Dic 112011
 

Le Nevi del Kilimangiaro, regia di Robert Guediguian, con Ariane Ascaride, Jean Pierre Darroussin, Gerard Meylan, Marilyne Canto, Gregoire Leprince-Ringuette. Francia, 2011, 107 minuti.

★★★☆☆

Robert Guediguian, il regista marsigliese già autore di opere realistiche sulla classe operaia francese e sulle sue condizioni di vita (si ricorda l’ottimo “La Ville est Tranquille”) torna ad indagare il disagio sociale dei tempi della crisi, che investe anche la Francia, sia pure in misura meno grave di altri Paesi.
Fermamente convinto della necessità di dare voce agli emarginati e di esplorarne le tematiche, torna con questa nuova opera, a raccontarci di operai messi in mobilità, tra cui Michel, un sindacalista della CGT, che a seguito di un sorteggio cui poteva agevolmente sottrarsi, si ritrova, non ancora sessantenne, fuori dalla fabbrica, insieme ad una ventina di altri operai.
La vita cambia improvvisamente, ma il buon rapporto con la moglie, cui lo legano trent’anni d’amore, e la presenza di due figli e tre nipotini, lo aiuta ad ammortizzare lo sconcerto dovuto alla nuova condizione di disoccupato.
Le sue giornate scorrono nonostante tutto serene, anche per la costante presenza di buoni amici e parenti, ma vengono sconvolte da una rapina brutale ed improvvisa, in cui resta coinvolto insieme alla moglie, alla sorella ed al cognato.
Oltre al denaro, vengono sottratti alla coppia anche i biglietti per l’Africa, che i figli avevano donato loro per il trentennale del matrimonio; Michel si mette subito e con decisione alla ricerca dei colpevoli, e per un caso fortuito ne scopre uno, anch’egli operaio della sua azienda, molto giovane, e licenziato insieme a lui.
Lo denuncia, ma i sensi di colpa si affacciano prontamente: lo va a trovare in carcere, ma ottiene dal ragazzo solamente sarcasmo e riprovazione, per la qual cosa lo colpisce con uno schiaffo. Sopraffatto ancora di più dal rimorso e consapevole della drammatica situazione familiare di lui, fratello maggiore di altri due ragazzini, abbandonati dai genitori, di cui da anni si occupa, non rimane insensibile, e comincia a prendersene cura, scoprendo che la moglie lo faceva già da tempo silenziosamente.
Un realistico dramma sociale, che ha però il grande merito di non scadere nella pesantezza e nella retorica, dipingendo con un sorriso e con l’ironia le vicissitudini dei ceti emarginati dalla crisi, descrivendo, nel contempo, le grandi capacità di ascolto e di accoglienza di cui la famiglia di Michel si rende protagonista. Il tono è leggero e piacevole, ed è eccellente la descrizione dei caratteri, la grande generosità del protagonista, la saggezza della moglie, figura di donna solare e positiva. Le loro vite sono espressione di quella indelebile solidarietà acquisita nelle lunghe lotte per i diritti sociali che negli anni settanta segnarono nel mondo del lavoro la Francia e l’Europa intera.
Il cinema di Guediguian ha il segno dell’etica, della solidarietà umana, dell’accoglienza nei confronti dei diversi: può sembrare un pò consolatorio, ma nel descrivere la vita dei proletari di Marsiglia, sa mirabilmente unire realismo e romanticismo, rendendo omaggio al bel poema di Victor Hugò che dà il titolo al film.
Egli è certamente un cineasta militante, e non dissimula affatto l’empatia con i personaggi delle sue storie, che appaiono spesso idealizzati, ma ha la capacità di descrivere minuziosamente il quotidiano, di saper cogliere comunque, con ironia e piacevolezza, il lato bello delle piccole cose.
La sua poetica tende a sottilineare che, al di là dei drammatici avvenimenti che travolgonno ormai costantemente la vita dei più deboli, rimane sempre una piccola luce, che nessuno potrà mai spegnere: la dignità.

Recensione di Dark Rider

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