N Roses. Tutte passioni che continuerà a coltivare con ottimi risultati.
Appena smessa l’armatura di Aragorn, sbarca il lunario nel circo di Buffalo Bill per Oceano di fuoco-Hidalgo (Joe Johnston, 2004) dove interpreta Frank T. Hopkins, il più celebre pony express degli Stati Uniti che, dopo essere stato deluso dagli uomini e dalla vita, accetta la sfida di percorrere tremila miglia nel deserto arabico. Film d’avventura che racconta il grande legame tra un uomo e il suo cavallo, un Mustang (Hidalgo), alla fine libero di ritornare allo stato brado dopo aver traversato paesaggi degni di Lawrence d’Arabia.
Ma per Viggo Mortensen qualcuno ha in serbo ben altri ruoli. Nel bellissimo A History of Violence di David Cronenberg (2005) è il mite Tom Stall, alias Joey Cusack, con un passato da criminale alle spalle. Un noir che dà modo al regista canadese di toccare temi a lui molto cari, come il rapporto complesso tra realtà e apparenza o l’illusione che la violenza non faccia parte della natura umana. Enigmatica e imperturbabile la prova di Mortensen nel rendere così rappresi i tormenti di un uomo dalla doppia vita e dalla doppia identità. LocandinaDove avrà tratto ispirazione per immortalare, solo con lo sguardo, uno dei finali più struggenti dei trascorsi decenni? Il ritorno a casa da moglie e figli dopo l’ultima carneficina. Senz’altro non dalle lezioni frequentate presso la scuola di recitazione Warren Robertson’s Theatre Workshop, visto che si è sempre ritenuto un attore “anti-metodo”, compreso quello del prestigioso “Actor’s Studio” di Lee Strasberg. Movimenti lenti, pulsioni dominate, sfumature di gesti: è questa la cifra stilistica in cui si riconosce e che può liberamente adottare solo con i registi più sensibili e geniali.
Quando gira History of Violence è già padre di un figlio diciassettenne, Henry, avuto dalla cantante Exene Cervenka, del gruppo punk rock californiano “X”, da cui divorzia nel 1998, proprio quando sta per fare la pelle a Gwyneth Paltrow in Delitto perfetto (Andrew Davis), rifacimento del mitico
originale di Alfred Hitchcock. Chioma lunga quanto basta, dopo i titoli di testa fa il suo ingresso in scena dentro una galleria d’arte tra una folla di visitatori vestiti da Fifth Avenue. Sarà anche per l’aria da bohémien e quella fossetta sul mento che nel 2002 la rivista People lo inserirà tra gli uomini più belli del mondo?
Refrattario a qualsiasi tipo di gossip e ai salotti hollywoodiani, nella scelta dei ruoli accetta solo quelli che vorrebbe godersi da spettatore e prodiga lo stesso impegno in parti secondarie, come quella del subdolo Lalin in Carlito’s Way (Brian De Palma, 1993) o del devoto spasimante che aspetta un “sì” da Nicole Kidman in Ritratto di signora (Jane Campion, 1996). Appena poche scene che varrebbe la pena rivedere oggi che è diventato un’icona, per lo meno quella in cui, solo per tre minuti e su una sedia a rotelle, tiene testa a un furente Al Pacino.
russoParimenti amato sia dal pubblico femminile che maschile, all’occorrenza sfodera gli artigli e lascia il segno. Come il Nikolai de La promessa dell’assassino (2007). Dietro il suo ripetitivo e glaciale “Sono solo un autista”, è astuto e micidiale quando il gioco si fa duro, tenero e generoso verso gli innocenti. Mortensen ha quasi cinquant’anni quando mette letteralmente a nudo il suo corpo marchiato da un’infinità di tatuaggi, memoria di un passato che tiene in ostaggio il presente. Ormai mitica la fulminea e cruenta lotta nel bagno turco. “E’ stato imbarazzante. Non potevo coprirmi nemmeno con un piccolo asciugamano. Per fortuna Cronenberg non ama girare più volte la stessa scena. Se come attore ti trovi nelle sue mani, ti senti al sicuro”. Un’altra indimenticabile performance che gli vale una nomination all’Oscar come miglior attore protagonista.
