Mag 292016
 
Foto di Claudio Martinez

Foto di Claudio Martinez

Ho ascoltato per la prima volta Raffaela Siniscalchi, voce storica del panorama musicale romano, in un’occazione molto particolare: all’inizio di giugno dello scorso anno, infatti, Stefano Saletti riunì un gruppo di musicisti per offrire un concerto ai migranti ospiti del Centro Baobab. In quella stradina stretta, spoglia e disadorna ma indubbiamente piena di storie e di umanità, venne allestito un palco e moltissimi musicisti misero a disposizione la loro arte, in una serata davvero unica. Raffaela fu tra i primi ad esibirsi e mentre scendeva la sera coinvolse pubblico e backstage nel coro finale della sua bellissima versione di “Creuza de Ma” di Fabrizio De André. Un momento intenso, davvero indimenticabile.

Un mese dopo, nella splendida cornice del Lian Club, un barcone sul Tevere ormeggiato sotto Ponte Cavour, Raffaela ha presentato per la prima volta al pubblico il suo progetto Waitin’4Waits, un sentito tributo alla musica di Tom Waits. Dopo quella serata ne sono arrivate molte altre; poi c’è stata la registrazione del cd e oggi, a distanza di quasi un anno, è un piacere ritrovare Raffaela e chiacchierare con lei a proposito di questo disco e di cose di musica: sempre disponibile e cordiale, anche dal suo profilo Facebook dialoga con i fans e gli amici in modo spontaneo e sincero, come un vero artista dovrebbe fare sempre.

Ciao Raffaela! Non è semplice iniziare questa intervista: ci sono davvero tantissime cose che vorrei chiederti vista la vastità – e la varietà – del tuo curriculum artistico.
Tanto per scompigliare un po’ le carte, iniziamo dal presente: il tuo progetto su Waits, che ti ha visto produrre e interpretare un album, Waitin’4Waits, che ha riscosso molti consensi.
Come è avvenuto l’incontro con il singer-songwriter americano?

Dunque, è stata una sorta di innamoramento improvviso che racconto sempre con affetto. Avevo circa quindici anni quando mi regalarono il primo disco di Waits e mi innamorai perdutamente del suo timbro vocale: quando poi sono diventata anche io musicista ho avuto modo di scoprire le sue canzoni anche da altri punti di vista, come quello armonico per esempio, e mi è venuto il desiderio di reinterpretare le sue canzoni cercando di rispettarle ma facendo quasi finta che lui le avesse scritte per me, quindi con grande libertà interpretativa.

Ho messo insieme quattro musicisti bravissimi, Giovanna Famulari al violoncello, Massimo Antonietti alla chitarra e Andrea Colella al contrabbasso a formare il quartetto di base. Non è stato facile trovare chi avesse voglia di produrre la mia idea folle e allora ho creato un crowdfunding autonomo coinvolgendo tutte le persone che conoscevo e non solo.

In seguito sono stata affiancata dalla Rara Records, un’etichetta indipendente di Jesi diretta da Francesco Sardella che è stato anche sound engineer del disco e che ha co-prodotto con me il progetto. Volevo che mantenesse una sonorità il più possibile live, ci sono ben sedici ospiti importanti e non era un impresa semplice ma sono felicissima del risultato, che è stato una festa!

Waitin'4Waits Cover art

Waitin’4Waits Cover art

Ricordo che quasi un anno fa ci siamo confrontate sui vari aspetti dell’autoproduzione: qual è il percorso che hai intrapreso per la produzione di questo lavoro? E ad alcuni mesi di distanza, rifaresti tutto allo stesso modo?

Sì, sei stata preziosa… come tanti amici ai quali ho chiesto consiglio e che già avevano fatto autoproduzioni e crowdfunding. Mi sono studiata prima tutte le piattaforme che si occupavano e si occupano di autoproduzione ma non volevo fondamentalmente vincoli di tempo: per questo ho provato, rischiando, a fare da sola.

Non è un percorso semplice, richiede un continuo veicolare le informazioni legate al progetto verso chi pensi possa essere interessato: ma è cambiato proprio il modo. Le persone non vogliono piu il disco pronto, si appassionano al percorso fatto per arrivarci e quindi devi renderle partecipi, passo passo, del cammino che fai – anche con i momenti piu difficili o i piccoli successi.

Certo, se arriva un produttore e ti dice: “ti do questi soldi, fai il tuo disco” è comunque una cosa bella: io amo essere libera quindi accetterei una cosa del genere solo se trovassi qualcuno in grado di fidarsi totalmente di me e delle mie “visioni” -come le chiamo io – o intuizioni che dir si voglia. Quando decisi di fare un disco su Tom Waits – io, italiana, con sedici ospiti – sembrava una cosa più simile al delirio eppure ora ha una forma e, pare, anche un senso.

