Ott 192010
 

Comincio a pensare che chi scrive solo “seriale” non sia un vero scrittore.
No so cosa, ma scrittore no, non credo. Uno scrittore dovrebbe avere forza, voglia e coraggio per affrontare spazi nuovi (almeno per lui/lei), situazioni, trame, modi di scrivere, punti di vista e modalità espressive sempre diverse.
Mi si potrà rispondere che anche Simenon con Maigret ha fatto una delle più nutrite serie di romanzi con lo stesso personaggio, che Camilleri è un grande scrittore e chissà quanti altri autori che adesso mi sfuggono (o meglio, di cui non ho voglia di fare l’elenco) hanno ripetuto personaggi per anni e anni… Ma la mia idea non cambia.
Insomma, pensate ad un qualsiasi scrittore sia ancora letto, apprezzato e studiato dopo cinquant’anni dal suo esordio e ditemi quanti ce ne sono che abbiano legato mani e piedi il proprio nome ad un solo personaggio. O ancora: ditemi se riuscite ancora a sorridere quando a Catarella sfugge la maniglia della porta e Montalbano s’inca**a? Oppure, riuscite a non avere una sgradevole sensazione di fastidio nel sentir descrivere Maigret che si accende la pipa o entra in un bistrò ? Non è che ce l’ho con questi due scrittori, l’esempio mi viene comodo perché, probabilmente, sono i più conosciuti. E allora, visto che questi due vendono libri a tonnellate (anche quello che è morto da un sacco di tempo) forse la domanda dovrebbe essere un’altra: perché ai lettori piacciono le serie? E qui si va ad affrontare un argomento complicato, anzi, complicatissimo, si potrebbe scrivere praticamente qualsiasi cosa ed ogni qualsiasi cosa si andasse a scrivere potrebbe avere una sua validità. Faccio un elenco di ipotesi, le prime che mi vengono in mente.
I lettori si affezionano ai personaggi perché hanno una vita relazionale di me**a e cercano amici di carta? Si identificano nei loro eroi perché hanno una percezione di sé così triste da aver bisogno di qualche essere di carta per sentirsi migliori? Hanno piacere a rileggere le stesse cose perché così non faticano a capirle? Detto in altre e più semplici parole, sono stupidi? Dato che le serie sono quasi esclusivamente “gialle” è una predilezione per il genere letterario? Hanno cominciato con uno e non smettono perché è piaciuto loro, una cosa come quella che (a voler dar retta al detto popolare) accade con le ciliegie? Una sorta di coazione a rileggere praticamente sempre lo stesso romanzo? Dopo la classica giornata di lavoro i lettori tendono ad affrontare qualcosa di già familiare, qualcosa che non richieda lo sforzo di affrontare nuove situazioni, personaggi, caratteri o stili di scrittura? Una tossicodipendenza letteraria? Una sindrome di Stoccolma formato cartaceo? Le promozioni, e quindi le vendite, sono più facili e convincenti da fare usando la solita tristissima formula: “In libreria l’ultima avventura di………” ?
Porco ca**o! Se si va in libreria sembra di entrare in una copisteria. Prima non l’ho fatto perché l’elenco è interminabile ma qualcosa la devo scrivere. Soltanto tra quelli che soggiornano stabilmente in libreria, fissi come il Milite Ignoto a Piazza Venezia e che quattro persone su cinque conoscono almeno per sentito dire, ci sono: i due che ho detto prima con una produzione sterminata, quasi irritante, Patricia Cornwell con Kay Scarpetta (di cui è riuscita a pubblicare persino le ricette che non commento per decenza e/o pietà) e un’altra donna poliziotto di cui non ricordo il nome e di cui siamo (mi pare) alla quarta puntata, Katy Reichs con Temperance Brennan, Fred Vargas (o come si chiama davvero) con il commissario Adamsberg, Henning Mankell con l’ispettore Wallander, Michael Connelly con il suo poliziotto (non ricordo il grado) che si chiama Hieronimus Bosch (qualcuno potrebbe esclamare: meco**ni!).
Forzando la memoria ne aggiungerei molti altri, ma, come ho detto prima questi sono solo i contemporanei, quelli più conosciuti e quelli sempre, ripeto, sempre presenti in ogni libreria. Se si volesse veramente fare l’elenco degli autori seriali e dei loro personaggi occorrerebbero moltissime pagine.
E anche le piccole case editrici si mettono in scia! Ne esiste una di Roma che ha fatto una cosa da galera: non solo fa quasi esclusivamente serie di gialli con lo stesso autore e protagonista ma è riuscita nell’iperbole di fare una o più serie per ogni città italiana, almeno le più grandi. In altre parole la serie delle serie: Grandioso! E se si pensa che dovrebbero esser le piccole case editrici a mettere in luce nuovi talenti che non trovano modo di esordire con le grandi… vengono i lucciconi.
Come si è capito questo non è un vero e proprio articolo, è uno sfogo da sconforto miscelato ad una richiesta di aiuto che viene metà dal lettore e metà dallo scrittore (scusate l’abuso di titolo).
Per lo sfogo cercate di scusarmi, per quanto riguarda invece la richiesta di aiuto sarei molto contento se qualcuno (e sarebbe bello fosse un appassionato di seriali) volesse/potesse rispondere alle domande che ho scritto prima oppure, ancora meglio, mi regalasse le sue risposte

Articolo di Daniele Borghi

  3 Responses to “Le serie letterarie: dov’è il coraggio dell’autore (per non parlare di quello del lettore..)?”

  1. […] Per approfondire consulta la fonte: Le serie letterarie: dov’è il coraggio dell’autore (per non parlare di quello del lettore..)? […]

  2. Mankell ha scritto bellissimi romanzi senza Wallander (Scarpe Italiane, il Cinese, nel cuore profondo). Per non parlare di Simenon (e qui l’elenco potrebbe essere lunghissimo). In ogni caso, al di là di ovvie convenienze commerciali da parte degli autori, non ci vedo nulla di male nell’affezionarsi ad un protagonista.

  3. dal mio punto di vista credo che scrivere sia sempre una prova da superare anche se conosciamo luoghi e protagonisti come nel caso si Camilleri e Simenon e tanti altri, premetto che non amo quel genere ma lo rispetto.
    tuttavia non posso fare a meno di confessare di essere orgoglioso di appartenere a quella “categoria” di scrittori che, come dice Daniele, s’inventa ogni volta qualcosa che non ha niente a che fare con ciò che ha scritto prima.
    siamo sicuri che sia più “facile”? o che sia più “creativo”? onestamente non saprei rispondere.
    non è molto che scrivo ma quando lo faccio ho la sensazione di vivere in un’altra dimensione, questo è quello che conta.
    grazie
    Massimo

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