Lug 092013
 

Iggy & The Stooges – Ready To Die (Fat Possum Records, 2013)

★★½☆☆

(Attenzione: recensione scritta di getto, una cosa punk insomma….qualche giorno prima del concerto di Capannelle)

Basta un primo ascolto del disco per capire subito perché il loro penultimo lavoro, The Weirdness (2007) fosse a nome “The Stooges” e questo ultimo a nome” Iggy & The Stooges”: mentre quello era un tentativo (riuscito solo in parte) di recuperare il vero sound Stooges dei fine ’60-inizio ’70, qua siamo di fronte a un disco che sembra più un lavoro ispirato ai lavori solisti di Iggy Pop. Non che lui non sia sempre il centro catalizzatore di qualunque progetto lo riguardi, ma è evidente che le canzoni di questo disco non hanno lo stesso feeling proto hard punk rock delirante di un classico disco degli Stooges, quanto più quello di un rock meno schizofrenico ma sempre veloce dei dischi solisti dell’Iguana Rock.
4/5 del disco è fatto di riff abbastanza di maniera attorno ai quali sono costruiti i pezzi, nel segno della tradizione, potremmo dire, sia nelle musiche che nei temi (“The spectre of duty is odious to me”, Burn; “I got a job and I’m sick of it”, Job; “Got a depression and I hate it so”, Ready to Die; “I’m on my knees for those DD’s” [taglia di reggiseno]”, DD’s, la quale musicalmente sembra una interessante riedizione in chiave hard rock di un classico Rythm and Blues alla Sam Cooke). Oltre a ciò, un paio di pezzi sono assolutamente sorprendenti, per trovarsi su un album con sopra la parola Stooges, ballate acustiche aggraziate, pur se sempre cantate con un linguaggio duro e scarno: Unfriendly World sembra una saggia considerazione sul tenersi strette le persone care in un mondo nel quale il tempo passa inesorabilmente e si porta dietro con sè il meglio; The Departed è una forte e insieme delicata prova di amicizia verso il primo chitarrista degli Stooges, il mitico Ron Asheton (scomparso nel 2009,) che nelle note iniziali e finali richiama il loro classico dei classici I Wanna Be Your Dog. L’aggiunta di questi due pezzi fa pensare che Iggy Pop voleva proseguire anche in questo lavoro le esperienze più mature fatte con Joe Jackson nella cover di It don’t mean a thing (if it ain’t got that swing) e nel disco del 2012 con le cover di canzoni francesi e pseudofrancesi (dove ci sono sue interessanti versioni di La Vie en Rose e di Michelle….)
La mancanza di Asheton si sente anche nella musica: nel precedente The Weirdness se qualcuno era riuscito a tenere la bandierina della follia stoogesiana perlomeno a mezz’altezza, oltre a Iggy Pop, era proprio lui; su questo Ready To Die c’è il ritorno di James Williamson che già suonò su Raw Power del 1973, ma il suo contributo non è per niente avvicinabile alla grandiosità del lavoro fatto su quel vecchio disco. Anche il contributo del sassofonista Steve McKay non è così apprezzabile come nei primi dischi, dove l’aggiunta del sax portava le furiose e torride jam a livelli catartici.
Proprio la mancanza di quelle lunghe atmosfere di decadenza totale suggerite dalle urla sguiaiate di Iggy, dalle chitarre di Asheton e Williamson e dal sax di McKay, ormai più di 40 anni fa, è il grave errore di questo disco, e per questo motivo non può entrare nel novero dei migliori lavori di Iggy con la band. Riesce quantomeno, comunque, a centrare l’obiettivo di divertire l’appassionato medio di rock and roll, ma meno di The Weirdness.

Recensione di Christian Dalenz

 Leave a Reply

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

(required)

(required)

*