Giu 052016
 

Roma, Auditorium Parco della Musica, 29 maggio 2016

★★★½☆

banner_elvis_costelloUna legge non scritta della musica pop (e non solo) dice che se una canzone è bella, lo è anche quando la si ascolta ridotta all’osso, ovvero spogliata da tutti gli arrangiamenti ed orpelli sonori: voce e piano, voce e chitarra o poco più (cfr. Unplugged in NYC, Nirvana).  Questo concetto è alla base dell’attuale Detour, la tournèe che Elvis Costello sta portando in lungo e in largo per il mondo, con una serie di concerti che ha toccato anche l’Italia.

L’artista londinese non è nuovo ad esperienze simili, ricordo un’analoga esibizione sempre all’Auditorium, in cui si fece accompagnare solo dal fido Steve Nieve, suo alfiere alle tastiere sin dagli esordi con gli Attractions.

Indubbiamente Declan MacManus se lo può permettere, il suo songwriting è eccelso e in quarant’anni di splendida e più che onorata carriera di brani meravigliosi ne ha scritti in abbondanza. Non è un caso che alcuni tra i maggiori compositori del novecento (Paul McCartney e Burt Bacarach) abbiano collaborato con lui, stimolando la creatività da tutte e due le parti e dando vita ad un pugno di brani davvero notevoli (My Brave Face, Veronica, God Give Me Strenght). Questa odierna operazione di prosciugamento, però, a volte rischia di limitare l’efficacia di brani che comunque meritano più attenzione e cura nell’esecuzione per essere apprezzati fino in fondo. Basti pensare ad uno dei primi pezzi in scaletta stasera, Everyday I Write the Book, che viene eseguita quasi ‘a cappella’, limitando l’accompagnamento ad accordi appena accennati, a volte quasi strozzati. Certo,  possiamo anche provare a dimenticare le voci delle Afrodiziak ed il piano elettrico Yamaha che caratterizzavano l’originale, ma stavolta Costello è andato un po’ oltre il limite consentito, nonostante l’indubbia qualità del suo gusto musicale.

Resta comunque uno show di buon livello, un viaggio a ritroso nel tempo che non si limita a ripercorrere i quattro decenni di successi, ma va ancora più indietro, al dopoguerra quando il papà di Costello calcava le scene del Regno Unito con le sue canzoni. Elvis ha tanta (troppa?) voglia di chiacchierare e non si risparmia in racconti ed aneddoti tra un brano e l’altro, dando un po’ troppo per scontato che il pubblico sia in grado di capire ed apprezzare appieno le sue storie…

Un grosso schermo piazzato al centro della scena e camuffato da apparecchio TV d’antan trasmette immagini che mischiano le varie epoche celebrate dal Detour show: videoclips di fine anni settanta, vecchie locandine di film noir, foto di un piccolo Declan mascherato per carnevale, padre e figlio a condividere il palco, fino a immagini degli ultimi anni, che lo ritraggono con Allen Touissant, all’epoca della loro collaborazione per lo splendido album The River in Riverse e per i concerti di beneficenza del dopo uragano Katrina. La scaletta abbraccia buona parte del percorso musicale di Costello, da Peace, Love & Understanding, a Watching the Detectives, passando per I Want You, una All This Useless Beauty con tanto di versi cantati in italiano, una struggente My Aim Is True eseguita lontano dai microfoni e dall’amplificazione, sfruttando al meglio l’acustica della Sala Santa Cecilia.

Molto apprezzata l’esecuzione al piano di un inedito, A Face in the Crowd, ispirato al film di Elia Kazan e facente parte del progetto di un musical che dovrebbe debuttare nel 2017.

Un assaggio dello show che poteva essere lo si è avuto con i bis, in cui sono salite sul palco le Larking Poe, duo di splendide sorelle da Atlanta, Georgia, che hanno arricchito lo spettacolo con le loro voci, il mandolino e la chitarra slide, un ottimo propellente che ha dato alla serata un’ulteriore spinta di energia e buone vibrazioni, a volte assenti in altre parti della scaletta.

Un’ultima considerazione per chiudere: il pubblico romano è stato sicuramente diplomatico, distratto o generoso (o tutte e 3 le cose) nei confronti di questo illustre ospite nel perdonarlo per l’esposizione sul palco (sicuramente ingenua e non provocatoria) di una sciarpa del Liverpool FC proprio in occasione dell’anniversario della strage dell’Heysel e della finale dell’Olimpico del 1984…

Recensione di Fabrizio Forno

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