Ago 082007
 

Probabilmente il suo nome non significa molto a tutti coloro che non hanno ancora trent’anni. A beneficio dei più giovani, precisiamo subito che non stiamo parlando di un fratello sfigato di Michael Jackson, ma di un artista britannico, il cui vero nome è David Jackson, ormai trapiantato da anni negli States, emerso musicalmente a cavallo tra gli anni settanta e gli ottanta, in piena epoca new-wave. normal_9.Joe_Jacksonred.JPG
Al contrario però di altri esponenti di quella corrente musicale, il Nostro si distingue per una particolare attenzione alle armonie ed alle melodie; il suo background, in effetti, non pare proprio quello di un figlio del punk, del quale mutua solamente l’impatto energetico e la rabbia giovanile. Diplomato in pianoforte e percussioni presso la Royal Academy of Music, a vent’anni s’improvvisa pianista di cabaret e del Playboy Club di Portsmouth, attività grazie alle quali riuscì a racimolare il denaro necessario ad incidere alcuni demo con la sua prima band, gli Arms & Legs, dalle cui ceneri si sarebbe poi formata la Joe Jackson Band.
Dopo una serie di concerti in tutto il Regno Unito, la Joe Jackson Band pubblica ben due album nel corso del 1979, quando il loro leader, ventiquattrenne, riversa su vinile tutto il proprio disagio giovanile di brutto anatroccolo alto, dinoccolato, asmatico, utilizzando testi pieni di ironia, anche se ancora acerbi ed ingenui ,con canzoni musicalmente mai banali, con intuizioni e soluzioni creative sempre originali, tutte di sua composizione.
Dopo un terzo album, Beat Crazy, più virato verso sonorità reggae, seguendo a modo suo le orme dei Clash di cui è sempre stato un grande ammiratore, ed alla fine di un estenuante tour mondiale, la Joe Jackson Band si scioglie.
A dimostrazione di una concezione della musica a tutto tondo, volendo sfuggire alle etichette ed alle facili classificazioni, Joe Jackson si avvicina al jazz, musica che ha sempre ascoltato con interesse e competenza. Il risultato di questa fase è un album, Jumpin’ Jive, suonato con una big band di sette elementi, omaggio ai rappresentanti di un genere, il Jive appunto, che negli anni quaranta non era considerato una musica rispettabile, ma veniva suonato nei bordelli da grandi musicisti come Cab Calloway, Lester Young e Louis Jordan. Un album pregevolissimo, che fece arricciare il naso agli estimatori della prima ora, e che fece da preludio alla svolta di metà anni ottanta: l’approdo a New York e l’abbandono della classica struttura della rock band (basso, chitarra elettrica e batteria).
L’espressione di questo periodo si ritrova in due album (Night & Day e Body & Soul), in cui è evidente il punto di vista di un inglese che guarda agli States con ammirazione miscelata al sarcasmo ed alla corrosiva ironia che sempre accompagneranno Joe Jackson in tutta la sua produzione musicale. La Grande Mela affascina ed entusiasma, ma non per questo non ci si accorge che sia bacata. I suoni e gli arrangiamenti sono più complessi ed articolati, con riferimenti a Gershwin e Cole Porter ; si aggiungono elementi latini tipici del meltin’ pot newyorkese.
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Dopo aver più volte affermato che secondo lui il rock era morto, eccoci di fronte all’ennesimo cambio di rotta: con l’album Big World, originariamente pubblicato nel 1986 come doppio LP inciso solo su tre lati, assistiamo al ritorno ad un repertorio ed una line-up decisamente più vicini ai suoi esordi: i suoni sono sempre molto ricercati ed i testi intrisi di una profonda malinconia. Tra gli altri brani, appartiene a questo disco il pezzo Hometown, che da allora farà sempre parte del suo repertorio dal vivo.
A proposito di musica dal vivo, è opportuno aprire una parentesi sui concerti di Joe Jackson.
Il nostro artista ha più volte ribadito l’importanza che per lui hanno sempre avuto le performance dal vivo. “Non importa quanto sia vasto il pubblico, quanto pessima sia l’acustica, quanto confortevole sia il camerino, ogni show è importante”. La sua teoria è che per mantenere le cose interessanti per se stesso, e di conseguenza per il proprio pubblico è necessario rimescolare le carte, riproporre il proprio repertorio in maniera diversa e con band diverse da una tournèe all’altra: “se sono soddisfatto e stimolato da ciò che vado ad eseguire, anche il pubblico lo sarà anche se probabilmente non si tratterà di ciò che si aspetta”. Ci troviamo pertanto davanti a suoi cavalli di battaglia, quali ad esempio “Fools in Love” ma soprattutto ‘Is she really goin’ out with him?”, da lui proposti negli anni in maniera sempre nuova, con versioni acustiche in stile neo-folk, oppure ‘a cappella’, o in perfetto stile rockabilly, rendendo ogni tournèe diversa dalla precedente.
Il suo sforzo maggiore è volto alla creazione di un’unica entità tra pubblico ed artisti sul palco. “In una serata particolarmente riuscita, noi voliamo. E’ come se la musica abbia il potere di neutralizzare la forza di gravità. Come quei matti che vedi in TV, che si buttano da un aereo e si uniscono con le braccia in caduta libera: non sembra che stiano realmente cadendo, ma fluttuando, come se il tempo si fosse fermato”.
