Nov 242016
 

Ovvero “Tutto quello che avreste voluto sapere da un fonico… ma non avete mai osato chiedere”

L’angolo Hunky Dory propone ai lettori di Slowcult un incontro con Eugenio Vatta, tecnico del suono, produttore artistico e discografico, nonché musicista e docente. Riteniamo infatti che sia estremamente utile, specie per i musicisti all’inizio del loro percorso, confrontarsi con una figura fondamentale come quella del fonico, che non può e non deve essere solo un “tecnico”.

Nel curriculum di Vatta troviamo nomi eccellenti come Sergio Cammariere, del quale ha curato la discografia completa, Eugenio Bennato, Danilo Rea, Gavin Bryars, Fabrizio Moro, Andrea Parodi, Gianmaria Testa, Umberto Bindi, Stefano Benni, Tetes de Bois, RaizFlaminio Maphia, Bud Spencer Blues Explosion, oltre naturalmente ai progetti di cui fa parte chi scrive: Nuove Tribù Zulu e Traindeville. La passione viscerale di Eugenio per la musica, unita a un orecchio infallibile e all’estrema professionalità, fanno di lui uno dei migliori professionisti della scena musicale italiana. Dalle lunghe ore passate in studio insieme lavorando sui nostri brani abbiamo ricevuto moltissimi stimoli e insegnamenti, oltre naturalmente a qualche tirata d’orecchie e a una quantità di aneddoti divertenti. Ma la nostra amicizia nasce da molto lontano: inizieremo quindi proprio da lì questa intervista.

Eugenio Vatta

Ci conosciamo da almeno una trentina d’anni: è quindi un piacere per me iniziare questa chiacchierata proprio dai lontani tempi del liceo, in cui coordinavi il concertone annuale della scuola, il mitico “Rockcavour”: che ricordi hai di quell’epoca a livello musicale?

Raramente ho raggiunto l’emozione di quei giorni: per me quei concerti sono stati equivalenti a Woodstock per quelli nati negli anni ’60: emozionanti e già affrontati con maturità. Mi auguro che i miei figli possano provare esperienze simili a quell’età. Una formazione vera e propria. Ricordo che il service audio fui io a recuperarlo e che partecipai ad una riunione degli insegnanti parlando del progetto concerto Rockcavour: che dire, mi sentivo un piccolo fra i grandi.

La musica che facevo con il mio gruppo era antica, anni ’70, e spesso venivamo criticati perché era la fusion la musica del momento. Oggi, ripensandoci, eravamo più fichi e attuali noi. (Ride)

Quando hai deciso di intraprendere la carriera del sound engineer?

La mia carriera è iniziata, come per molti tecnici, con la passione per la musica. Ho iniziato con la chitarra classica, prendendo lezioni durante la scuola media. La prima registrazione la realizzai in quel periodo usando dei piccoli woofer inseriti in alcune scatole di cartone delle scarpe. Infatti avevo notato che attaccando una cuffia all’entrata mic del mio registratore a cassette potevo registrare: il risultato era un rumore di fondo enorme… ma una soddisfazione infinita.
Presto passai allo studio del pianoforte, prima con mezzi di fortuna e infine un piano Fender 88 tasti.
Con l’acquisto del pianoforte e alcuni synt iniziai a esplorare nuove sonorità che presto registrai con un piccolo 4 piste a cassetta.
Lavorare con un sintetizzatore in sintesi sottrattiva e poi in sintesi additiva e Fm ti apre la testa e, considerando la mia passione per i Pink Floyd e lo studio iniziale di Fisica all’università, presto mi sono trovato a registrare il tutto con un computer e alcuni sequencer.

La sfortuna o la fortuna – per un periodo mi trovai con pochi decimi di vista – mi allontanò dallo studio accademico della Fisica: presto decisi di intraprendere la carriera in studio come tastierista e tecnico. Iniziai guardando un amico che lavorava in uno studio di registrazione legato a un negozio di strumenti musicali che frequentavo tutti i giorni. Il mio primo lavoro fu tutto tranne che musicale: registravo attori doppiatori e sonorizzavo commedie radiofoniche. Ne ho ancora un ricordo magnifico e comunque la sensibilità era molto vicina al mix di un film senza immagini.
Solo un anno dopo aprii insieme ad altri due amici uno studio di proprietà al Pigneto: era il 1988, la musica si suonava ancora su nastro e il computer serviva solo per la registrazione di sequenze e parti Midi.
Poi ho conosciuto una grande persona che purtroppo oggi non c’è più, Biagio Pagano, con cui ho iniziato un percorso che ad oggi mi ha portato ad aver missato più di 300 cd e progetti.

