Lug 042017
 

Roma, Monk Club, 13 giugno 2017

★★★½☆

Andy-Shauf-6Nel 1999 Paul Thomas Anderson produce e realizza la puntata pilota di un ipotetico show televisivo condotto dal musicista Jon Brion, già suo collaboratore e supervisore (nonché di registi quali Charlie Kaufman e Michel Gondry). L’idea di fondo è molto semplice: ospitare, all’interno di un piccolo studio con un esiguo numero di spettatori, il live set di un musicista, accompagnato dallo stesso Brion, versatile polistrumentista. Il primo live, tra tappeti e luci soffuse, vede la presenza di un certo Elliott Smith. Il clima è intimo e sereno, familiare, con arrangiamenti improvvisati quasi sul momento. L’esperimento non vedrà alcun seguito o sviluppo, ma se lo show avesse proseguito il suo cammino, Andy Shauf, avvolto nella sua timidezza, sarebbe stato senza ombra di dubbio un ospite perfetto.

E questa sera il Monk, posizionando dei divani nella platea (dove solo una settimana prima a farla da padrone era il pogo che accompagnava gli Shellac) sembra quasi voler ricostruire e trasportarci all’interno di quello studio televisivo. Una missione più che riuscita, con il locale trasformato in un accogliente casa per il pubblico e per il musicista canadese. Attivo da quasi un decennio, con la pubblicazione dell’ultimo “The Party” (2016, Anti) Andy Shauf ha messo definitivamente a fuoco il suo eccellente talento di songwriter, costruendo con grande classe e maturità dieci fragili e eleganti quadri melanconici, suonando personalmente tutti gli strumenti (a eccezione degli archi). Il già citato Elliott Smith, fondamentale e (talvolta) ingombrante ispirazione, incontra le orchestrazioni sussurrate di un Sufjan Stevens ancora più dimesso accanto al Beck acustico di “Sea Change” (sentire la sessione ritmica, in particolar modo il rullante della batteria). Il risultato è davvero sorprendente.

Andy-Shauf-5Sono trascorse da poco le 23 quando Andy sale sul palco imbracciando la sua chitarra acustica filtrata da un chorus (memore del Cobain dell’Unplugged in New York) accompagnato da basso, batteria, piano wurlitzer e ben due clarinetti. La partenza è affidata a Drink My Rivers, contenuta nel precedente album “The Bearer of Bad News” da cui vengono estratte le prime tre canzoni del live. A metà della seconda, Hometown Hero, il cantautore interrompe però l’esecuzione, rivolgendosi con flebile voce al proprio tastierista, apparendo spaesato e inerme. Forse un malore dovuto al caldo o chissà a cos’altro, ma per cinque minuti il pubblico rimane in apprensione e con il fiato sospeso. Fortunatamente una bottiglia d’acqua e una sedia su cui far accomodare Andy fanno riprendere il live dissipando ogni ostacolo, e la conclusione del brano è accompagnata da un caloroso e affettuoso applauso da tutti i presenti.

Andy-Shauf-4Da qui in poi il live proseguirà nel migliore dei modi, l’attenzione e il silenzio dominano tutta la sala, nessuno osa disturbare una band che appare quasi suonare in punta di piedi: la chitarra è appena sfiorata, la sessione ritmica sempre composta, i clarinetti a cui sono affidate le parti orchestrali introducono i propri temi e melodie soffiando leggiadri, cortesi, così come il piano elettrico. Nella riproposizione dell’intero album “The Party”, si ha come l’impressione di immergersi all’interno di una pellicola diretta da Anderson (Paul Thomas ma anche e soprattutto Wes), o da uno Spike Jonze o un Noah Baumbach. Le immagini di “The Eternal Sunshine of Spotless Mind”, “Her“, “Rushmore”, o “Magnolia” potrebbero tranquillamente scorrere sotto i nostri occhi. E sarà così fino alla conclusione del bellissimo live di questa sera.

Non è un azzardo dichiarare che la musica di Andy Shauf rappresenta il corrispettivo musicale del miglior cinema indie americano di inizio millennio, e appare davvero strano che nessun regista abbia ancora attinto al suo repertorio.
Brani come Early To The Party, Begin Again e Martha Sways e un singolo perfetto quale The Magician con i suoi richiami ai Beatles, Steely Dan, Jim O’Rourke, Randy Newman e i già nominati Elliott Smith e Sufjan Stevens farebbero la felicità di qualsiasi autore. Ma l’importante è che per adesso la infonda a noi ascoltatori. E a giudicare dai sorrisi del pubblico che si avvia verso casa è davvero tanta.

Live report di Federico Forleo
Foto di Andrea Carletti

Scaletta

Drink My Rivers
Hometown Hero
Lick Your Wounds
Quite Like You
Jenny Come Home
Twist Your Ankle
Eyes of Them All
To You
Alexander All Alone
I’m Not Falling Asleep
Early to the Party
The Worst in You
Begin Again
Martha Sways
The Magician

bis:
Wendell Walker

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