Mag 012017
 

Walter Siti. Bruciare tutto. Rizzoli, 2017. 369 pag. 20 euro

½☆☆☆☆

bruciareWalter Siti è stato un autore anomalo, dalla rarefatta e tardiva “produzione”. Per molti anni, probabilmente occupato dalla sua attività di critico, studioso e docente, si era tenuto lontano dai sentieri più battuti dall’editoria italiana ed era seguito da un numero limitato di lettori. Anche per questo aveva sorpreso non poco la vittoria dello “Strega” del 2012. La sorpresa veniva in parte dal sui “curriculum letterario” e in parte per l’opera vincitrice, un romanzo dalle tematiche rimasticate infinite volte (“Resistere non serve a niente”, Rizzoli) che nulla aveva a che fare con i precedenti.

Dopo un altro romanzo, sostanzialmente irrilevante, del 2014 (Exit Strategy, sempre Rizzoli) è da poche settimane in libreria quest’ultimo testo che, com’è sin troppo facile ironizzare, ha nel titolo, inteso come suggerimento, la parte migliore.

Come ho già avuto modo di scrivere diverse volte, sono convinto che ogni romanzo sia “a tesi”, più o meno volutamente, più o meno coscientemente, più o meno in buona fede. Il problema nasce quando alla tesi non si aggiunge altro, quando la migrazione dalla tesi alla narrazione risulta farraginosa, monca o semplicemente scritta in modo non seducente o, almeno, convincente.

Siti, in questo romanzo, parte da una domanda che, semplificando, potrebbe suonare così: “Sono responsabile dei miei pensieri o di quello che faccio?”. Certo, non è una domanda originalissima, l’esplorazione letteraria e psicologica di questo quesito è già stata svolta in innumerevoli occasioni. Evidentemente Siti immaginava di aggiungere qualcosa, di dare una nuova prospettiva a questa tematica o, forse, pensava di dar più sostanza, profondità e riflessi al tutto assumendo come protagonista un prete, ma anche di questa “variabile” si possono ricordare illustri precedenti.

Per pietà tralascerò di commentare le polemiche su quello che uno scrittore può dire o non dire, della storia sulla dedica a Don Milani (francamente me ne frega molto meno di niente), in molti si sono cimentati prima di me e l’elenco delle boiate credo sia stato completato senza che io lo saturi ulteriormente con le mie. A tale riguardo la cosa “migliore” che mi è capitato di leggere in questo periodo è stato un articolo su “Repubblica” in cui il giornalista (che non citerò) ammettendo di non aver ancora letto una sola riga del romanzo, lo commentava in astratto, citando precedenti “scandali” letterari. Evidentemente siamo oltre le fake news che tanto fanno dibattere: siamo arrivati di gran corsa alla non news, ma questo è tutt’altro discorso.

Chiusa parentesi mass mediologica, andiamo oltre.

Ciò su cui mi sento di spendere qualche parola è il testo, sulla qualità della scrittura, perché sono convinto che proprio in questo risiedano i maggiori problemi di questo romanzo. Visto che finora tutti hanno straparlato di morale, di limiti etici della letteratura ecc. ecc. e nessuno del valore del testo, mi sembra anche la cosa meno scema da fare.

Siti, forse per la sua formazione in parte critica e in parte poetica, non ha alcuna capacità affabulatoria, in altre parole: la narrativa non è uno sport nel quale è particolarmente versato.

Con i dovuti e inevitabili distinguo, sembra un fotografo a cui sia stata messa in mano una macchina da presa e che non sappia comporre sequenze ma soltanto scattare istantanee. Ammassa flash su flash interrompendo il flusso narrativo e, di conseguenza, allontanando il lettore dalla vicenda.

A tratti diventa letteralmente insopportabile quando trascrive intere pagine (anche più d’una, in un caso oltre tre, da pag. 60 a pag. 63, dalla Genesi) di sacre scritture, preghiere, citazioni e invocazioni mistiche e chi legge non può evitare di domandarsi la ragione di questo. Se lo ha fatto per illustrarci l’humus culturale del protagonista avrei gradito una sintesi, se per sfoggiare cultura religiosa avrei preferito la pagina bianca.

Non di rado i dialoghi sono inutili, riempitivi e insulsi. Spesso, quando a parlare sono “popolani”, hanno aroma vagamente leghista (sempre l’humus esistenziale in cui fermenta il protagonista?) e altre volte vacui, pretenziosi e noiosi come i personaggi della Milano bene che li pronunciano. In molti casi, e sono queste le parti più dure da digerire, sono privi delle attribuzioni e questo li rende anche difficili da seguire. Oltre ad avere questa difficoltà di lettura, rimestano nella loro ripetitività e non aggiungono nulla a quanto già si sa.

I personaggi secondari sono monodimensionali, senza la minima sfumatura, non regalano uno scatto neppure quando se ne sente la necessità quasi fisica, quando si è vicinissimi ad implorare l’autore per avere una sterzata, una lieve sbandata o una acceleratina. Niente da fare: il testo corre su binari e non ha minima intenzione di scartare di lato e cadere (ved. il bufalo di De Gregori)

Ma Siti, ad un certo punto esagera e finisce per scavarsi la fossa con le sue stesse mani.

Arrivato in stazione frena troppo bruscamente e fa ruzzolare il poco che aveva costruito.

Il climax del romanzo, la mina che secondo l’autore dovrebbe far esplodere le tensioni interne del protagonista e squadernare la sua esistenza, risiede nella proposta sessuale che un bimbo di dieci anni, Andrea, fa al prete pedofilo non praticante.

“Posso toccarti il pisello?” è la timida e velata avance del bimbo.

E alla risposta eroicamente negativa del prete, dilaniato tra voglie carnali e repressione delle medesime, il bimbo si uccide. Così, come mangiare una merendina, o fare una giocatina alla Play station. E questo senza che all’autore, a parte qualche riga buttata lì alla meno peggio, venga in mente di spiegarci cosa frulli nella testa del ragazzino. Siti, non solo elude il suo compito, ma in corrispondenza di questa scena, in una nota a piè di pagina, rivolgendosi al bimbo, si premura di aggiungere: “Ciao Andrea, sono il tuo inventore; tutti mi hanno sempre ripetuto che i bambini non si suicidano e tu invece lo stai facendo; scusa se ti costringo a pronunciare parole poco adatte ai bambini, ma io e te sappiamo che le sciocchezze meritano solo un’alzata di spalle”.

Con tanti carissimi saluti alla sospensione dell’incredulità e al patto di finzione.

Se qualcuno mi spiegasse cosa voleva dire, fare o significare Siti con questa sortita sarei molto contento. Io non ci sono arrivato.

Ps. Se a qualcuno venisse in mente di tirare fuori l’immensa idiozia del “romanzo sperimentale” se ne dovrà assumere le responsabilità. Anche legalmente, perché come minimo lo querelo.

recensione di Daniele Borghi

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