Mar 292012
 

Cesare Deve Morire, di Paolo & Vittorio Taviani, con Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, Juan Dario Sonetti, Vincenzo Gallo, Rosario Majorana. Musiche: Giuliano Taviani & Carmelo Travia. Italia, 2012, 76 minuti.

★★★½☆

Il Cinema italiano finalmente esce dal letargo e vince alla grande l’Orso d’Oro al Festival di Berlino con un’opera degna della sua migliore tradizione.
I fratelli Taviani, che in passato ci hanno regalato capolavori come “Padre Padrone” e La notte di San Lorenzo”, entrambi vincitori di due edizioni del Festival di Cannes, da anni in crisi creativa, che lasciava presagire una malinconica fine della loro carriera, hanno avuto un’idea assolutamente originale: far recitare il “Giulio Cesare” di Shakespeare ai detenuti della Sezione di alta sicurezza del carcere romano di Rebibbia, che contiene detenuti condannati a gravi pene, ed anche numerosi ergastolani.
Ne è nata, come hanno narrato i Registi, un’esperienza indubbiamente straordinaria: i detenuti, coordinati dal Regista teatrale Fabio Cavalli, in quest’opera interpretano la recitazione come un’occasione di riscatto nelle loro vite prive di speranza, e ripongono in essa una enorme autenticità, un dolore ed un pathos assolutamente sinceri, realizzando una vibrante rappresentazione teatrale in cui si mescolano drammaticamente Arte e Vita.
La vicenda narrata dal bardo di Stratford on Avon si incentra tutta sulla congiura e sulla spettacolare morte di Cesare, ma l’accento viene messo sui successivi avvenimenti, che vedono Antonio, nell’ambito dell’orazione funebre, cogliere, con un formidabile colpo d’ala, l’occasione della celebrazione della fine della tirannide per trasformarla, con una magistrale capacità di comunicazione politica, nella esemplare punizione della setta terroristica.
I Taviani, genialmente, colgono l’occasione per rappresentare un originale discorso sul Potere, sul complotto che nasce da affetti familiari negati o repressi, sino al parricidio. La contiguità degli attori con la criminalità organizzata, con l’esercizio della violenza, fanno sì che la recitazione appaia sommamente intensa e realistica, quasi euforica e liberatoria.
Fa da contraltare alla veemenza della interpretazione dei vari personaggi il mesto ritorno serale nelle desolate celle, ma indubbiamente questa esperienza conferisce dignità a queste persone, che ne sentono certamente il peso e l’opportunità. In un certo senso essi combattono strenuamente per dimostrare che anche dal reato più terribile commesso ci può essere una forma, magari momentanea, di riscatto, di una pienezza di vita ove non prevalga la perdita di senso. In particolare i volti intensi di Salvatore Striano (Bruto) e Giovanni Arcuri (Cesare) interpretano magistralmente la tragedia shakespeariana.
Girato prevalentemente in uno splendido bianco e nero, ma in alcuni momenti in sgargianti colori, come nella finale resa dei conti, il film, asciutto e rigoroso, avvince in ogni istante, e penetra nell’animo dello spettatore generando in esso una profonda inquietudine.

Recensione di Dark Rider

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