Ago 042013
 

Che Dio ci perdoni di A. M. Homes.Feltrinelli. Collana “I Narratori” 19 Euro, 496 pagine

★★★☆☆

Amy Michael Homes è una delle scrittrici più originali comparse sulla scena mondiale negli ultimi dieci o quindici anni. Naturalmente non sono il primo e il solo a dirlo: la gran quantità di premi letterari e le dichiarazioni d’amore incondizionato di affermati colleghi e severissimi critici, mi fanno stare in numerosa compagnia, buon ultimo di una lunga fila.
Ho letteralmente adorato il suo “Questo libro ti salverà la vita”. Quel romanzo mi ha aperto porte e finestre su un modo nuovo di raccontare, di narrare con una voce distaccata ma sottilmente partecipe, dolcemente interessata alla vicende dei protagonisti eppure lievemente asettica, molto controllata. E l’approccio alle ossessioni tipiche del nostro ultimo ventennio, in cui ai primissimi posti si trovano sicuramente il denaro, le problematiche delle famiglie disfunzionali e Internet, era assolutamente straordinario, profondo e senza remore. Se a questo si aggiunge un finale a dir poco delizioso, quasi all’altezza dell’ormai mitico finale de “il Grande Gatsby”, si faceva molto presto a capire che ci si trovava davanti ad una grande autrice e ad un romanzo che potrà essere ancora letto tra cent’anni.
Forse è stato questo a far lievemente inciampare la nostra grande autrice: dopo aver scritto un romanzo di quella portata, di quell’ampiezza e genialità, comporne un altro alla stessa altezza era un’impresa ai limiti dell’impossibile. Lei, coraggiosamente, ci ha comunque provato.
Da una sua intervista rilasciata ad un quotidiano americano leggo: “Non voglio scrivere storie che si limitino a documentare la vita quotidiana. Per me scrivere è andare oltre. Scrivendo cerco di portare all’estremo il confine di ciò che è reale e possibile. Cerco di dare una lettura culturale e sociale del dove stiamo andando. E spesso le storie che racconto finiscono per diventare realtà”.
Ecco, forse il peccato originale di “Che Dio ci perdoni” (pessima traduzione del titolo originale “May we be forgiven”) risiede proprio in questo: l’estremo confine citato da A.M. Homes inizia a toccare il non credibile. E’ chiaro che la letteratura ha sempre varcato le soglie del credibile, ciò che in questo caso rischia di infastidire è voler far digerire al lettore cose difficilissime da credere come qualcosa di routinario. Nulla da eccepire sulle qualità della scrittrice, ma nel leggere si avvertono forzature che nuotano nella profondità della vicenda e che si sforzano per non venire a galla e mandare tutto in vacca. Ogni cosa che accade non ha mai, neppure una volta, la possibilità di essere “normale”. Ogni personaggio è un intreccio di nevrosi, pazzie, fissazioni e paranoie e, paradossalmente, gli unici che sembrano quasi riuscire a mantenere un certo equilibrio sono due ragazzi.
Questi ultimi sono i figli di una coppia in cui il padre ha ucciso la madre per averla trovata a letto con lo zio (il protagonista, Harold Silver) che diventa loro tutore e con cui vanno a vivere in compagnia di due vecchi rincoglioniti dall’Alzheimer, a loro volta genitori di una sua amante più o meno occasionale che sparisce dopo avergli affibbiato i vecchi. A quest’allegra combriccola va aggiunto un ragazzino ispanico che è stato reso orfano dall’uxoricida di cui sopra che, prima dell’uxoricidio, ma già ben lesso, gli ha trucidato i genitori in un incidente stradale.
In altre parole: quelli che dovrebbero essere i più stralunati sono quelli più “normali”.
Forse perché i ragazzi molto giovani hanno maggiori capacità di adattamento? Chissà.
E questo che ho appena scritto serve soltanto a dare una pitturata allo sfondo, a dare le coordinate di massima dell’ambientazione e dei personaggi, tralascio i particolari che non sono da meno, anzi… Va benissimo spingersi oltre, ma molto oltre si rischia di cadere nel ridicolo.
Va detto e sottolineato che il romanzo è godibilissimo ma, come avrebbe detto il solito insegnante “La Signora Homes potrebbe fare molto di più”. Con la capacità di scrittura che ha, con la sensibilità che possiede nel tratteggiare i personaggi, potrebbe evitare di spingersi troppo oltre e regalarci molte ore di piacevolissima, profonda letteratura. Per una scrittrice grondante talento come A. M. Homes, per farsi leggere e apprezzare, non è necessario architettare vicende, personaggi e particolari sempre e comunque ai limiti della credibilità, anzi, mi sentirei di suggerire il contrario.
Purtroppo (per me e credo molti lettori) sono certo che il mio consiglio rimarrà inascoltato e che lei, continuando a vendere centinaia di migliaia di copie, sarà molto contenta di come prcedono le cose e con le mie parole dai margini dell’impero, magari stampate, possa fare un uso non troppo nobile.

Recensione di Daniele Borghi

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