Giu 162011
 

Roma, Giardini di Villa Medici, 11 giugno 2011

★★½☆☆

La serata conclusiva della seconda edizione di ‘Villa Aperta’, importante rassegna di musica indie che per tre giorni si è svolta nei giardini di Villa Medici, ha ospitato due band molto diverse ma dai curricula entrambi interessanti: Il trio italo-canadese di His Clancyness ed i britannici Metronomy. Nei giorni precedenti si erano avvicendati sullo stesso palco alcuni artisti della scena elettronica francese, ovvero The Shoes, Poni Hoax, Logo e Housse De Racket, questi ultimi due facenti parte della label Kitsuné, attualmente tra le etichette di punta della scena indipendente d’oltralpe.
Dopo aver rimirato uno spettacolare tramonto grazie alla splendida veduta offerta dalla terrazza di Villa Medici, vero spettacolo nello spettacolo, all’imbrunire ecco presentarsi sul palco Jonathan Clancy con il suo trio His Clancyness ★★½☆☆ che propone un pop scarno e non particolarmente originale, supportato però da un buon sostegno vocale ed una discreta presenza scenica del leader canadese ma bolognese di adozione. Nulla di particolarmente memorabile, eccezion fatta per la morbida ballad ‘Ottawa Backfired Soon’, brano accattivante ed efficace, seppur nella sua disarmante semplicità compositiva.
Attesi da un folto pubblico, si presentano in scena i Metronomy, capeggiati dal cantante/chitarrista e tastierista Joseph Mount. Il promettente inizio di We Broke Free mi aveva lasciato sperare in un concerto intrigante e succulento: l’architettura della canzone, l’ottimo impasto tra voce e coretti, il drumming asciutto di Anna Prior, seppur non esattamente l’elettropop che ci si aspettava avevano catturato l’attenzione generale.
Il proseguio della scaletta, però non riusciva ad essere altrettanto interessante: l’impressione generale è stata quella di una rilettura superficiale ed insoddisfacente di tanta buona new wave d’antan: alcuni brani richiamavano i Cure di Pornography, gli Ultravox di Vienna, mentre il puntuale basso di Ghenga Adelekan addirittura ci riportava ai grandi Gang of Four dei tempi migliori. Dopo qualche spruzzatina di dance in stile Scissor Sisters (The Bay), l’attacco di ‘You could easily have me’ e soprattutto le atmosfere della successiva My Heart Rate Rapid ci hanno persino fatto ripensare ai Devo, dai quali traggono anche parecchia della loro ispirazione scenica, indossando sopra ai loro vestiti -tutti uguali a mo’ di divisa- delle lampade bianche appese sul petto, una specie di protesi mammaria luminosa che si accendeva a tempo con il ritmo della batteria. Poca roba, insomma, soprattutto se confrontata con gli artisti che abbiamo elencato ed il cui urgente riascolto è stata l’unica forma di disintossicazione possibile dal piattume ascoltato stasera.
Unico sussulto, il brano strumentale proposto come bis, The End Of You Too: anche se a tratti sembrava semplicemente la riproposizione del brano demo delle vecchie tastiere della Bontempi, per lo meno con la sua struttura antemica e marziale ed i suoi repentini cambi di ritmo e registro denotava un minimo di originalità, qualità del tutto mancante, purtroppo, al resto del repertorio. Una stella in più (ad entrambi gli artisti) per la splendida location ed il tramonto der sole dietro ar Cuppolone…

Recensione e foto di Fabrizio

Scaletta:

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