Cominciamo ora a guardare alla tua storia musicale. Come nasce artisticamente Raffaela Siniscalchi? Quali sono stati i tuoi primi amori musicali, le figure che ti hanno ispirato?

Ho cominciato prima a cantare che parlare: a due anni i miei mi regalarono il microfonino arancione della Chicco con il micro ampli e da li è iniziato tutto… sono salita sul palco la prima volta a sedici anni con un gruppo rock-blues e non mi sono più fermata. All’epoca amavo molto Billie Holiday e Chet Baker. A diciassette anni ho iniziato a studiare canto jazz e mi sono appassionata tantissimo a questo linguaggio che mi ha permesso sempre una grande libertà e mi ha insegnato ad affrontare le esperienze più varie, compresa la musica etnica.

Ho cantato tanti anni in teatro con Nicola Piovani e ho fatto parecchi spettacoli anche come attrice-cantante. Mi diverte molto la dimensione teatrale perché, pur non essendo una vera attrice, ho una sana leggerezza che esce fuori e che non mi fa prendere sul serio: cosa che evidentemente rende credibile quello che faccio. Ho studiato anche canto lirico: insomma, sono una curiosa, fondamentalmente, e questo mi ha permesso di collaborare negli ultimi anni anche col Maestro Morricone che è uno dei miei miti da sempre: è stato un vero onore.

Foto di Claudio Martinez

Foto di Claudio Martinez

Hai sempre saputo destreggiarti egregiamente in vari generi, dal Jazz al Klezmer alla musica romana, fino ai tributi a cantautori italiani ormai idolatrati come De André: cosa ti guida nella scelta dei progetti?

Bella domanda: i “brividi”!!! Se un autore mi emoziona, mi arrivano la sua musica, la sua voce, le sue parole, allora mi viene voglia di saltarci dentro come in una scatola di giochi e vedere cosa c’è…

Con la musica popolare ho iniziato nei primi anni novanta con Bruno Tommaso che mi fece cantare in siciliano a Siena Jazz: anni dopo questo incontro divenne un bellissimo disco che si chiama Ulisse e l’Ombra.

Stranamente la musica romana è arrivata dopo – pur essendo io romana con sangue siculo-calabro – alla fine degli anni ’90, con un progetto, anche questo diventato disco, La Porta magica: canzoni romane riarrangiate da Stefano Scatozza e Alessandro Contini. Fu un bellissimo lavoro. In seguito ho avuto gruppi miei anche con organici essenziali come fisarmonica e chitarra, e poi ho fatto per un po’ di anni Semo o nun Semo, lo spettacolo sulla canzone romana di Nicola Piovani.

Nel campo della musica etnica ho collaborato tanti anni con i Klezroym e poi con Stefano Saletti, che da qualche anno suona con me anche nel progetto su De André con Gabriele Coen, Mario Rivera e Leo Cesari. Adoro cantare in lingue “altre”: mi piace quella matrice comune legata alla tradizione che unisce lingue apparentemente tanto lontane e fonemi così complessi da interpretare. E’ un po’ come cantare i mantra: c’è un senso nascosto che arriva indipendentemente dal sapere esattamente il significato.

Esiste un genere in particolare con cui non ti sei ancora cimentata e che avresti la curiosità di affrontare?

Ma la polka bulgara! Mi sa che ho fatto pure quella… Scherzi a parte , ultimamente sto studiando delle bellissime arie da camera del ‘900 e non mi dispiacerebbe tentare di eseguirle in concerto ma è un sogno che sto coltivando piano piano.

La vita delle musiciste donne non è semplice in un paese come l’Italia, in cui esiste ancora un atteggiamento molto sessista. Oggi, rispetto a qualche anno fa, le donne che suonano sono sempre più numerose e – per fortuna! – anche più agguerrite. Qual è stata la tua esperienza in questo senso?

Beh, non è stata semplice: io ho cominciato la mia carriera nel’93. Avevo ventun anni e il gruppo era composto da Paolo Damiani, Danilo Rea, Roberto Gatto, Paolo Fresu, Gianluigi Trovesi, ecc. Quindi non solo tutti uomini ma anche mostri sacri del jazz. Io ero completamente stordita, in tutti i sensi: ero ancora una bimba, ricordo però che avevo esempi di donne nel jazz, già all’epoca, che diventavano molto aggressive e quasi “maschili” per emergere. Oppure si doveva lottare con le “oche” che non avevano storia alle spalle e che magari giocavano sulla seduzione: queste hanno creato forse più danni delle altre. Ecco, tra fare l’oca e diventare uomo io ho scelto di rimanere “per aria” qualche anno prima di trovare il mio modo e la mia strada.