Eugenio Vatta

Una volta ci hai confidato che l’orecchio del fonico “invecchia presto”, ossia che dopo una certa età si è meno propensi ad ascoltare e a comprendere nuovi stili musicali. Per te è così?

Sì: ognuno di noi, compresi i musicisti, è un pilastro importante e il segno di un certo periodo storico. Bisogna essere sempre aggiornati ma la passione con cui si ascolta la musica in tenera età o senza secondi fini è veramente unica. Ho sempre apprezzato la musica anche in cuffia perchè mi permette di chiudermi in quel progetto e farne parte, e spesso mi fa capire la vera anima di chi si cela dietro a quel progetto. Credo che i giovani di oggi siano più bravi di me a realizzare la loro musica. Da me possono avere consigli e elementi fondamentali per non commettere errori: loro però conoscono meglio di me il sound di oggi e da loro ho molto da imparare.
Personalmente sono un curioso e per questo cerco sempre di capire come si fa qualcosa che non so fare e come si può migliorare mettendo a disposizione la mia esperienza .
Nei primi anni ’90 ho collaborato come musicista a vari progetti di musica elettronica techno. Quello che facevamo a livello fonico era veramente raccapricciante. Si distorceva il suono con un mixer Tascam. Tutti i giovani che facevano musica techno lo facevano, dall’America all’Europa. Oggi quello strano procedimento si sente in moltissimi campioni di suoni: quando ho ascoltato il brano Music di Madonna mi sono accorto che quei suoni techno sono entrati nel mondo pop di serie A.

Quali sono i sound engineers che consideri come  punti di riferimento per il tuo lavoro?

Non mi sono mai sentito un vero sound engineer e quindi i miei miti, anche dal punto di vista del suono, sono stati i Pink Floyd e Trevor Horn. Ho sempre apprezzato il sound oltre agli accordi e alle melodie: infatti uno dei miei difetti maggiori è non ascoltare i testi. Spesso voglio capire quello che vuole esprimere il musicista dai suoi suoni e soprattutto dal suono e dall’espressività della voce. Le parole devono convincermi ulteriormente.

E il disco che ti ha cambiato la vita?

Tanti dischi e in ogni periodo uno diverso. Sicuramente The Dark Side of the Moon è un disco che mi ha emozionato e aperto la mente.

Dark_Side_of_the_Moon
Come fonico devi – per amore o per forza – essere sempre aggiornato sulle innovazioni tecnologiche: è una cosa che ti fa piacere oppure pensi che alcune di queste innovazioni siano rinunciabili o sopravvalutate?

Sono un tecnico “non tecnico” e quindi sicuramente penso che se un sistema funziona non va cambiato. Poi se il mezzo entra a far parte del suono e della composizione (come Ableton o altri), penso che non sia più un mezzo fonico ma un mezzo compositivo come un qualsiasi altro strumento musicale.

Proprio grazie alla diffusione delle nuove tecnologie, oggi è molto diffusa l’abitudine di registrare “in casa”: molti musicisti tuttavia non hanno grandi nozioni in merito e rischiano a volte di fare errori: quali consigli daresti a chi sta per intraprendere questo percorso?

Consiglio di considerare il proprio apparato come un taccuino su cui annotare le proprie idee: tutti i grandi dischi hanno dietro una grande pre-produzione. La registrazione per essere definitiva deve essere curata e soprattutto ripresa in un ambiente dove il suono possa essere registrato senza troppi errori. Ciò non toglie che anche in casa si possano realizzare delle belle registrazioni ma io consiglio sempre di far ascoltare il risultato a uno del mestiere. Infine, per il mixaggio credo sia opportuno far chiudere il lavoro ad un professionista. Procedere al contrario sarebbe come chiamare un chitarrista che di mestiere fa il liutaio.

La diffusione degli mp3, come denuncia Neil Young, ha comportato un abbassamento della qualità degli ascolti. Pensi che l’orecchio del pubblico si sia ormai abituato ad ascoltare brani “appiattiti” e non sia più in grado di distinguere?

