Apr 062014
 

Still Life, di Uberto Pasolini, con Eddie Marsan, Joanne Frogatt, Karen Drury, Bronson Webb;
Sceneggiatura: Uberto Pasolini, Musiche: Rachel Portman, Produzione: GB/Italia, 2013, 98 min.

★★★★☆
La vitalità del cinema britannico viene confermata, ancora una volta, da questo piccolo, poetico, indimenticabile film, girato dall’italiano trapiantato a Londra Uberto Pasolini, con sensibilità e grande perizia.
Già produttore del grande successo mondiale “Full Monty”, Pasolini (in realtà nipote di Luchino Visconti!) rende omaggio al suo nome, realizzando uno dei più bei film del 2013.
L’opera, ambientata nella Londra odierna, fotografata senza alcun compiacimento turistico, descrive le giornate di un impiegato della municipalità di Kennington (uno straordinario, intenso Eddie Marsall), addetto al ritrovamento di parenti e familiari di persone scomparse in solitudine, che viene a contatto con le sconosciute vite degli altri, i reietti, i barboni, gli homeless, tutte le persone morte in solitudine, i cui corpi nessuno rivendica.
Egli si dedica a tale attività con abnegazione e dedizione, dimostrando un estremo altruismo, assolutamente inusuale nel mondo contemporaneo, al fine di dare dignità di sepoltura, quindi almeno alla morte, visto che nella vita di quelle persone tale dignità è andata persa, nella solitudine dell’abbandono.
Un uomo ordinario, anonimo, apparentemente grigio ed abitudinario, estremamente solitario, ma dotato di un grande cuore, una grande umanità, che svolge scrupolosamente il suo lavoro, cercando tracce della vita delle persone scomparse, e che spesso partecipa al funerale in solitudine, dopo aver scelto accuratamente, per la cerimonia funebre, dei brani musicali reperiti rovistando nelle loro squallide case, con l’intento di rendere loro omaggio, interpretandone i gusti e la personalità.
Un commosso, sommesso apologo della solitudine umana, che ha momenti di intenso lirismo, soprattutto nella lunga sequenza nella quale il protagonista, procuratosi le foto dei defunti sconosciuti, ne studia attentamente i particolari nella sua casa, le incolla in un album, ricostruisce con sommessa commozione, almeno nella sua immaginazione, percorsi di vita e di memoria. Con una grande dignità, con un grande rispetto ed amore per la vita.
“Still Life”, Natura Morta, è in realtà un profondo, suggestivo inno alla vita, alla sua complessità, all’inestricabile dolore che spesso la permea.
La sua dedizione non viene neppure meno quando viene brutalmente licenziato, per “tagliare i costi, anzi i rami secchi”. Nonostante la disumanità, segno tangibile della sopraffazione che vige negli attuali rapporti di lavoro, con la quale l’annuncio gli viene dato, non si scompone, ma chiede solamente una breve proroga, al fine di portare a compimento l’ultima ricerca per una persona, Billy Stoke, che viveva nel suo condominio.
Viaggiando per l’Inghilterra, riesce a scovare una donna, antico amore dello scomparso, che ne traccia un apppassionato e doloroso ricordo, ritrova un vecchio compagno d’arme e due homeless, con i quali si intrattiene a bere, che lo ricordano con affetto, ed addirittura la figlia Kelly, che non vedeva da decenni (Joanne Froggatt), con la quale, superata l’iniziale diffidenza, entra in una empatia che forse potrebbe aprirgli uno spiraglio per una nuova vita, se il destino non gli riservasse un esito beffardo.
Un finale poeticissimo sancisce questa piccola grande opera, già vincitrice a Venezia del premio della regia nella Sezione Orizzonti. Un film che ha la lentezza, la fissità, e la profondità spirituale delle grandi opere di Ozu, denso di significati, appassionatamente umanista, che riflette sui misteri del destino, della vita e della morte, sul senso dell’esistere, sulla caducità delle azioni umane. Con semplicità, con sommesso lirismo, con sofferta tensione, un piccolo trattato filosofico, un inno all’umana solidarietà.

Recensione di Dark Rider

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