Giu 192012
 

Marilyn, di Simon Curtis. Con Michelle Wiliams, Eddie Redmayne, Kenneth Branagh, Julia Ormond, Judy Dench, Emma Watson. Gran Bretagna, USA 2011. 99 minuti.
★★★☆☆ per Michelle Williams.
★★½☆☆ per il resto del film.
Il potente blog statunitense “The Huffington Post” ha posto dei dubbi sulla veridicità del romantico flirt che Colin Clark, l’allora terzo aiuto regista sul set de “Il Principe e la Ballerina”, afferma di aver avuto con Marilyn Monroe. Nove giorni che Clark ha sentito il bisogno di raccontare solo nel 2000 e quindi, veri o no, sono stati sicuramente filtrati dal tempo e dai ricordi alterati. Resta un buon pretesto per raccontare una settimana di vita di una donna che era già mito, un’attrice che non aveva grandi doti di recitazione ma possedeva il “quid” per essere perfetta per l’occhio della macchina da presa. Il giovanissimo Colin Clark si trova ad essere l’ago della bilancia tra i ritardi di Marilyn, le intemperanze di Sir Laurence Olivier che è combattuto tra il biondo magnetismo che subisce, come tutti, e la sua necessità di essere sempre al centro della scena, la forte influenza dell’insegnante personale di recitazione di Marilyn, Paula Strasberg che è quasi figura più materna che portavoce del metodo elaborato dal marito Lee. Clark è solo un tramite, un mezzo per vedere le mille contraddizioni di una donna che sa di essere un’altra da lei, sa di dover interpretare la sua stessa immagine, così come il pubblico, la pellicola, che sia di una macchina fotografica o di una cinepresa, la vogliono vedere. E’ Marilyn. Il suo nome d’arte ha preso vita e Norma Jean ne viene schiacciata. Le sue insicurezze mettono a dura prova il rapporto con il neo marito Arthur Miller che lascia il Surrey dove l’aveva seguita per le riprese del film, per tornare temporaneamente negli Stati Uniti. Lascia Norma Jean nelle mani di Marilyn, una creatura spaventata e triste che naviga tra antidepressivi ed alcol ma ancora di più, nuota nella sua profonda solitudine nel sapere di essere qualcosa al di fuori di sé che non sia Marilyn. Il film resta didascalico e non ha una sceneggiatura che permette a questi stati d’animo di venire fuori e di raccontarci la donna dietro il personaggio. Michelle Williams che la interpreta, si trova così da sola a far passare l’idea di una Marilyn terrena, fragile e sempre bellissima tra le lacrime, il torpore dei sonniferi, il bicchiere di troppo. Riesce nell’impresa non facile di interpretare un’icona senza imitarla, essere lei al di fuori di lei, come avrebbe voluto Marilyn per se stessa. Le regala anche capacità vocali maggiori rispetto all’originale. La porta sullo schermo con rispetto e stupore, compreso il nostro di trovarci a pensare che non sembra Marilyn completamente perché non è una sosia ma è completamente Marilyn nel suo essere. Questo è il motivo per cui la prima opera cinematografica del regista Simon Curtis potrà essere ricordata. Una struttura filmica un po’ banale, una sceneggiatura che poteva creare molto più pathos e coinvolgimento, con il diamante Michelle Williams che con la sua luce si è meritata il Golden Globe e la nostra visione.

Recensione di Ingrid

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