Ott 152008
 

American Music Club (+ Steve Didelot) – Init, Roma, 11 ottobre 2008

La concorrenza è forte, in contemporanea sul palco di piazza San Giovanni suonano nientemeno che i The Cure, ma l’affluenza di pubblico che ha raggiunto l’Init per gli American Music Club è comunque discreta, e la prima frase che Mark Eitzel rivolge al pubblico è “thanks for missing The Cure for us”.american-music-club-foto-4.jpg
A scaldare il pubblico ci pensa Steve Didelot, che degli American Music Club è il batterista: suona un breve set da solo, accompagnandosi con una chitarra in un pugno di brani indie-pop cantautoriali, di buona fattura e con qualche ottimo spunto melodico, che non fanno di certo gridare al miracolo, ma risultano comunque piacevoli. Esilarante il momento in cui Didelot viene raggiunto sul palco da Mark Eitzel che lo accompagna in un paio di brani alla batteria, nonostante palesemente non sappia come suonarla, motivo per cui i due musicisti si lanciano continue occhiate divertite.
Dopo una veloce sistemazione del palco fanno il loro ingresso in scena i veri protagonisti della serata. I due membri storici Vudi (chitarra) e Mark Eitzel (voce e occasionalmente chitarra, nonché quasi solitario compositore) sono affiancati da tre aggiunte recenti: il chitarrista Jonathan Heine e la bassista Dana Schechter oltre al già menzionato batterista Steve Didelot.
La musica degli American Music Club dà l’impressione di essere in pace con se stessa, e che questo valga anche per chi la scrive e la suona, sebbene si possa scorgere un fondo di malinconia attraversare alcuni brani. Si tratta di soffici ballate pop-rock dallo straordinario gusto melodico, che possiamo accostare ad alcune produzioni degli Screaming Trees o ai lavori solisti di Mark Lanegan, come la delicata “All My Love”, o la meravigliosa “Windows On The World”, dedicata al World Trade Center di New York (“I’m on the top of the first world with a free beer”), o l’evocativa “The Stars”. Sporadicamente gli American Music Club si concedono qualche escursione in pezzi un po’ più movimentati, come “Outside This Bar”, che ricorda da vicino i R.E.M., o “Bad Liquor”, che mostra qualche influenza punk.american-music-club-foto-3.jpgI suoni, così come gli arrangiamenti, sono molto scarni e semplici, e i brani sono basati su ritmiche essenziali, gestite benissimo da Didelot e Dana Schechter, e sui magnifici intrecci fra le due chitarre: Heine si concentra più su arpeggi puliti, il vero corpo dei brani, mentre Vudi ha un timbro poco più distorto e vintage e costruisce suoni ricchi di riverberi ed echi con un tocco davvero personale. Su questa semplice quanto efficace struttura si staglia lo stupendo canto di Mark Eitzel, protagonista di una prova davvero superlativa per eleganza ed intensità emotiva, e del tutto priva di sbavature anche sulle note più difficili. È la straordinaria interpretazione di Mark che fa fare un salto di qualità notevole alla musica degli American Music Club: Eitzel regge il palco praticamente da solo, cantando le sue raffinate linee vocali con voce calda e soffusa, sempre ad occhi chiusi e con la mano sul cuore, e gli altri musicisti ondeggiando all’unisono si lasciano cullare dolcemente dalla musica, anche loro ad occhi chiusi.
Il pubblico risponde entusiasta e il gruppo concede ben due bis, a coronamento di una serata di musica magnifica, suonata alla grande da una band rinnovata e che ha ancora molto da dire, nonostante una carriera che supera il quarto di secolo, e che può contare su un Mark Eitzel inarrivabile, maestro della melodia e stupefacente interprete della serenità e dell’amore che emergono dalle sue canzoni.

american-music-clib-foto-1.jpg

Live report di Andrea Carletti

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