Set 182009
 

Venezia 66 – Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2009
Venezia 2 – 12 settembre 2009

venezia2009
La Mostra del Cinema della Laguna, una delle più importanti d’Europa, è come sempre un appuntamento imprescindibile per chi ama la Settima Arte. Quest’anno non ha fatto eccezione: organizzata con la consueta perizia da Marco Muller, antropologo e scrittore di etnomusicologia, critico e storico del Cinema, la Mostra ha presentato un nutrito cartellone ove spiccava cinema di qualità.
Negli ultimi anni a Venezia si è andato fortemente sviluppando il fenomeno del divismo: sul Red Carpet, divenuto vera passerella mondana, si sono via via susseguite apparizioni di personaggi dello spettacolo, cantanti, e persino politici, che, pur avendo ben poco a che fare con il Cinema, hanno spesso rilasciato dichiarazioni fuori misura.
Questa tendenza al divismo è sorta per conferire glamour ad una rassegna che, rispetto alla principale concorrente, quella di Cannes, è stata spesso considerata troppo seriosa.
Fortunatamente, d’altro canto, abbiamo anche avuto occasione di ammirare il Movie Village, spazio allestito all’interno della Mostra per dibattiti e conferenze, ove si trovano stand di preziosi libri sul Cinema e DVD molto rari.
La Mostra comunque, nel bene e nel male, ha rappresentato nel corso del tempo e con alterne vicende i vari momenti dello sviluppo del Cinema d’Autore internazionale, favorendo la divulgazione e la premiazione di Opere provenienti da cinematografie sconosciute, come Taiwan e l’Iran. La mostra ha inoltre contribuito, nelle varie sessioni succedutesi in special modo negli anni ottanta, all’affermazione nel mondo del Nuovo Cinema Tedesco: Margharete Von Trotta, nel 1981, con Anni di Piombo, e Wim Wenders, nel 1982, con Lo stato delle cose, hanno ricevuto il Leone d’Oro, mentre Rainer Werner Fassbinder ha ottenuto un grande successo con la proiezione a puntate di Berlin Alexanderplatz.
Più recentemente laa mostra ha contribuito a far conoscere e segnalare i nuovi talenti del Cinema Statunitense, come Spike Jonze, John Malkovich e Christopher Nolan ed ha presentato in anteprima l’Opera postuma di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut.
Con un rigoroso approccio culturale, nonostante i numerosi tentativi a livello politico di ridimensionarla e renderla più commerciale e più consona ai prodotti di mainstream, la Mostra del Cinema ha continuato a mantenere un alto profilo artistico ed a promuovere il Cinema di qualità.

Ma veniamo alle pellicole che abbiamo avuto la possibilità di visionare.

★★★☆☆
Bad Liutenant: Port of Call New Orleans (Il Cattivo Tenente: Ultima Chiamata New Orleans). Regia di Werner Herzog; con Nicolas Cage, Eva Mendes, Val Kilmer.
Musiche: Mark Isham; Produzione: Usa, 2009.

Herzog si è molto risentito quando si è parlato di remake del bellissimo film di Abel Ferrara. In effetti, la sua Opera non c’entra quasi nulla con l’originale, le uniche analogie sono da ricercarsi nel protagonista, un detective estremamente corrotto, cocainomane, ma capace anche di salvare un uomo da morte certa, dopo il disastro di Katrina a New Orleans, riportandone una grave lesione alla schiena. Gli scenari post apocalittici della città devastata dall’uragano sono il luogo ideale per questa discesa agli inferi del protagonista, e nella narrazione il Regista esprime una visione del mondo profondamente ironica e lucidamente visionaria.
Nicolas Cage fa del suo meglio per conferire credibilità al personaggio, ma è attore piuttosto monoespressivo, non dotato di molte sfaccettature. Il suo Tenente è sempre in bilico sull’abisso, viola ripetutamente la legge ma si salva per una serie di incredibili coincidenze ed ottiene una promozione e l’amore della bella Eva Mendes, prostituta dal buon cuore.
Herzog, pur non fornendo gran prova del suo genio in questo film, vuole porre l’accento sulla profonda umanità del suo personaggio. Ci regala alcune immagini indimenticabili, come una suggestiva soggettiva di un alligatore, o di un uomo colpito a morte che balla sul pavimento sino a che un altro colpo non uccide la sua anima, con inquadrature fortemente allucinatorie ed un’ironia sottesa a tutta la storia, che incredibilmente, volge al meglio quando sembrava decisamente avviata ad un tragico esito.
Laddove il film di Ferrara, senza dubbio superiore, ci poneva di fronte alla drammatica conversione religiosa di Harvey Keitel, che vedeva in un lampo la vacuità e tragicità della propria esistenza, il grande Regista tedesco pone l’accento sull’ironia e sulla visionarietà, stemperando fortemente il dramma: il film che si conclude in un psichedelico acquario è comunque godibile ed a suo modo avvincente.

