Nov 292015
 

foto twitterHo sempre ammirato gli artisti che hanno il coraggio di rinnovarsi, sperimentando nuove strade e mettendosi continuamente in discussione. Da musicista penso che sia l’unica maniera per rimanere sempre innamorati del proprio lavoro.

Il percorso artistico di Barbara Eramo, cantante italiana che ha saputo destreggiarsi tra pop, rock, jazz e musica etnica, lavorando sia in Italia che all’estero con molti progetti interessanti, si distingue per originalità e versatilità nel panorama della musica nostrana.

L’idea di intervistarla per presentare il suo prossimo concerto per Slowcult è nata quindi spontaneamente: ci incontriamo spesso sui palchi o ai concerti di altri amici musicisti e il confronto sulle nostre esperienze artistiche è sempre molto stimolante e piacevole.

Vediamo quindi di iniziare questa chiacchierata con Barbara, che sta preparando il suo prossimo concerto per la decima Slowfesta al Wishlist di Roma il prossimo 4 dicembre.

Cara Barbara, nella tua lunga carriera musicale hai sperimentato moltissimi generi, dal pop al jazz alla musica etnica: puoi raccontarci cosa ti porta a scegliere una sonorità piuttosto che unaltra nei tuoi molteplici progetti?

Cara Ludovica, grazie innanzitutto per esserti offerta come intervistatrice: concordo con te sul nostro stimolarci a vicenda ogni volta che capita di confrontarci. Per rispondere alla tua domanda: in realtà nella tua premessa c’è la risposta più vera per me, ovvero mantenere vivo l’amore per questo lavoro. Certo, a volte il rischio è stato quello di perdermi, specie nel passato, di non riuscire ad andare in profondità nei percorsi musicali intrapresi.

La mia indole musicale mi porta ad avere un approccio essenzialmente di tipo emotivo, curioso ed esplorativo – ed aggiungo poco ortodosso. Il mio modo di immergermi nella musica è totalmente esperienziale, non accademico. E’ così che ho formato la mia personalità musicale. Sono passata attraverso varie passioni dall’adolescenza ad oggi, grazie ad artisti che mi hanno illuminato: per questa ragione non amo chiudermi stilisticamente, perché ho sperimentato molto spesso la bellezza della folgorazione che nulla toglie alle precedenti, anzi! Ogni volta scopro possibilità espressive diverse che aggiungono ed espandono l’ispirazione.

Forse di fondo c’è amche una sorta di inquietudine, un non accontentarsi o adagiarsi troppo, ma questo fa sempre parte del discorso di “come tener vivo l’amore per il proprio lavoro”.

Oltre ad essere cantante, ti cimenti anche con strumenti come lukulele bass e il cajòn, una scelta sicuramente originale. Come mai hai scelto questi strumenti?

Ho iniziato a suonare il pianoforte e la chitarra già durante l’infanzia e l’adolescenza ma mi sentivo sempre indietro rispetto ai progressi che riuscivo ad ottenere con il canto: non tanto perché mi sentissi brava quanto per la facilità con cui riuscivo a memorizzare melodie e ad improvvisare. Indubbiamente mi è mancata un po’ di costanza e di fondo una certa insicurezza metteva ombra sulle mie possibilità di strumentista. Ma il “pallino” l’ho sempre avuto, così come quello di comporre, per cui oltre alla voce avevo bisogno di strumenti armonici. Così ho cominciato ad espormi timidamente in alcuni live con chitarra e piano, ma man mano ho trovato decisamente più affine rivolgermi a strumenti per i quali non fosse richiesto un talento strumentale virtuosistico ma che fossero funzionali all’insieme. Un po’ anche per esigenza, viste le frequenti esibizioni in duo che spesso ci si trova a fare, ho iniziato ad approcciarmi al cajòn e all’ukulele basso per il quale ho avuto un vero e proprio “colpo di fulmine”.

Credo mi dia sicurezza suonare uno strumento per il quale è sufficiente una pulsazione ritmico-armonica, senza troppe note intorno, così da lasciare un po’ più a briglia sciolta la voce. E poi gli ukulele sono strumenti della mia taglia: li trovo irresistibili!

Sei unartista molto sensibile e poliedrica: quali sono stati – e quali sono oggi – i tuoi punti di riferimento dal punto di vista musicale?

