Giu 172016
 

Roma, Orion Club, 30 maggio 2016

★★½☆☆

eits 02Iniziamo dalla fine: dopo più di un’ora e mezza dall’inizio del concerto il chitarrista Michael James intona sulla sua chitarra il Do ribattuto all’infinito che introduce l’ultimo brano della serata, “The Only Moment We Were Alone”: una perfetta chiusura eseguita con sentito trasporto, tanto da rendere superflua qualsiasi richiesta di bis (confermata anche dal siparietto finale dell’altro chitarrista Munaf Rayani che, rispondendo a chi richiamava la band sul palco, afferma: “Siamo esausti, abbiamo dato tutto, vi vogliamo bene, cosa volete di più?”). L’intera essenza degli Explosions in the Sky è racchiusa interamente in questi dieci minuti abbondanti di musica, al suo interno sono presenti tutti i caratteri stilistici fondamentali di una carriera che ha ormai superato i quindici anni di attività.

C’è però un particolare piuttosto importante da non sottovalutare: il brano è datato 2003. Dalla pubblicazione di Earth is not a Cold Dead Place, album in cui era contenuto, la band texana si è certamente conquistata un ruolo fondamentale all’interno della scena musicale strumentale odierna (basti vedere le numerose collaborazioni cinematografiche e televisive), ma in più di tredici anni nessuno dei lavori successivi ha dato la minima impressione di aggiungere qualcosa di nuovo. Se separate da un’immagine filmica, tutte le nuove composizioni perdono completamente di forza e faticano a risplendere di luce propria.

Rimanendo nel campo della settima arte, il nuovo millennio ha visto un proliferare di utilizzi di band associabili a quel grande e confuso calderone denominato post-rock: dall’esaltante apripista con 28 Giorni dopo che utilizzava “East Hastings” dei Godspeed You! Black Emperor, passando per i Mogwai di Mr. Beast contenuti in Miami Vice o i Tortoise di “Djed” in The Rover, fino ad arrivare in tempi recenti alla splendida “evasione” di Room accompagnata da “The Mighty Rio Grande” dei This Will Destroy You. In tutti questi casi è la componente visiva a trovarsi al servizio della musica. Tutto il contrario di quel che avviene ormai negli Explosions in the Sky.

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E sì che al momento della loro uscita i primi due album del 2001 e del 2003 (in realtà il vero debutto How Strange, Innocence è del 2000, ma all’epoca venne pubblicato solo in CD-r) erano stati in grado di creare una perfetta e personalissima formula post-rock, tra arpeggi delicati, note sature di delay e reverberi, marcette di rullante, sali e scendi improvvisi, unisoni di crash e cassa, droni sognanti. Pochi elementi, ma convincenti, tutti già ben presenti come detto in “The Only Moment We Were Alone”.

Ma è proprio l’affidarsi unicamente a questi elementi a rendere ormai gli Explosions in the Sky ripetitivi e poco incisivi, facendo emergere una notevole povertà sul piano compositivo, e ancora più in sede live. Nulla da eccepire sull’esecuzione, sotto questo punto di vista la serata presso l’Orion Club di Ciampino si è svolta nel migliore dei modi; anche la costruzione della scaletta è apparsa ben equilibrata, attingendo a piene mani oltre che dall’ultimo lavoro The Wilderness, dai due dischi sopracitati. E l’esplosione dell’accordo iniziale di “Greet Death” tratta da Those Who Tell the Truth Shall Die / Those Who Tell the Truth Shall Live Forever ha creato più di un brivido in molti spettatori.

Ma certamente i paesaggi tratteggiati dalla band texana sono ben distanti da quelli dipinti da mostri sacri quali Godspeed You! Black Emperor o Mogwai, sono privi di reale sincerità, poco autentici (ma fortunatamente mai quanto i terribili God is an Astronaut); e anche il trasporto e il fervore del pubblico che a ogni improvviso svuotamento sonoro puntualmente si esalta come fosse la prima volta producono delle strane sensazioni, si ha come l’impressione di trovarci di fronte a un grande inganno: i più credono di essere al cospetto di un’entità sacra, capace di tessere trame musicali epiche e toccanti, ma in realtà non potremmo esserne più distanti. E i momenti in cui si entra in empatia con loro sono davvero pochi.

Recensione di Federico Forleo

Scaletta

Wilderness
Catastrophe and the Cure
Greet Death
Logic of a Dream
The Ecstatics
The Birth and Death of the Day
With Tired Eyes, Tired Minds, Tired Souls, We Slept
Colors in Space
Your Hand in Mine
Disintegration Anxiety
The Only Moment We Were Alone

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