Sì: mi unisco a Neil Young che odia tutto questo. Molti giovani che vengono in studio non sanno neanche che cosa è un file wav e che differenza c’è rispetto a un mp3, a volte capita che mi dicano: se vuoi ti trasformo l’mp3 in wav! (Ride)
Un po’ come conoscere il suono di sax dal campione di un synt e non dall’originale.

Neil Young

Neil Young

Parliamo del live. Un musicista esperto sa bene che per la buona riuscita di un concerto la figura del fonico è fondamentale. Quando non è possibile portare con sé il proprio fonico, è importantissimo stabilire da subito un rapporto di collaborazione con il fonico residente. Molte volte purtroppo si creano conflitti e incomprensioni: quali sono i consigli che daresti – sia ai musicisti che ai fonici – per realizzare un buon live?

Sicuramente il tecnico del suono dovrebbe essere parte integrante del gruppo e non una figura occasionale, mutevole. Ad ogni modo è importante avere un proprio set up più semplificato possibile eliminando situazioni complicate soprattutto se non sono fondamentali per la riuscita dello spettacolo. Spesso capitano gruppi di 5 elementi e tutti vogliono il microfono anche per la voce. Questo complica molto il lavoro del fonico residente che poi vede usati questi microfoni in un solo brano e senza una buona resa. Quando è possibile io consiglio di utilizzare D.I. e non microfoni, e per gli ascolti nei monitor evitare la fatidica frase “un po’ di tutto”.
Il fonico residente è una figura spesso di passaggio e molte volte non sopporta più i musicisti: ci vuole pazienza!

Quali sono gli artisti con cui ti sei divertito di più a lavorare?

Tutti quelli che hanno fatto i loro dischi con entusiasmo e qualità.

Un sogno nel cassetto: con quale artista internazionale ti piacerebbe collaborare?

Purtroppo parlo appena l’inglese e questo mi limita, comunque sceglierei Roger Waters.
Pensa che l’ho pure sognato ma durante il sogno era molto cavilloso e anche un po’ antipatico! (Ride)

Cosa consiglieresti a un giovane che volesse avvicinarsi alla professione di sound engineer?

Ascoltare molto la musica cercando di analizzare i suoni come fossero partiture musicali: una delle mie passioni è cercare di indovinare il periodo del brano che ascolto dai suoni. E poi studiare uno strumento e divertirsi a fare tanti esperimenti. Solo così si può essere più sereni con gli artisti con cui si lavora. Il tecnico è una figura che deve essere discreta e collaborativa e che custodisce tutti i segreti di una registrazione. Deve essere l’elemento aggiunto del gruppo ma non il leader.

 

Eugenio VattaNel tempo libero preferisci riposare le orecchie o ti piace ascoltare musica? Se sì, quale?

Quella che non ascolto vicino a due casse, quella che viene da lontano, da una stanza adiacente, così che io non debba analizzare il mix. E poi la musica del passato, che ascolto con l’emozione della prima volta e la musica particolare, tipo la contemporanea, la musica classica e qualche disco che ho missato da molto tempo, di cui non ricordo più niente di tecnico. Questo mi succede soprattutto con i miei brani. Sicuramente il pop è il genere che ascolto meno.

Sei anche un ottimo musicista e compositore: qual è il tuo lavoro a cui tieni di più e che vorresti far ascoltare ai lettori di Slowcult?

Da anni sto registrando un mio disco che racchiude il mio percorso emozionale e musicale. Lo voglio talmente perfetto che rischio di non finirlo mai.
Ho creato molti brani: uno a cui sono affezionato è L’essenziale: l’ho realizzato insieme a un amico, Antonello Papagni. La musica ci ha uniti e quando scrissi quel brano pensai di dedicarlo a mio padre, deceduto quando io ero molto giovane. Rimasi sorpreso quando Antonello mi fece sentire la melodia e il testo: parlava del padre che anche lui aveva perso tanti anni prima. Non ci eravamo detti niente: è la potenza della musica che ho sempre considerato miracolosa.

Chiudiamo quindi l’incontro con Eugenio proprio con questo brano: vi proponiamo infatti una serie di video pubblicati dalla rivista “Music Off”.
Il “Making of” del brano “L’essenziale” con l’analisi di tutte le fasi di registrazione. L’ideale per capire come, dopo una pre-produzione fatta in precedenza con l’artista, si realizza una composizione in studio dalla A alla Z.

http://www.musicoff.com/lessenziale

Intervista di Ludovica Valori

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