Lug 272010
 

Roma, Cavea Auditorium Parco della Musica, 19 luglio 2010.

★★★★☆

Nel ricco e variegato programma di Luglio Suona Bene alla Cavea dell’Auditorium di Roma (all’appello del quale mancava soltanto Mondo Cane, la rivisitazione della canzone italiana anni 60 da parte di Mike Patton), arrivano in perfetto orario le leggende della West Coast, il primo supergruppo americano della storia del rock, Crosby, Stills & Nash.
Presi i posti sulle gradinate dell’Auditorium notiamo la strumentazione: pensavamo di trovare soltanto due chitarre acustiche, due sgabelli e due microfoni (nei video d’epoca, come quello di Woodstock, Nash è sempre in piedi e condivide il microfono con Crosby) e invece ci troviamo davanti a una strumentazione ben più vasta, con basso, batteria, organo, tastiere e piccoli amplificatori vintage per chitarra. Immaginiamo (e speriamo) in un doppio set, e così sarà.

Si inizia con la band elettrica al completo: i tre, con Stills (1945) a sinistra, Crosby (1941) al centro e Nash (1942) a destra, imbracciano le chitarre e aprono le danze con “Woodstock”, scritta da Joni Mitchell, che chiudeva il Lato A del capolavoro “Déjà Vu”. Questo, e ovviamente il primo bellissimo album intitolato semplicemente “Crosby, Stills & Nash”, saranno (per la nostra gioia) gli album più saccheggiati dal trio, senza tralasciare nessun classico. E così, dopo “Military Madness”, brano di apertura dell’album d’esordio di Nash,” Songs for Beginners”, arriva “Long Time Gone”, a firma di David Crosby. L’ex chitarrista dei Byrds, è senza ombra di dubbio uno dei grandi geni della musica americana: il suo “If I Could Only Remember My Name…”, datato 1971, può essere considerato il manifesto della West Coast, trovando al suo interno tutti i musicisti che orbitavano nella sfera di San Francisco dell’epoca, da Grace Slick a Jerry Garcia, da Joni Mitchell fino a Jorma Kaukonen. E anche il pubblico dell’Auditorium sembra rivolgere un attenzione particolare a Crosby: sui suoi due pezzi finali del set elettrico, “Déjà Vu” e “Wooden Ships” (con degli assoli da parte della band non proprio eccezionali a parte quello di organo) gli spalti sembrano esprimere un calore ancora maggiore alla band, sebbene i tre abbia già eseguito brani come “Marrakesh Express” e “Bluebird”, ripescata dal repertorio dei Buffalo Springfield. Nella prima parte del set c’è anche spazio per una cover del compagno di viaggio Neil Young, “Long May You Run”, canzone tratta dall’unico album a nome Stills-Young Band, molto simile nell’incipit a “I’m a Child”, ma eseguita alla perfezione della band. Stills, unica chitarra solista, sembra un pò altalenante, ma è comunque molto efficace, sfornando fraseggi di pura pentatonica rock (al contrario di Neil Young, più selvaggio e viscerale).

Durante il secondo set, preceduto da un pausa di dieci minuti, le cover saranno molte più numerose, ma in molti casi i momenti più deboli del concerto sembrano proprio quelli in cui i tre si cimentano con un repertorio estraneo al loro: “Ruby Tuesday” dei Rolling Stones e in particolare “Behind Blue Eyes” degli Who, con un ritornello discretamente discutibile, non sembrano aver ricevuto il tocco classico alla Crosby, Stills & Nash (recuperate la versione di “Blackbird” a Woodstock o quella di “Everybody’s Talkin’” di Harry Nillson). Tutta un’altra musica invece per la strepitosa “Girl from the North Country” di Bob Dylan, con un’interpretazione vocale di Stephen Stills veramente superlativa, degna del migliore Johnny Cash (non a caso Dylan riprese questa canzone duettando proprio con Cash per aprire l’album del 1969 “Nashville Skyline”). Buone anche le reinterpretazioni dei Beatles con “Norwegian Wood” e dell’Allman Brothers Band con “Midnight Rider”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma è con il duetto tra Crosby e Nash in “Guinnevere” che il concerto raggiunge il suo apice. L’affiatamento dei due musicisti sembra emergere qui con tutta la sua forza, raramente ci è sembrato di vedere una simbiosi così perfetta tra due musicisti, non è il classico connubio Lennon-McCartney o Page-Plant, qui l’unione è molto più spirituale, l’uno completa totalmente l’altro. E non è un caso che i due abbiano sempre continuato a suonare insieme come duo per tutti questi anni, come ricordano bene i romani nel 2005 quando sempre l’Auditorium li aveva ospitati il 10 marzo. Ci è però mancata l’esecuzione di “The Lee Shore”.

Nash poi sembra essere il vero collante della band, il più divertito e voglioso di continuare a solcare i palchi, e infatti nel repertorio del trio le canzoni a suo nome sono le più numerose, sette contro cinque + uno (“Wooden Ships” è scritta da Crosby, Stills e Paul Kantner dei Jefferson Airplane).
Dopo due ore abbondanti di concerto i tre lasciano il palco e per il primo bis ci regalano due estratti dal live “4 Way Street”, “Chicago” e “Love the One You’re With”, per poi rientrare concludendo con uno dei cavalli di battaglia di tutta la West Coast, “Teach Your Children”.

Davvero un bellissimo show quindi, una grande festa dove i genitori sedevano accanto ai figli, vogliosi di far loro conoscere una realtà diversa, quando i dischi primi in classifica non erano le varie Shakira e compagnia varia, ma gli Who di “Tommy”, i Genesis di “Selling England by the Pound” e gli eroi del folk-americano Crosby Stills & Nash.

Recensione di Federico Forleo
Foto di Claudia Giacinti

Scaletta:

 Leave a Reply

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

(required)

(required)

*