Mar 132009
 

Auditorium Parco della Musica, Roma 10 Marzo 2009
★★★½☆

Fa ritorno ai patrii lidi Daniele Silvestri, dopo il suo primo tour europeo conclusosi a Madrid a metà febbraio. Un tour che molto ha avuto sapore d’inter-rail, in viaggio sulla strada ferrata del vecchio continente, da Lussemburgo a Parigi, Bruxelles, poi Londra fino in Spagna. In treno per scelta, per dare al viaggio la sua parte di importanza, la giusta lentezza, il tempo necessario ad arrivare. Terminata dunque quest’avventura sui binari, il cantautore romano torna a casa e per l’occasione, come a dargli il bentornato, lo accoglie la sala Santa Cecilia, la più grande dell’Auditorium, spalancando le porte ad un folto e variegato pubblico. Tutti stretti nella propria poltroncina, si sta per essere travolti da un’onda -anomala- d’impegno ed ironia, cinismo ed emozioni. Silvestri, paroliere attento e schietto. Silvestri musicista di spessore. Ama giocare con le parole, modellarle, limarle, accostarle sino a farle suonare come fossero strumenti. Del resto è ciò che sono: strumenti di comunicazione, strumenti per veicolare un messaggio, per esprimere un punto di vista, gridare un’opinione a gran voce. Parole, parole, parole, in rima per raccontare storie, per affrontare e scandagliare i vari aspetti del sociale in modo apparentemente scanzonato, nascondendo poi un’analisi profonda e pungente, critica e sottile del quotidiano. Sul palco gli amici di sempre: Piero Monterisi alla batteria, Gianluca Misiti alle tastiere e programmazioni, alle chitarre ci sono Andrea Moscianese e Maurizio Filardo mentre al basso e contrabbasso Gabriele Lazzarotti. ‘Va bene cominciamo, che prima concludiamo e prima posso andare via’, seduto alla tastiera il cantastorie apre così il concerto, sugli accordi blues della title-track del suo secondo album ‘Prima di essere un uomo’ (BMG, 1995). Prosegue alla tastiera con ‘Via Col Vento’ e ‘Il Suo Nome’, entrambe scritte nel tentativo di sopravvivere ad un amore finito: ‘certe sere di maggio ti dimentico un po’, un liberarsi dai fantasmi del passato che nel repertorio spesso si ripropone. Silvestri poi si alza, imbraccia la chitarra, si fa avanti sul palco a raccogliere un applauso: ‘Che Bella Faccia’, audace canta con sarcasmo senza fare nomi, eppure ogni riferimento non è puramente casuale, ‘che lui vinca o che perda, tanto nella merda non ci finirà’, del resto non ha mai fatto mistero del suo orientamento politico, al contrario si è più volte battuto per sostenere ogni forma di libertà d’espressione. Si continua con ‘Kunta Kinte’, prezioso susseguirsi di rime sulla condizione della schiavitù, ispirate al protagonista del romanzo ‘Radici’ di Alex Haley. Poi ancora -tra gli altri- seguono brani di punta come ‘Le Cose In Comune’ e ‘Occhi Da Orientale’, che presto lasciano posto a testi più impegnati, dall’inconfondibile stampo socialpolemico, resi unici dalla presenza di ospiti di tutto rispetto. “Mamma, sono proprio loro, quelli che tu mi facevi ascoltare da bambino”, Daniele Silvestri introduce così, a metà serata, gli Inti Illimani rivolgendosi ad una signora che in platea a malapena trattiene le lacrime per la commozione. Ed ecco arrivare sul palco Jorge Coulon, Daniel Cantillana e Juan Flores Luza, membri dello storico gruppo di musica popolare cilena che proprio in Italia ricevettero asilo politico, in seguito al colpo di stato di Pinochet del ‘73. Gli Inti Illimani portano con sé violino, flauto, chitarra, cajon ed un immenso bagaglio di esperienze messe in musica, passione e tradizione, costanza e tenacia. Suonano ‘Ancora Importante’, scritta insieme al cantautore romano e contenuta nell’album ‘Il latitante’ (BMG, 2007). Dedicato