Dic 112012
 

 

Il Sospetto, di Thomas Vinterberg sceneggiatura di Tobias Lindholm, con  Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Annika Wedderkopp. Danimarca 2012, durata 111 min.

  ★★★☆☆ 

Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio…”

 

Lukas è un tranquillo e mite assistente di un asilo in una piccola cittadina della Danimarca, è molto amato dai bambini In particolare condivide la sua passione per la caccia, le serate goliardiche con un gruppo di amici affiatati: tutti amici di infanzia. Una giorno la figlia del suo migliore amico, racconta alla direttrice dell’asilo di aver visto i genitali di Lukas. Questo innesca il sospetto, poi una indagine e infine la condanna della comunità nei suoi confronti.

 

 

Il film racconta di un’ingiustizia. Inizialmente ho fatto fatica a trovare un punto di vista non influenzato dal tema delicato che tratta: la pedofilia. In questa storia Lukas, il protagonista, è un innocente accusato ingiustamente, egli non riesce a difendersi, resta come sconvolto, disorientato dall’accusa tanto la sente lontana da se. Anche quando le indagini della polizia lo scagioneranno totalmente resterà un condannato a vita per la comunità in cui vive. Il dramma umano è narrato con molta attenzione e realismo, talmente vero che quasi si percepisce il freddo della neve che cade sulla scena e la pressione emotiva e claustrofobica che il sospetto mette in atto. Così come la piccola comunità risponde a un codice di comportamento legato alla familiarità di una vita semplice e molto condivisa, così il sospetto, o meglio l’accusa di pedofilia arma la coscienza di questi comuni cittadini con spietata determinazione.

Al regista non interessa tanto approfondire dettagli sulle indagini, le testimonianze e le accuse delle ipotetiche vittime. Egli sceglie di mettere a fuoco come la comunità tutta, incluso il suo migliore amico, lo condannino distruggendogli la vita e mettendo in serio pericolo anche le sue relazioni con gli affetti più cari. Al cattivo vengono chiuse tutte le porte, egli perde ad un tratto tutta la sua credibilità, la sua storia umana: diventa un mostro e nessuno vuole più avere a che fare con lui. Come fare allora a scagionarsi? A lui resta solo un gesto eclatante: la notte di Natale si reca alla messa dove tutta la comunità è riunita e chiede al suo migliore amico di leggergli la colpevolezza negli occhi. Guardami, gli dice, cosa vedi? E c’è tutta la disperazione di chi sa che ormai non ha più nulla da perdere, perché ha perso ormai tutto, la sua dignità, la sua vita e i suoi affetti.

La riflessione che porta questo bel film, è non tanto sul crimine in se, ma sul bisogno che l’uomo ha di liberare la propria coscienza, attribuendo come facevano le società primitive, la colpa a un capo espiatorio, che veniva sacrificato e ucciso. In questo modo ognuno ripuliva la propria coscienza dal senso di colpa. Nella morale comune delle nostre società, possiamo individuare un quasi unanime disinteresse nelle piccole grettezze umane e negli squallidi egoismi personali, in contrapposizione alla severa e intransigente condanna nei confronti del cattivo. La pena di morte è una prova di questa estrema posizione, una morale comune che si ergere a giudice per dare voce a un istinto primordiale, quello che solo in apparenza viene tenuto a bada dalle convenzioni sociali. L’istinto di sopravvivenza, quello animale, che non contempla perdono, affetto e ragione.

 

Recensione di Costance

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