Lug 202017
 

Pagine piene di parole e disegni, percorsi di lettura multipli e intricati, una forma di autoanalisi a fumetti che prende il cuore nella sua solo apparente semplicità. Un tratto peculiare, mai addomesticato dai manierismi, che racconta senza veli le vicissitudini dell’autrice: dalle grandi domande che ogni artista si pone alle piccole gioie della quotidianità. I picnic con le amiche, l’avventura di crescere una figlia, le esperienze lavorative ma anche le paure e le insicurezze fino al dolore di una separazione. Il tutto sul particolarissimo supporto della moleskine, l’agendina nera resa celebre dal mitico scrittore-viaggiatore-avventuriero Bruce Chatwin. Questo è Born To Lose, l’ultima fatica di Nicoz Balboa, giovane illustratrice e tatuatrice romana trapiantata in Francia. La incontriamo durante una delle sue frequenti visite a Roma, dove ha presentato il suo libro e partecipato a una mostra assieme a William Baglione presso lo Hangar Tattoo studio & Art Gallery.

NIcoz al lavoro

NIcoz al lavoro

Ciao Nicoz. E’ un piacere poter sfogliare il tuo libro dopo aver ammirato per tanto tempo i tuoi disegni dallo schermo del computer. Come è nata l’idea di Born to Lose?

Born To Lose nasce da un’idea di diario grafico: ho comprato un’agenda moleskine nel dicembre 2010 con l’idea di iniziare questo progetto intitolato: “Un autoritratto al giorno, ovvero come imparare ad amare me stessa per trovare un altro marito”. Volevo disegnare un autoritratto al giorno, uno per pagina: invece da subito non sono riuscita a combattere l’horror vacui e ho cominciato a raccontare minuziosamente le mie giornate. 

Quando hai cominciato a usare le moleskine? Cosa ti ha spinto a sceglierle come supporto per i tuoi lavori?

All’inizio, molto banalmente, l’austerità di quella copertina di pelle nera chiusa da un elastico nero a sua volta. Poi mi sono innamorata della carta: parlo delle moleskine con i fogli lisci, quelle per ‘scrivere,’ per intenderci, non quelle con la carta da ‘disegno’.

 Vivi da tempo in Francia ma torni spesso a Roma, città alla quale sei molto legata. Pensi che potresti tornare a vivere in Italia?

Ci tornerei anche domani se mia figlia non fosse legata alla Francia, perché suo padre si trova qui e non voglio portarla via da questa parte così importante della sua vita. Tornerò quando mia figlia sarà grande e potrà scegliere dove e come andare.

Oggi il fumetto sta conoscendo una nuova interessante stagione: il genere del graphic novel si è affermato e ci sono tanti nuovi autori anche italiani. Tuttavia il cosiddetto ‘mainstream’ non si è forse ancora accorto di questa evoluzione e continua a considerare il fumetto come un’arte marginale. Tu cosa ne pensi? Di cosa parliamo quando parliamo di fumetto oggi?

Io sarò sempre d’accordo con una minoranza, come diceva il mio alter ego Michele Apicella. E nel fumetto, esattamente come nella musica, ce n’è per tutti i gusti. Da Dylan Dog alle cose matte porno e fluo dei Le Dernier Cri. Per me la fruizione artistica dipende dall’umore del giorno, dalla necessità emotiva del momento. Posso leggere Dylan Dog (e dimenarmi su Beyoncé) e magari il giorno dopo posso solo leggere Caroline Sury o decifrare i collages matti di Lyunda Barry ascoltando i Converge o gli Against Me!

Una pagina di "Born to Lose"

Sono cresciuta con i fumetti di Linus, gloriosa rivista che oltre ai Peanuts portò i lettori italiani a conoscere tanti autori tra cui Claire Brétécher, Reiser e Wolinski. Ho ritrovato qualcosa di loro nel tuo tratto. E’ un caso? Quali sono gli artisti che ti hanno ispirato nel tuo percorso?

Di solito le persone che mi ispirano artisticamente mi nutrono per un momento, rimango un po’ di tempo con loro leggendo o guardando tutto il possibile. Una volta digeriti fanno parte di me. 

Sei una abilissima e affermata tatuatrice (so di cosa parlo perché porto una tua opera sul braccio!). In questo periodo anche il tatuaggio sta conoscendo una stagione felice. Cosa ti dà soddisfazione nell’esercitare questa arte antichissima?

La soddisfazione più grande è il rapporto 1:1 che si ha con la/il cliente: quando si è di fronte al foglio si è soli e a volte non si è spinti al limite. Quando si lavora per una persona che porterà il disegno per tutta la sua vita sulla pelle, beh, si è quasi solo esecutori e si racconta la loro storia .

Torniamo ora al tuo libro: il diario è una forma narrativa molto coinvolgente. Ci vuole comunque molto coraggio per mettersi a nudo raccontando con le immagini le proprie vicende personali. Come hai vissuto questo aspetto? Quali sono state le reazioni delle persone a te vicine?

Non è stata una scelta, è stata più una necessità e lo capisco solo adesso “raccontandolo”: volevo fare questa cosa degli autoritratti giornalieri perché volevo imparare ad amarmi e, di conseguenza, uscire da una storia con una persona che mi faceva soffrire. Adesso, dopo sei anni, mi rendo conto che inconsciamente avevo già capito che nessuno può farti soffrire perché “non ti ama” se ami te stesso. La chiave della felicità è l’accettazione della realtà. L’unico modo che ho trovato per accettarla è stato raccontarla e, di conseguenza, vederla da fuori come uno spettatore. Quindi direi che, sul momento, non è stato difficile perché era come un’esplosione, come quando corri al bagno perché devi vomitare. Adesso, nel 2017, è più difficile rileggermi perché è un po’ come pulire intorno alla tazza del cesso il giorno dopo che hai avuto l’influenza intestinale e la malattia è passata. Invece le persone che ho intorno lo hanno accolto con molto affetto e coinvolgimento: il problema è più mio.

Una pagina di "Born to Lose"

Ci siamo conosciute grazie alla musica: svariati anni fa, quando facevo parte di Ardecore, hai scritto un post sul tuo blog in cui parlavi di una canzone della band. Anche nel tuo Born to Lose ci sono molti rimandi alla musica, a partire dal titolo, che cita il brano di Johnny Thunders. Recentemente ci siamo anche incontrate al concerto di Teho Teardo e Blixa Bargeld al Quirinetta di Roma. Quanto conta la musica nella tua arte? Cosa ascolti quando disegni?

Sì, la musica è tutto: spesso nei miei disegni le frasi che inserisco vengono dalle canzoni e alcune band possono condizionare tutta una serie. Ho bisogno sempre della musica giusta al momento giusto. Forse perché il mio sogno sarebbe stato quello di saper suonare, avrei passato molto meno tempo chiusa in una stanza da sola. E quante ragazze avrei rimorchiato! (Ride)

Quali sono i tuoi prossimi progetti artistici?

Mi piacerebbe ributtarmi un po’ nel tatuaggio, dopo tutti questi mesi in giro a presentare Born To Lose la vita in studio mi manca molto (e mi manca il Ten Bells, il Tattoo studio dove lavoro a Roma!), questo rapporto 1:1 con la creazione di cui parlavo prima. I colleghi e la musica ascoltata a tutta callara per coprire il rumore delle macchinette.

Una pagina di "Born to Lose"

Born to Lose, Nicoz Balboa, Edizioni Coconino Cult, Pagine: 192, colore, formato 17 x 24 cm

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Intervista di Ludovica Valori

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