Ovviamente, almeno in apparenza, sono “schizofrenici”! In casa mia non si ascoltava granché  in quanto a musica, a parte quella che passava alla radio: una volta mi sono imbattuta in Kate Bush che cantava Babooshka e Wuthering Heights… ecco, la passione primordiale per questa artista non mi ha mai più abbandonata.

Poi durante l’adolescenza sono stata affetta anch’io da “Madonnite” perché quella donna ha un carisma eccezionale, soprattutto agli occhi di una adolescente che sogna di cantare e magari diventare famosa. A seguire la quasi ovvia Whitney Houston, che impressionava qualsiasi aspirante cantante della mia generazione: attraverso lei sono arrivata conoscere le grandi interpreti del jazz, del soul e del R&B come Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Aretha Franklin, le produzioni di Quincy Jones, l’inquietudine geniale di Charlie Parker e la poesia di Chet Baker … poi, in quanto adolescente degli anni ’80, ho assorbito l’influenza di Cure, Duran Duran, David Bowie, Lotus Eaters, Depeche Mode, The Police e – solo sullo sfondo – Pink Floyd e Beatles, che invece avrei amato in seguito.

Una parentesi la meritano anche i Litfiba e tutto il movimento rock fiorentino di quegli anni. Negli anni ’90 c’è stato il passaggio decisivo alla passione per il folk rock: dalla scoperta piuttosto tardiva di Nick Drake e soprattutto di Joni Mitchell, grande amore anch’essa e punto di riferimento direi massiccio per la mia formazione artistica, è stato tutto un susseguirsi di artisti incredibili per la mia formazione e per le scelte artistiche future: PJ Harvey, Bjork, Tori Amos, Radiohead, Fiona Apple, Ani Di Franco, Jeff Buckley, Hector Zazou, Portishead. Allo stesso tempo nasceva la curiosità per le musiche del mondo, in particolare l’area Mediterranea.

Trovo che sia davvero affascinante lincontro tra una musicista contemporanea e una poetessa che viene da unepoca completamente diversa: puoi raccontarci come è avvenuto il tuo incontro con Emily Dickinson e quali sono le cose che senti di avere in comune con lei?

barbara by nardoneLa fascinazione è stata leggerla e cantarla immediatamente: è di una musicalità sconvolgente. Una scrittura non immediata, la sua, ma se aggiri il filtro della ragione ti arriva dritta in pancia. Questo mi ha colpito: il senso mistico della natura intrisa al tempo stesso di umanità e viceversa, questa esplosione di vita ed inoltre la sua assoluta contemporaneità, il suo linguaggio immaginifico ma mai melenso.

E’ stato ancora più sconvolgente quando poi, leggendo la sua biografia, ho scoperto che viveva come una reclusa dentro casa. Sembrava famelica di vita ma la viveva solo dentro di sé. In comune con lei forse ho proprio questo modo intimo, privato, di vivere in disparte le passioni; anche un certo senso di inadeguatezza al mondo e l’idea di costruirsene uno “tutto per sé” grazie all’immaginazione. Tuttavia non potrei mai rinunciare all’esplorazione del reale, per lo meno per come mi conosco sinora.

Lautoproduzione sta diventando una valida alternativa per molti artisti indipendenti. Io ho scelto questa strada per il cd di Traindeville e sono sicura che farò così anche per il prossimo. Tu hai fatto questa scelta per il disco dedicato a Emily Dickinson, nato grazie a una campagna di crowdfunding.

Puoi raccontarci questa esperienza? La consiglieresti agli artisti che si affacciano ora sul panorama musicale?

Sì, la rifarei e la consiglio di sicuro: per quanto mi riguarda, probabilmente in futuro seguirei una modalità ancora diversa, ancor più indipendente ed autonoma, senza più appoggiarmi ad una piattaforma preesistente che di fatto non crea realmente un meccanismo “virale” o semplicemente promozionale per la propria musica. Certo, dipende anche dalla musica che si propone: di fatto, la promozione resta un lavoro che devi comunque svolgere tu, da sola, allora tanto vale rivolgersi direttamente alla propria cerchia di contatti, semplificando anche l’operazione – spesso piuttosto macchinosa – dei pagamenti.

Adesso una domanda difficile: si dice che il mondo della musica – specie qui in Italia – sia ancora molto maschilista. Io nella mia esperienza non mi sono mai troppo preoccupata di quel che pensano gli altri però ho riscontrato spesso un atteggiamento di condiscendenza. Capita che mi dicano in fondo per essere una donna suoni bene e questo non è certo piacevole.