Per tanti anni le cantanti hanno avuto la presunzione di andare avanti solo con l’orecchio e questo non basta: finalmente si sono messe a studiare e adesso abbiamo fior fiore di musiciste che scrivono, arrangiano e dirigono: non è semplice comunque, e ci vorrà tempo prima di stare al passo con l’Europa del nord – tanto per fare un esempio – ma le cose stanno migliorando.

Foto di Claudio Martinez

Foto di Claudio Martinez

Hai lavorato con grandi compositori come Morricone: puoi regalarci un ricordo, un piccolo aneddoto riguardo al Maestro?

Ho una stima infinita per il Maestro Morricone e quando ho avuto la fortuna di lavorarci sono rimasta stupita della sua semplicità e del fatto che la maggior parte delle indicazioni, benchè lui sia rigorosissimo musicalmente, riguardavano le emozioni e che tipo di emozione volesse ricevere dal mio suono. E’ una persona straordinaria.

A proposito di composizione: ti ritieni principalmente un’interprete oppure ti piace anche scrivere musica?

Fondamentalmente mi sento un’interprete ma mi diverto molto anche a scrivere, è che sono un po’ timida ed esigente nei confronti di me stessa quindi lo sto facendo con molta cautela.
Amo molto scrivere testi e lo faccio da parecchi anni.

Sei anche insegnante e ti occupi di Vocal Coaching: si sente spesso dire che “grazie ai Talent Show c’è un grande aumento di iscrizioni ai corsi di canto”. Confermi questa tendenza, in un paese dove purtroppo lo studio della musica viene sempre più trascurato?

Assolutamente sì, grazie ai Talent la gente ha voglia di imparare a cantare: certo, non è che tutto avvenga in così breve tempo come in un talent, dove in un anno entri, impari a cantare e diventi star nazionale! Non funziona così. La voce ha bisogno di un tempo naturale prima di essere padroneggiata serenamente e senza sforzo. Dai tempi del Karaoke sono cambiate tante cose, la gente ha avuto la possibilità di cantare tanto dietro a grandi cantanti quindi sono anche aumentate le voci belle, che già naturalmente emettono suoni, ma imparare a “guidare” e manovrare una bella voce è ancora più difficile rispetto al farlo con una voce mediocre. Paradossalmente, ho visto risultati più importanti con le seconde che non con le prime.

Sempre a proposito dei Talent: pensi che possano essere utili a formare nuove voci oppure li ritieni corresponsabili di un certo “livellamento” dello stile canoro – per cui da questi show rischiano di uscire solo cloni degli artisti americani più in voga? Io personalmente sono molto critica, in fondo i miei cantanti preferiti – incluso Waits! – non verrebbero mai ammessi a un talent… tu che ne pensi?

Non li amo: credo che siano luoghi dove si costruiscono frustrazioni enormi o si lanciano fanciulli, spesso non necessariamente pronti, nella mischia. Questo perché le major, le grandi etichette discografiche, si sono accorte che gli unici posti dove si vendevano dischi erano i Talent: allora hanno investito lì. Voglio dire, da un lato è buono vedere che ci sono tanti ragazzi dotati di talento: esistevano pure prima ma non lo sapeva nessuno, quindi forse adesso è meno semplice andare in televisione se non sai fare bene qualcosa: però non è tutto lì. Io per esempio adoro le scuole alla “Saranno Famosi” ma sono scuole che hanno un tempo per formare artisti: non è tutto in sei mesi per necessità televisive, ci vogliono almeno tre o quattro anni. Capisci? Questo non è sano, fermo restando che ci sono sicuramente ragazzi bravi, escono fuori più gli strilloni che non le personalità forti e lo capisci perché sono fuochi di paglia, a parte i rari casi in cui c’è dietro un investimento discografico furioso.

Siamo tornati a nominare Waits, quindi ecco un’ultima domanda tra il serio e il faceto, visto che so che il tuo grande talento si estende anche alla cucina: il nostro Tom ti fa una visita improvvisata autoinvitandosi a cena. Cosa gli prepari?

Uuuh! (Ride) Beh, io amo la cucina orientale ma nel suo caso mi sa che se gli faccio una carbonara profumata al limone e carciofi e saltimbocca alla romana lo faccio felice! Tutto innaffiato da un bel rosso e un Lagavulin finale!!!

Per finire, vuoi segnalarci quali saranno i prossimi appuntamenti con la tua musica, in vista dell’estate?

Abbiamo un po’ di date, a Rapsodica a fine maggio e poi qualche data calabrese: l’11 giugno su Tramjazz con le canzoni del Mediterraneo, molte cose si stanno ancora definendo ma sul mio sito si possono trovare tutte le informazioni.

Sito ufficiale

www.raffaelasiniscalchi.com

Profilo Facebook

www.facebook.com/raffaela.siniscalchi.5

Intervista di Ludovica Valori

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