Dopo aver collaborato con il regista Francis Ford Coppola per la colonna sonora del film Tucker, arriva la pubblicazione di un altro album fondamentale, Blaze of Glory, con il quale si chiude la decade: possiamo affermare che questa tappa sintetizzi in maniera completa la poetica di Joe Jackson, con brani di grande respiro di difficile classificazione, molto ben suonati, grazie al contributo di tanti grandi musicisti che in epoche diverse avevano già collaborato con lui nel corso degli anni ottanta. Tra i temi affrontati, domande sul decennio che sta arrivando, un amore senza passato e forse senza futuro, il ritorno a Londra, l’esigenza di rigore e disciplina, l’importanza del contatto umano.
Il nuovo decennio si presenta pieno di problemi e di difficoltà; un matrimonio fallito ed una grave forma di depressione limitano la produzione di Joe Jackson, che dà alla luce un paio di album minori; fortunatamente gli anni novanta si chiudono con la pubblicazione di un nuovo ambizioso progetto strumentale, “Simphony No. 1” , una vera e propria sinfonia in quattro movimenti alla quale contribuiscono dieci musicisti, tra cui il chitarrista Steve Vai, che raggiunge il prestigioso traguardo di un Grammy Award.
Rinfrancato da questa grande soddisfazione, Joe Jackson sente l’esigenza di rendere nuovamente omaggio alla sua città di adozione, New York, alle atmosfere della quale si ispira Night & Day II, ideale proseguimento del primo capitolo risalente a 18 anni prima. La città è cambiata, il miscuglio di razze e di culture è sempre più evidente, la città suscita amore ed odio come sempre, le sensazioni e le emozioni sono un miscuglio di glamour e dolore, mutuando il concetto dal titolo di un brano. Al disco collaborano grandi nomi, tra cui ricordiamo, oltre al fedele bassista ed amico fraterno Graham Maby, il percussionista Roberto Rodriguez, collaboratore stabile di Marc Ribot, e la sfavillante presenza di Marianne Faithfull.
Un altro segnale di questa rinascita va ritrovato nella pubblicazione dell’autobiografia “ A cure for gravity”, una sorta di affresco della vita dell’artista prima di raggiungere il successo; il racconto della propria visione della musica si alterna ad episodi della sua gioventù in Inghilterra, con frequenti digressioni sui più svariati musicisti, da Stravinski ai Prodigy, passando per Sibelius, gli Oasis, Brian Eno e Charlie Parker. Insomma, ci troviamo di fronte ad un’opera molto interessante, anche dal punto di vista letterario: leggendo queste pagine a volte si ha la sensazione di trovarsi di fronte a Nick Hornby, o a certi scorci di periferie descritti con ironia e sincera partecipazione da Ken Loach o Roddy Doyle.
Per arrivare a tempi più recenti, l’ultima parte del nostro percorso ci porta ad una clamorosa reunion della Joe Jackson Band che, a venticinque anni dallo scioglimento, si ritrova nella sua formazione originale, inizialmente per una serie di concerti in Inghilterra nei quali, oltre al vecchio repertorio, vengono testati i nuovi brani che andranno a formare un album chiamato Volume 4, che lungi dall’ apparire una triste e vuota operazione nostalgia, ci presenta un repertorio molto attuale, fresco, per nulla datato e comunque legato ai tre album precedenti della band da un invisibile filo lungo un quarto di secolo.
All’album è seguita una lunga tournèe in Europa e negli USA, testimoniata da un album dal vivo, al termine della quale Joe Jackson ha definitivamente sciolto la Band.
Le sue ultime apparizioni in Italia risalgono al 2005, per una serie di concerti insieme ad ETHEL ,un quartetto d’archi molto particolare, e, soprattutto, insieme al grande Todd Rundgren, col quale ha diviso il palco e la passione per i Beatles, testimoniata da splendide cover di brani come While My Guitar Gently Weeps dal White Album.
Le ultime notizie parlano di un tour estivo in Europa, appena conclusosi in Spagna, accompagnato in trio dal fido Graham Maby e dal batterista Dave Houghton (in pratica una JJ Band senza chitarra!!). Al termine del tour i tre si chiuderanno in studio per registrare un nuovo album, la cui uscita è prevista per la fine del 2007/inizio 2008.
Per concludere, in attesa del nuovo album, a chi non lo conoscesse consigliamo vivamente di accostarsi senza indugi ad un artista così vario e completo, del quale sono evidenti la grande passione per la musica senza barriere ed etichette, espressa sempre con sincerità e classe cristallina, qualità non sempre facilmente riscontrabili nell’attuale panorama musicale mondiale.
A chi lo ha conosciuto negli anni ottanta, ma magari lo ha perso per strada, suggeriamo di riscoprirlo, magari riannodando i fili del ricordo ascoltando Night & Day II, oppure il quarto album della Band.
Le foto nell’articolo sono state scattate durante il concerto della Joe Jackson Band al Marquee club di Londra il 26 settembre 2002. Tutte le foto del concerto.

