Mag 182017
 

ddl 01Chi l’avrebbe mai immaginato che il buffo cicisbeo di Camera con vista (James Ivory,1985) sarebbe poi diventato il travolgente Nathaniel “Occhio di falco” de L’ultimo dei Mohicani (Michael Mann, 1992)? Ma Daniel Day-Lewis ha sette vite più di un gatto, a riprova che quello inglese è un cinema in grado di vantare sempre interpreti di razza.

Nato a Greenwich (Londra) il 29 aprile 1957, ancora giovanissimo fa la sua prima apparizione proprio in un film di un regista britannico, John Schlesinger, che gli affida una particina in Domenica, maledetta domenica (1971). Intanto studia presso l’Old Vic di Londra, seguendo le orme della madre, Jill Balcon, attrice teatrale. Il padre Cecil è un poeta di origine irlandese che muore quando lui ha solo quindici anni. L’attaccamento alle origini paterne gli farà desiderare un giorno la doppia cittadinanza, inglese e irlandese. Non ancora trentenne spicca in My beautiful Laundrette di Stephen Frears, e poco dopo ottiene la popolarità internazionale con L’insostenibile leggerezza dell’essere di Philip Kaufman (ispirato all’omonimo romanzo di Milan Kundera), che ripercorre quel periodo meglio conosciuto come “la primavera di Praga” quando, nel 1968, i carri armati sovietici irruppero per le strade della capitale cecoslovacca.

Mentre continua a inseguire il suo primo amore, il teatro, si imbatte in un film che gli varrà il primo Oscar come migliore attore protagonista: Il mio piede sinistro (1989), esordio alla regia dell’irlandese Jim Sheridan, dove interpreta il ruolo di un ragazzo paraplegico che riesce a imporsi come artista utilizzando, appunto, il suo piede sinistro. Ancora con Jim Sheridan resta sotto i plumbei cieli d’Irlanda (e dell’IRA) con Nel nome del padre (1993), ispirato a un dramma realmente accaduto. Nello stesso anno sorvola l’Atlantico e atterra in una New York di fine ottocento (L’età dell’innocenza, Martin Scorsese, 1993) per vestire gli abiti di un giovane avvocato che, ligio ai dettami della buona società, si rassegna a un matrimonio di convenienza continuando a conservare per tutta la vita il miraggio di una donna proibita.

ddl 02Nel 1995 ha un figlio dall’attrice Isabelle Adjani, Gabriel-Kane, che si farà strada come musicista e come modello dei più importanti marchi dell’haute-couture mondiale. Dopo una fulminea separazione (sembra tramite messaggio via fax), nel 1996 sposa l’attrice Rebecca Miller, figlia del drammaturgo Arthur Miller, conosciuta sul set de La seduzione del male (Nicholas Hytner, 1996). Da lei avrà altri due figli, Ronan Cal e Cashel Blake. Nomi altisonanti e impegnativi. Del resto, nel 2014, si meriterà il titolo di “Sir” traversando Buckingham Palace con indosso un impeccabile tight.

Bello nell’irregolarità del profilo, attraente come un bagliore nel buio, ossuto dalle tempie agli stinchi, cambia pelle ogni volta fino a trasformarsi nel macellaio assetato di sangue di Gangs of New York (2002), diretto ancora da Martin Scorsese. Pare che per questo ruolo si sia allenato a tagliare lombi e braciole perché solo attraverso un impegno certosino intende dar vita ai suoi personaggi. Dedizione, disciplina, ritiri spirituali. Ancora oggi sfugge alle etichette che vengono riservate ai più grandi divi hollywoodiani e non. In modo accorto seleziona copioni per mantenere alti i traguardi raggiunti, ma, soprattutto, per l’intimo bisogno di un rigore assoluto. Fa passare perfino cinque anni tra un film e l’altro, durante i quali abbandona la casa di Los Angeles per trasferirsi in una tenuta a sud di Dublino, protetto dall’erica e dalle ginestre che ammantano le colline nella quieta contea di Wicklow, dove gli corrono incontro tanti ricordi di un’infanzia felice.

L’attesa dà i suoi frutti. Nel 2007 si aggiudica il secondo Oscar come migliore attore per Il petroliere (Paul Thomas Anderson), tratteggiando il ritratto di Daniel Plainview, un povero minatore che con grinta e senza esclusione di colpi riesce a diventare ricchissimo. Un’odissea spietata, a tratti commovente, suggellata dalla solitudine e dalla grande depressione del 1929.

Dopo il passo falso di Nine (Rob Marshall, 2009), si conquista il terzo Oscar per l’interpretazione del presidente Lincoln (Steven Spielberg, 2012) e lo va a ritirare con la stessa compostezza con cui uno studente di college ritira il suo diploma.

Ornella Magrini

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