Mag 092009
 

Roma, Auditorium Parco della Musica, 30 Aprile 2009

★★★★☆

imgp6590red.jpgSoffia forte il vento dall’Est, soffia e si fa sentire persino in Colorado. L’eco dei Balcani giunge a Denver e si mischia alla verve poppettara dei DeVotchKa, dando vita a quello che in tanti hanno già definito gipsy punk. Ritmi incalzanti, melodie in equilibrio sulle corde di un violino, solido e irrinunciabile accompagnamento di chitarra, un continuo fermento artistico sin dal 1997, anno di formazione della band. Eppure gran parte della loro notorietà i nostri la devono al film ‘Little Miss Sunshine’ made in USA (diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris) per cui hanno firmato la colonna sonora nel 2006. Ce n’è voluto insomma di tempo per lasciarsi scoprire dal ‘grande pubblico’, ma una volta raggiunta una certa visibilità i DeVotchKa non hanno voluto tirarsi indietro, anzi hanno confermato il loro valore lavorando sodo e dando alla luce l’ultimo ottimo album ‘A Mad & Faithful Telling’ (Anti, 2008). La band, continuamente in tour, ha fatto sosta a Roma a fine aprile, per poi riprendere il viaggio verso la Spagna e rientrare infine a ‘casa’: in una parola, America. Nell’ascoltare i vari album, sei in tutto sino al 2008, ci si sarebbe aspettati una folta schiera di musicisti sul palco, a giustificare quello spazio sonoro pieno e completo, quelle atmosfere gitane ricche di fiati e fisarmoniche. Invece, stupore, solo quattro sono gli artisti che portano questo nome, tutti incredibilmente polistrumentisti (e qui è spiegato il trucchetto). L’abile violinista depone l’elegante strumento per imbracciare all’occorrenza la fiera fisarmonica o per voltarsi a suonare le tastiere, così come il batterista s’allontana dai suoi tamburi per soffiare forte in una tromba o come –ancora- la contrabbassista si separa a tratti dal suo fedele compagno per un più avvolgente sousafono, intrigante quanto imponente ottone. E su tutto e tutti la voce particolare di Nick Urata, a tratti quasi lamentosa, comunque sempre intensa. imgp6592red-448x299.jpg
Un quartetto d’arti insomma, svariate e complementari, a fondersi insieme in un gioco vincente delle parti, dove niente prevale e ogni elemento è fondamentale per l’equilibrio dell’insieme. Brani tutti in ugual misura coinvolgenti e turbinosi, per merito anche di una sezione ritmica molto presente e spiccatamente originale affidata alle bacchette di Shawn King, merito di una fisarmonica dal mantice instancabile e di un violino zigano prezioso (Tom Hagerman), di un signor contrabbasso e della sua signora Jeanie Schroder. Brani come ‘I cried like a silly boy’ o ‘Such a lovely thing’ terribilmente irresistibili si sono alternati ad altri più pacati e malinconici, ‘You love me’ per esempio e su tutti ‘How it ends’, un gioiellino di sette minuti in tensione tra il crescendo della base e la densità della voce. Un’ottima performance, in ultima analisi, per una band ricca di suggestioni ed influenze, profondamente originale e forte d’una propria decisa personalità, potersi vantare della quale al giorno d’oggi –ahimè- non è certo poca cosa.

Recensione by Rosa Rosae
Foto by Magister

Scaletta:
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