DISCOGRAFIA UFFICIALE:
1979 Joe Jackson Band LOOK SHARP (A&M)
1979 Joe Jackson Band I’M THE MAN (A&M)
1980 Joe Jackson Band BEAT CRAZY (A&M) *
1980 Joe Jackson Band THE HARDER THEY COME (3-track EP) (A&M) *
1981 JOE JACKSON’S JUMPIN’ JIVE (A&M)
1982 Joe Jackson NIGHT & DAY (A&M)
1983 Joe Jackson MIKE’S MURDER (Film Soundtrack) (A&M)
1984 Joe Jackson BODY & SOUL (A&M)
1986 Joe Jackson BIG WORLD (A&M)
1987 Joe Jackson WILL POWER – The Instrumental Album (A&M) *
1988 Joe Jackson LIVE 1980-86 (A&M)
1988 Joe Jackson TUCKER – THE MAN AND HIS DREAM (Film Soundtrack) (A&M) *
1989 Joe Jackson BLAZE OF GLORY (A&M) *
1991 Joe Jackson LAUGHTER AND LUST (Virgin)
1994 Joe Jackson NIGHT MUSIC (Virgin)
1997 Joe Jackson and Friends HEAVEN & HELL (Sony Classical)
1999 Joe Jackson SYMPHONY No. 1 (Sony Classical)
2000 Joe Jackson/Graham Maby/Gary Burke SUMMER IN THE CITY – LIVE IN NEW YORK (Manticore/Sony)
2000 Joe Jackson NIGHT & DAY II (Manticore/Sony)
2001 Joe Jackson TWO RAINY NIGHTS – THE OFFICIAL BOOTLEG (Great Big Island)
2003 Joe Jackson Band VOLUME 4 (Restless/Ryko)
2004 Joe Jackson Band AFTERLIFE (Restless/Ryko)

NB: gli album contrassegnati da asterisco * sono fuori catalogo.
Per ulteriori informazioni suggeriamo di visitare il sito ufficiale www.joejackson.com

Con particolare piacere e soddisfazione segnaliamo che a giugno 2019 l’edizione italiana di “A Cure for Gravity”, autobiografia di Joe Jackson, finalmente viene pubblicata in italiano da VoloLibero Edizioni con il titolo “Gravità Zero”, traduzione di Fabrizio Forno.

  One Response to “Assenza di Gravità – Parliamo di Joe Jackson”

  1. […] di Joe Jackson E’ ufficiale: il prossimo 7 giugno uscirà un nuovo album dal vivo di Joe Jackson, in trio con i fidi Graham Maby al basso e Dave Houghton alla batteria, ovvero i suoi compagni […]

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