Tu cosa ne pensi? Nella tua carriera ti sei mai scontrata con questo problema?

 Sì, non spesso ma è capitato. Più che altro è capitato di sentirmi dire continuamente quello che avrei dovuto fare e come mi sarei dovuta comportare, come se non fossi in grado di deciderlo da me. Ma al di là della mia esperienza è un dato di fatto che alla donna viene richiesto di essere tre volte più brava, bella, simpatica e al tempo stesso fortissima: checché se ne dica, il giudizio, il commento negativo – e dunque il pregiudizio – appaiono alla velocità della luce al benché minimo cedimento, bollandolo come “effetto” dell’essere donna. Ma come giustamente dici tu, io non ci penso e faccio le mie cose, conscia che si tratti un meccanismo talmente radicato, storico e difficile da estirpare che preferisco dedicarmi a fare bene quel che faccio e dire la mia – non come opinionista ma semplicemente come cantante e musicista – per chi mi vuole stare a sentire.

Il mondo della musica, tra nuove tecnologie e diverse modalità di fruizione, è cambiato molto in questi ultimi anni. Pensi che sia più difficile oggi fare musica rispetto allepoca in cui hai iniziato? Che rapporto hai con le nuove tecnologie e i social network?

Nonostante la mia riluttanza nei confronti della tecnologia credo che sia necessario aggiornarsi continuamente, trovando il modo di far arrivare notizie di sé finché si è in attività; inoltre il progresso tecnologico permette l’autoproduzione discografica, cosa impensabile già solo una decina-quindicina di anni fa, senza che questo si sovrapponga alla ricerca musicale vera e propria che resta l’esperienza in assoluto più importante.

Ultimamente hai creato anche un coro. Che genere di musica affrontate insieme e che cosa ti sta dando questa esperienza?

Ikona 15mag12 Articolo [800x600]E’ da alcuni anni che mi dedico alla polifonia, sempre nel mio stile “poco ortodosso”: non ho scelto un genere musicale a priori ma attingo ai miei gusti personali e a quelli suggeriti dagli allievi che incontro. Grazie al lavoro che svolgo sugli arrangiamenti vocali, ho trovato anche la chiave di partenza di Emily poiché spesso le composizioni sono nate da tracce vocali sovrapposte e che sono presenti negli arrangiamenti.

Sei appena rientrata da un viaggio negli USA: cosa hai apprezzato degli americani? Da quello che ho visto io nella mia esperienza a New York qualche anno fa, mi è sembrato che siano un pubblico più curioso e aperto rispetto a quello italiano. Tu cosa ne pensi?

Esattamente quello che hai detto tu: l’apertura.

L’esempio banale che mi viene da fare è che avendo un passato storico così recente, gli americani, in rapporto alla musica e all’arte in genere, si comportano come dei “bambini”: curiosi, entusiasti ed eccitati dalle novità. Per chi fa musica è il regalo più grande.

Il prossimo 4 dicembre ti esibirai al Wishlist di Roma per la Slowfesta dinverno. Chi salirà sul palco con te per presentare Emily?

Saremo in quartetto con Stefano Saletti, coproduttore di Emily, Martina Bertini al basso e Filippo Schininà alla batteria. In più ci sarà la brava attrice Barbara Folchitto che leggerà alcune poesie e frammenti di lettere di Emily Dickinson e le proiezioni video elaborati da Roberto Saletti, il grafico che ha creato la copertina di Emily.

Sappiamo infatti che da tempo con Stefano Saletti e con la Piccola Banda Ikona, un progetto che porta avanti una ricerca molto interessante e raffinata sui suoni del Mediterraneo: puoi darci qualche anteprima sui vostri prossimi progetti?

Sì, sono circa dieci anni che collaboriamo traendo continuamente stimoli l’una dall’altro. Stefano tra l’altro, oltre alla sensibilità artistica, ha il pregio di saper concretizzare le sue idee e di avere un ottimo spirito organizzativo: per me è stata una grande scuola incontrarlo. Il nuovo lavoro si chiamerà Soundcity: suoni dalle città di frontiera. Esattamente così: sarà un vero disco world, molto corale, grazie alla presenza di diversi ospiti della world music italiana e non solo.

intervista di Ludovica Valori

foto di Claudio Martinez, Matteo Nardone e Fabrizio Forno

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