★★★★☆
Persecution. Regia di Patrice Chèreau; con Romains Duris, Jean Hugues Anglade e Charlotte Gainsbourg
Produzione: Francia, 2009

In questa bellissima Opera, Chereau racconta le inquietudini esistenziali e la difficoltà del vivere i propri sentimenti, in un viaggio intimo in cui si ha fondamentalmente paura di se stessi. Daniel è un uomo perseguitato dall’insicurezza, soprattutto nella relazione con Sonia, donna fortemente indipendente che lavorando spesso all’estero gli appare sfuggente e irrisolta.
La vita si complica quando irrompe nella sua vita un uomo che, pur ripetutamente allontanato, si ripresenta e gli giura eterno amore, contribuendo a destabilizzare la vita della coppia. Eppure sarà proprio a lui che Daniel svelerà le sue ben celate insicurezze, in particolare il rapporto con il padre, ora morto.
Pur ammirato dagli amici, che in lui vedono a torto o ragione un punto di riferimento, il protagonista è in realtà un uomo profondamente sofferente che finirà per perdere prima il suo migliore amico e poi, in una drammatica e poetica sequenza, la donna amata oramai consapevole della sua immaturità. Si troverà a vagare per Parigi senza meta, al suono della splendida canzone di Antony and the Johnsons The Mistery of Love, composta da Angelo Badalamenti.
Ritorna, in questo film, la capacità di introspezione psicologica, da sempre grande qualità del cinema francese. Il regista, già autore degli splendidi La Regina Margot, pezzo di storia di Francia, e di Intimacy, storia di una intensa relazione sessuale tra due sconosciuti, trova i toni giusti per descrivere la crisi dei rapporti umani ed il loro progressivo straniamento: i colloqui tra Daniel e Sonia non sono mai banali, la loro passione è descritta con realismo, la loro crisi precipita dolcemente, quasi impalpabilmente.
Siamo stati colpiti dalla compostezza e la serietà di Patrice Chereau, che nella conferenza stampa successiva alla proiezione del suo suggestivo film, ne ha delineato con pochi ed efficaci tratti la genesi.

★★☆☆☆
Le Ombre Rosse. Regia di Francesco Maselli; con Roberto Herlit, Ennio Fantastichini, Arnoldo Foà, Lucia Poli, Valentina Carnelutti
Produzione: Italia, 2009

Lodevole il tentativo di fare un film sulla crisi della Sinistra italiana: il Regista Maselli, autore nel passato di buoni film politici come Lettera aperta ad un giornale della sera ed Il Sospetto, ha preso il progetto molto seriamente sbagliando comunque, a nostro parere, impostazione e dinamica dell’opera.
Vi si narra di un intellettuale di fama mondiale, che invitato a tenere una conferenza filosofica presso un Centro Sociale, rimane letteralmente folgorato dall’entusiamo e dalla creatività dei suoi animatori, al punto da proporre di farne un moderno Beaubourg, che rivesta rilevanza internazionale. Ciò determina un grande clamore mediatico e non solo in Italia.
Siamo nel 2007, durante il Governo Prodi; sono interessate le forze politiche di governo, sindacali, diversi intellettuali ed un architetto di fama, il quale predispone un progetto ambizioso da finanziare con capitale americano. Egli stravolge però le finalità iniziali concordate ed a causa di ciò, soprattutto a causa delle divisioni interne alla Sinistra, il progetto fallisce.
All’indomani delle elezioni in un grande salotto romano, l’intellettuale famoso e l’Architetto, con altri intellettuali, politici e scrittori, assistono increduli alla caduta del governo progressista e si accorgono con stupore, che i chiassosi festanti non sono di sinistra.
Ai ragazzi del Centro sociale, nel frattempo sfrattati, non resterà che cercare di occupare un nuovo rudere.
Il film è confuso e velleitario ed i personaggi, tutti facilmente identificabili nell’intellighenzia della Sinistra italiana, risultano stereotipati: il tema era certamente interessante ed ambizioso, ma a nostro parere poco lucidamente realizzato soprattutto per gravi difetti di sceneggiatura.
L’Autore sembra vedere una pallida speranza di riscatto ideologico solamente nel mondo giovanile incorrotto, mentre la maturità porta compromissione con il potere, cinismo ed aridità intellettuale.

