Ott 272016
 

Cabeki: Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge
(Brutture Moderne 2016)

★★★★★

 

cabeki coverL’analisi della produzione solistica di Andrea Faccioli equivale ad una riflessione profonda sul senso del produrre musica strumentale in ambito pop, se di pop si può parlare in un caso come questo in cui l’approccio compositivo crossover abbraccia di tutto, dall’orchestrazione cameristica al fingerpicking. “Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge” è un lavoro dal contenuto evocativo straordinario, contenuto che si era già rivelato nel fulgido album precedente “Una macchina celibe” (Tannen, 2012). Ci sono voluti altri quattro anni perché questo pregevole chitarrista e polistrumentista mettesse a punto quella macchina e facesse il suo salto nel buio, tirandosi tutto dietro: le influenze chitarristiche e la sua tecnica di strumentista, il suono acustico e quello elettronico, il suo essere così umano e così trasfigurato nella sua espressività. Tutto ciò viene precipitato in un bellissimo baratro arredato con suoni oscuri e suppellettili mai pacificanti, anzi inquietanti. Questo universo sonoro dark, di tanto in tanto attraversato da fasci di luce, è molto distante da quanto realizzato in precedenza e dal carattere meditativo e diretto della composizione nel suo apprezzato lavoro del 2012. A Faccioli è piaciuto cambiare direzione sonora e rendere più complesso un lavoro che sarebbe riduttivo definire di arrangiamento, poiché in realtà si tratta di vera orchestrazione. Cambia la strumentazione e vengono inserire sezioni di percussioni, fiati ed archi. Già nel brano che apre, disgelo, quegli archi delicatissimi intrecciano armonie tutt’altro che banali con la chitarra arpeggiata. Dalla seconda traccia appare subito chiaro che la varietà stilistica sarà la cifra dell’album e così, in prima luce, ecco arrivare una coda di fiati in sordina, a spegnersi gradualmente prima di lasciare il passo a umanità. Ci sono giochi di loop, come in la vetta che si avvicina allo shoegaze cancellando ogni traccia dei suoni acustici sentiti fin qui. E poi due minuti e mezzo di folk purissimo e di tecnica chiarristica invidiabile (passaggi) e ancora, dimostrazioni ineccepibili delle infinite possibilità degli strumenti a corda – pizzicati, strofinati, percossi su impeccabili bordoni quasi dronici (in uno degli episodi migliori dell’album, ovvero crono). Cabeki adopera strumenti tradizionali e autocostruiti (l’arpa battente di disarmo) guardando anche alla musica atonale e rimandando a scale pentatoniche di ispirazione orientale. C’è almeno un’altra punta di diamante, falìa, in cui sul ternario della chitarra di Faccioli si installa il violoncello di Julia Kent a creare un incastro perfetto, un incanto che si sviluppa compiutamente in oltre quattro minuti e che comunque è troppo breve, se ne vorrebbe ancora. Molto si può fare con una loop station, ma non è cosa per chiunque riuscire con quel mezzo a penetrare a fondo un tema… in ultima luce Faccioli ci riesce e chiude in grande bellezza la sua riflessione sulla resistenza all’aggressività esterna, a quella forza che fa pressione sulle nostre vite e ci limita nel profondo.
Il bellissimo album di Cabeki dimostra che la musica strumentale ha ancora un senso, un valore nel panorama musicale attuale ed è forse uno dei pochi mezzi lasciati a nostra disposizione per favorire il librare del pensiero.

recensione di Susanna Buffa

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