Lug 162013
 

Roma, Auditorium Parco della Musica, Cavea, 3 luglio 2013

Anche quest’anno Luglio suona bene ha ritagliato uno spazio per la rassegna Meet in Town. Contrariamente alle precedenti edizioni, però, tutto è stato concentrato su un unico palco in un’unica serata, limitando a due esibizioni l’ormai tradizionale panoramica sulla musica elettronica.
Se da una parte si apprezza lo sforzo di contenere i costi (le precedenti edizioni erano state contraddistinte dall’elevato costo del biglietto d’ingresso), dall’altra non si può che constatare il limite di un’offerta alquanto striminzita e per certi verti poco in linea con il tema della rassegna.
Con ancora la ferita aperta dalla notizia del forfeit di Neneh Cherry, prevista esibizione d’apertura della serata con cui avrebbe dovuto presentare il nuovo album The Cherry Thing, ci siamo potuti in parte consolare grazie alla presenza del grande trombettista norvegese Nils Petter Molvaer, che ha dato prestigio, calore e colore all’esibizione della Martrux_m Crew ★★★☆☆, progetto di elettronica ambient sfociato in un album, Imagine, ispirato all’albun capolavoro di John Lennon. Con il contributo del chitarrista Elvind Aarset e di Francesco Bearzatti ai sax, il suono proposto dai tre DJ sembrava perfetto per l’imbrunire di una serata i cui grigi nuvoloni minacciosi sembravano voler accentuare le cupe timbriche dei fiati e del tessuto sonoro etnofolk imbastito dalle elettroniche. Gli assolo di Molvaer venivano puntualmente salutati dal caldo consenso del pubblico ed hanno rappresentato l’apice emozionale di questo set d’apertura.
Dopo un rapido cambio palco, ecco arrivare dalla lontana Nuova Zelanda la band dei Fat Freddy’s Drop ★★★½☆, che ha immediatamente spinto il pubblico in platea ad accalcarsi sotto il palco e lasciarsi avvolgere dal ritmo e dal suono compatto e maestoso, al di là di ogni ragionevole dub, del gruppo di Wellington, per la prima volta a Roma. Reggae dilatato ed espanso, sostenuto dai fiati e da una base ritmica corposa anche se apparentemente assente (la band suona senza bassista e batterista, ecco il legame con il tema elettronico della serata). Alla pressoché totale mancanza di presenza scenica del cantante Dallas Tamaira, aka Joe Dukie, dalla voce dolce, calda ed avvolgente tipica della tradizione soul e R&B e dall’incredibile somiglianza con Kobe Bryant, faceva da contraltare il trio di fiati (il trombonista Joe Lindsay, una spanna sopra gli altri), vero spettacolo nello spettacolo, nonchè l’arrivo a metà concerto del vocalist e raggamuffer di bombetta munito, che se non altro ha colmato la distanza tra pubblico e band, come sempre inspiegabilmente addossata al fondo del palco. Brani lunghi, ipnotici, trascinanti, dal ritmo che inesorabilmente spinge tutti (anche i signori in cravatta e camicia, probabili manager di uno degli sponsor) ad una danza collettiva, coinvolgente ed inarrestabile. La solidità del suono e la perfetta calibratura di tutti gli strumenti hanno reso la serata davvero piacevole, se non fosse per l’ultimo brano, troppo ‘disco oriented’ e di certo non indimenticabile. Un ultimo appunto sulla durata, un’ora scarsa, del concerto, senza nemmeno un bis concesso alla calorosa ed implorante platea che invano ha battuto mani ed oggetti sul palco nella speranza di un’ultima canzone. Bravi, ma troppo distanti, speriamo che ad ottobre, nella diversa situazione dell’Estragon di Bologna, si concedano e si sciolgano di più.

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Recensione e foto di Fabrizio Forno

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