In Appaloosa (2008), diretto e interpretato da Ed Harris, è un vice-sceriffo di poche parole e dalla morale ineccepibile, uno di quelli che avrebbero intrigato Sergio Leone. Un altro eroe? Pare che per Viggo Mortensen l’eroismo più grande consista nel sentimento della compassione. Il lungo girovagare per il mondo, il confrontarsi con spazi e società ogni volta diversi, oltre alla padronanza delle lingue gli hanno assicurato un ricco bagaglio di conoscenze e un invidiabile “centro di gravità permanente”. Anche come attore avrà modo di percorrere i più diversi paesaggi del pianeta: quelli selvaggi della Nuova Zelanda, le praterie dell’Australia, le foreste del Canada, le cui suggestioni verranno impresse nei molteplici album di fotografie da lui pubblicati.
Artista poliedrico, sempre disponibile e gentile con la stampa, mantiene uno stretto riserbo sulla sua vita privata e sull’attuale legame con Ariadna Gil, bella e affermata attrice spagnola con cui ha condiviso il set di Appaloosa, (dopo che la Gil era stata Carmen, la madre dell’indimenticabile Ofelia de Il labirinto del fauno). con KirstenGià vive con lei a Madrid quando si ritrova nel mondo post-apocalittico di The Road (John Hillcoat, 2010): padre e figlio tra i pochi sopravvissuti a una catastrofe non meglio identificata affrontano ogni genere di difficoltà. Tratto dal romanzo di Cormac McCarthy (già autore di “Non è un paese per vecchi”), non convince troppo la critica che, invece, è concorde nel riconoscere l’ indiscusso talento con cui riesce a modulare tutti i riflessi di un’angoscia che attiva, inevitabilmente, violenza.
Nonostante la fama e il successo, non esita a sostenere il cinema indipendente o a comparire in opere di registi esordienti, come Hossein Amini che lo dirige in I due volti di gennaio (2014), adattamento di un romanzo di Patricia Highsmith. Ambientato tra la Grecia e la Turchia, è un thriller psicologico dove Mortensen sembra un maturo Gatsby sottobraccio alla giovanissima moglie, la bella Kirsten Dunst. All’ombra di un Partenone fuori dal tempo si avvicendano triangoli amorosi, segreti, crimini, inseguimenti e, soprattutto, ambiguità, quell’ambiguità che da sempre lo intriga nella scelta di un copione. Una scelta che si è conquistata dopo parecchie delusioni, comprese le scene da lui girate nel leggendario La sottile linea rossa (1998) che Terrence Malick soppresse durante il montaggio finale.
green bookNel 2018, per esigenze di copione appare ingrassato dentro gli abiti di un buttafuori italoamericano, razzista e ignorante, che si ritrova alle dipendenze di un giovane pianista jazz afroamericano (Mahershala Ali). Un rapporto umano, un’amicizia, solo apparentemente impossibili. Ispirato a una storia vera (risalente ai primi anni ’60) e già accolto con un’ovazione all’ultimo Festival di Toronto, Green Book di Peter Farrelly viene presentato nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, in programma fino al 28 ottobre. Dopo aver partecipato più volte alla manifestazione romana (nel 2016 il suo Captain Fantastic si è aggiudicato il premio del pubblico), continuerà a entusiasmare le platee italiane con un’interpretazione che pare ispirarsi a certi personaggi de I Soprano o a quelli della Little Italy tanto cari a Scorsese. Proprio lui che da bambino sognava di seguire le rotte dei vichinghi. Come regalo per i suoi sessant’anni si meriterebbe finalmente un Oscar.

Ornella Magrini

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