Numerose altre opere meritevoli sono apparse alla Rassegna veneziana come Capitalism, Love Story consueta e vibrante denuncia di Michael Moore, a Life during Wartime complessa opera sull’intreccio delle vite e dei destini umani, realizzata da Todd Solondz, già autore dieci anni fa del raggelante Happiness.
A single Man di Tom Ford, ha rivelato uno straordinario Colin Firth premiato come miglior attore, mentre Survival of the Dead di Gorge Romero continua il ciclo degli Zombies: nel film l’Autore ci parla di noi, della nostra società, del nostro modo di vivere e delle ossessioni che esso produce.
Lourdes di Jessica Hausner, osserva in modo laico il fenomeno dei miracoli, The Informant di Steven Soderbergh affronta il tema delle frodi agroalimentari, mentre South of the Border di Oliver Stone delinea un ritratto non convenzionale dell’America Latina e del caudillo Chavez.

Il Leone d’Oro è stato assegnato a Lebanon dell’israeliano Samuel Maoz, drammatico film, che, sulle orme del bellissimo Valzer con Bashir, ricostruisce la tragica guerra del Libano del 1982, vista da alcuni soldati israeliani, all’interno di un carro armato, atterriti; la pellicola rappresenta efficacemente un duro atto d’accusa contro l’insensatezza di ogni guerra.
Il Leone d’Argento è andato all’iraniana Shirin Neshat per Zanan Bedoone Nardan (Women without Men), racconto di quattro donne che si incontrano in un momento cruciale della storia del loro Paese, mentre il Premio della giuria è andato alla commedia sull’amore Soul Kitchen di Fathi Akin, regista Turco-Tedesco.
Come al solito, si è gridato allo scandalo per la mancanza di premi per il Cinema italiano. In realtà, le numerose opere messe in campo non sono sembrate memorabili: Baarìa, di Giuseppe Tornatore, grosso impegno produttivo della Medusa, ha avuto pareri molto contrastanti tra critica e pubblico, mentre La doppia Ora di Giuseppe Capotondi ha, se non altro, regalato il premio di miglior attrice alla protagonista Ksenia Rappoport.
Lo Spazio Bianco di Francesca Comencini ha rivelato una intensa interpretazione di Margherita Buy ma non è sembrata opera di grande valore, mentre della mediocrità di Le Ombre Rosse, di Francesco Maselli, abbiamo già riferito.
Forse solamente Il Grande Sogno di Michele Placido, rievocazione in parte autobiografica del nostro ’68, è sembrata opera vibrante e meritevole di maggior attenzione, ma ha scatenato molte polemiche al Lido, regalando però un riconoscimento alla brava Jasmine Trinca.
In definitiva, la netta impressione è che, purtroppo, continui la cattiva stagione del cinema italiano, che sforna opere di mediocre qualità molto intimiste e spesso autoreferenziali che raramente risultano in grado di appassionare critica e pubblico. Un certo provincialismo culturale che ci appartiene ci impedisce, tranne in rari casi come avvenuto nel 2008 con Gomorra ed Il Divo vincitori entrambi, ex equo, del Gran Premio della Giuria del Festival di Cannes, di affermarci in una prestigiosa competizione internazionale.
Molte delle opere presentate alla Mostra del Cinema di Venezia sono proiettate in vari Cinema di Roma nell’ambito dell’Evento Da Venezia a Roma dal 14 al 22 settembre

Report by Dark Rider

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