alle vicende di Genova del 2001, è questo un brano dalle sonorità jazz scritto per necessità di ricordare, per imparare dai propri errori, come sottolinea lo stesso Silvestri, in un mondo dove ‘ninguno es imprescindible’ ma ‘todos somos necesarios’. E’ poi il momento di ‘Il mio nemico’, che scuote le coscienze e sempre fa riflettere, splendidamente eseguita con i flauti di ‘Alturas’ degli Inti Illimani in persona; uno sfogo -questo- contro il potere autoritario e bieco, senza scrupoli di chi ‘ama le armi ma non le usa’ e governa perseguendo spietati interessi economici, muovendo i fili di inutili guerre in nome di cause dubbie e pretestuose. Il gruppo cileno diventa ora protagonista lanciandosi nell’esecuzione coinvolgente di brani storici, nell’ordine ‘Alturas’, ‘El Tinku’ e ‘Fiesta de San Benito’, che regalano alti momenti d’emozione, a testimoniare le aspirazioni, i sentimenti, le lotte di un popolo e delle sue tradizioni. Prima di lasciare il palco, gli Inti Illimani suonano ancora con Silvestri accompagnandolo in ‘L’Autostrada’: ritmo scandito a colpi di cajon, con intermezzi di un magnifico e struggente violino. Gli ospiti scompaiono dietro le quinte, rimane il cantautore romano ad introdurre il brano successivo: “C’è chi oggi canta di Luca” –dice- “che prima era gay, ora è guarito. Io canto di uno –continua- che prima stava con Maria, ora invece sta con Gino” e poi si chiede ‘”Chissà chi dei due può dirsi guarito. Chissà chi dei due è più felice”. Un lungo applauso si mischia all’incipit di ‘Gino e l’Alfetta’, che esplode poi in un irresistibile ritornello pop. Si fatica a star seduti, sempre stretti nelle solite poltroncine, sforzo sovrumano che tocca il culmine su ‘Salirò’ e ‘La Paranza’: praticamente impossibile rimanere fermi. S’improvvisano balletti a mezzo busto, qua e là per la sala coreografie di braccia si agitano in aria, tutti senza eccezione cominciano a palesare segni d’insofferenza per il proprio posto a sedere. Poetica e toccante, ‘Aria’ ridona un po’ di compostezza alla sala. In un crescendo di tensione sfumano le commuoventi parole di un uomo privato della propria libertà, ‘dopo trent’anni carcerato all’Asinara che vuoi che siano poche ore in una bara’. E non è facile spaziare con disinvoltura da toni ironici e leggeri ad altri più drammatici ed intensi, da ballate malinconiche a motivetti sbarazzini, poliedricamente andare dall’intimo al sociale, mantenendo comunque l’originalità come prerogativa sempre costante. ‘Cohiba’ in chiusura è la goccia che fa traboccare il vaso e la folla in sala freme: ai primi accordi di un’energica chitarra la gente è già in piedi, chi può si accalca sotto il palco, chi no rimane al proprio posto ma comunque pronto a saltare, strepitare, urlare con gioia e convinzione che sì, ‘venceremos adelante’, basta crederci.

Recensione by Rosa Rosae

Scaletta

  2 Responses to “Daniele Silvestri + Inti Illimani: Parole e strumenti d’eccezione”

  1. E’ doveroso precisare che solamente Jorge Coulon è membro della formazione che vide la luce nel 1967. Cantillana e Flores sono membri del “NUEVO” Inti-Illimani. Quindi vorrei sottolineare che il gruppo che Silvestri ascoltava da bambino non è quello che è salito sul palco con lui e che non è l'”unico” gruppo Inti-Illimani…infatti c’è il gruppo “STORICO” che è composto, insieme ad altri musicisti, da José Seves, Horacio Salinas (compositore del tema “Alturas”) e Horacio Duran. Le informazioni le potete trovare al seguente link
    http://www.intiillimani.org/

    Biancastella Croce

  2. Ciao Biancastella,

    grazie per la precisazione! erano informazioni che in realtà mi mancavano

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