Gen 252012
 

Shame, regia di Steve Mc Queen, con Michael Fassbender, Carey Mulligan, Lucy Walters, Nicole Beharie, James Badge Dale, Mari Ange Ramirez. Gran Bretagna, 101 minuti.

★★★½☆

L’opera seconda del talentuoso regista nero Steve Mc Queen si inquadra nella attuale vivacità del cinema britannico, che abbiamo avuto modo di riscontrare recentemente al Festival del Film di Roma. Già noto fin dagli anni novanta negli ambienti della videoarte d’avanguardia di Londra per alcune prestigiose installazioni, ottenne piena notorietà nel mondo del cinema con il film “Hunger”, che narrava il martirio del patriota nordirlandese, militante dell’IRA Bobby Sands, che si lasciò morire per fame, presentato al Festival di cannes 2008, ma tuttora inedito in Italia.
Shame, già presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2011, è un drammatico, doloroso apologo sulla solitudine umana. Brandon (lo straordinario Michael Fassbender, vincitore della Coppa Volpi a Venezia, e ormai attore feticcio di Mc Queen), è un fascinoso giovane Yuppie di New York, affetto da una grave forma di “sex addiction”, che lo porta, oltre a cercare continue conquiste sessuali, a scaricare dal computer films porno, ed a masturbarsi in maniera convulsiva persino in ufficio.
Egli si avvale della sua prestanza e del suo fascino per conquistare molte donne, con le quali riesce solamente ad avere rapporti sessuali, senza avere l’intenzione e la capacità di coinvolgersi a livello sentimentale.
L’unica volta che ciò sembrerebbe poter avvenire, con una bella collega di colore con la quale esce varie volte e dalla quale sembra attratto anche spiritualmente, fa cilecca, ed immediatamente si congeda da lei, rifugiandosi, poche ore dopo, in un furente rapporto con una prostituta, utilizzando la medesima camera dell’albergo sull’Hudson, (realmente esistente), davanti alle cui enormi vetrate si vedono uomini e donne che fanno l’amore.
Quando entra in gioco la sorella Sissy (una brava Carey Mulligan), cantante insicura e bisognosa d’affetto, con forti tendenze autolesionistiche: lui a malapena l’accoglie in casa per qualche giorno, ma la maltratta, non sopportando la sua vicinanza, vista come limitazione della libertà personale. Ma soprattutto Brandon si irrita per lo scoprimento della sua miserevole “privacy”, che nasconde materiali cartacei e video di natura esclusivamente pornografica.
Il film è una lucida ed algida rappresentazione di due solitudini, che non si percepiscono, non si comprendono, ambedue in preda a inesorabile “cupio dissolvi”; si intuisce che i due sono reduci da un misterioso e drammatico retroterra familiare.
Brandon è perso nelle sue oscurità, nelle sue contorsioni mentali, nella sua sostanziale incapacità d’amare; il suo è un personaggio estremo, in viaggio verso una nichilistica autodistruzione; egli passa attraverso le esperienze più trasgressive, non accontentandosi mai, si immerge nei bassifondi della città alla ricerca di incontri a rischio, riceve la sua razione di botte, ampiamente cercata, in una sauna sperimenta rapporti gay, rappresentati visivamente come il cinema gay trasgressivo degli anni settanta, e partecipa infine ad un’orgia a tre, celebrando con un dolorosissimo orgasmo il proprio tragico istinto di morte.
Ma il tentato suicidio della sorella, che qualche sera prima in un locale trendy lo aveva commosso con una vibrante interpretazione di “New York, New York”, gli conferisce un violento scossone: la sua vita vuota gli appare per quella che è, un fallimento; il pianto disperato chino sul selciato rappresenta forse, a suo modo, una sorta di redenzione. La mattina seguente, una bella ragazza, che gli era sfuggita qualche giorno prima, gli sorride nella metro, ma lui si astiene dal seguirla, quando scende, ammiccante, alla fermata.
Il film, pur se dotato di una gelida e criptica struttura narrativa, non è privo di una sua drammatica tensione, e possiede una forte qualità pittorica, soprattutto nella descrizione della vita notturna della metropoli: attraverso la costante esibizione del corpo nudo di Brandon, che all’inizio del film, in una lunga perturbante sequenza, ci viene plasticamente mostrato come un morto avvolto in un lenzuolo che sembra un sudario, ne viene enfatizzato il percorso verso gli inferi, la violenza che subisce il suo volto, le smorfie di dolore nel momento dell’orgasmo a seguito dell’orgia. Fassbender è profondamente calato nella parte e fornisce un’interpretazione superba, da alta scuola.
L’ambizione dell’Autore è quasi filosofica: quella di rappresentare la drammatica condizione dell’uomo moderno, chiuso in una pornografia di massa che lo spinge ad un compulsivo consumo sessuale ed alla sistematica mortificazione dei sentimenti. E’ un’opera bella e triste, malsana, pervasa da un forte istinto di morte, per nulla scandalistica, ma semmai dai forti accenti psicoanalitici: essa ci parla dell’indissolubile rapporto tra Eros e Thanatos.
Stilisticamente, il regista utilizza più volte degli splendidi piani sequenza che accentuano la qualità visionaria dell’opera, sia a camera fissa (come il bellissimo colloquio al ristorante con la collega di colore), sia mobile (la scena di sesso con la prostituta davanti alla vetrata dell’hotel). La qualità fortemente “dark” di molte atmosfere ed immagini di New York, assimilata in certi tratti ad un girone infernale, ad una livida palude dell’anima, è assolutamente mirabile.
Il film pecca di un solo difetto: rischia di essere un po’ moralistico, anche al di là delle intenzioni. Lo spettatore, infatti, non può fare a meno di pensare che un uomo malato di bulimia sessuale, chiuso in una trappola mentale totalmente autoreferenziale, che lo rende privo della capacità di amare rappresenta un caso clinico, ed ha soprattutto bisogno di una buona terapia analitica o psichiatrica, più che di essere sanzionato dalla condanna sociale per vergogna.

Recensione di Dark Rider

  One Response to “Shame”

  1. Bella recensione complimenti!

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