Lug 042013
 

Roma, Auditorium Parco della Musica, Cavea, 24-25 giugno 2013

Nella tipica cornice estiva della Cavea- Auditorium Parco della Musica (Roma), ha avuto luogo la due giorni dedicata al progressive scuola seventies, rappresentato per l’occasione dalle accoppiate formate rispettivamente da Osanna e Banco del Mutuo Soccorso (24 giugno) e dal Museo Rosenbach e dalla PFM (il giorno successivo). Inutile sottolineare l’alone di tristezza che pervadeva gli interpreti alternatisi sul palco, visibilmente commossi a causa della scomparsa del grande Claudio Rocchi, avvenuta a pochi giorni dall’inizio di una kermesse che avrebbe dovuto vedere il musicista milanese tra i protagonisti di un concerto “a tre” assieme a Gianni Maroccolo e Franco Battiato (26 giugno), evento tramutatosi per cause di forza maggiore in un happening riservato al solo cantautore siciliano, che come di consueto non ha deluso le attese.

Osanna ★★★½☆

I primi a scendere in pista sono stati i partenopei Osanna, capitanati dallo storico frontman Lino Vairetti, coadiuvato tra gli altri dall’ex Van Der Graaf Generator David Jackson al sax, prima dell’ingresso a metà concerto di Gianni Leone, anima di un’altra band di culto del progressive italico come il Balletto di Bronzo. La verve degli Osanna si dimostra ancora di spessore, con brani simbolo come L’uomo e Oro caldo riproposti in tutta la loro attualità, prima del full-immersion nelle radici della propria terra con la versione folk-prog di O’ napulitano, altro cavallo di battaglia targato 1978 contenuto nel sottovalutato Suddance, con la bellissima In un vecchio cieco a stagliarsi nel bel mezzo della performance, sintetizzando l’anima di un gruppo coerente coi propri ideali musicali, ancora immerso in una mentalità d’annata espressa compiutamente dalla scelta di esibirsi con i volti dipinti (come accadeva un quarantennio fa), sottolineando un retaggio che da un certo punto di vista suona come anacronistico, ma dall’altro si lascia apprezzare per l’assoluta genuinità di questi ottimi musicisti, ancora capaci di stuzzicare i presenti mediante l’assolo di Purple Haze del dio Hendrix infilato nelle trame de’ L’uomo, o infarcendo le tastiere di essenza lisergica grazie al dinamismo dell’estroso Leone, confezionando una prestazione collettiva discretamente adrenalinica e sfruttando appieno il tempo a disposizione in attesa del Banco.

Banco del Mutuo Soccorso ★★★½☆

Proprio l’arrivo sul palco della band di Marino (che in pratica gioca “in casa) rappresenta il piatto forte della serata, con la consueta accoppiata Nocenzi-Di Giacomo a scaldare l’ambiente al primo impatto, grazie alla riproposizione (seppur notevolmente accorciata) della splendida Canto nomade per un prigioniero politico, che mai come oggi sembra conservare lo spirito militante che incarnava al momento della propria scrittura, avvenuta nel lontano 1973, in un tempo (remoto?) segnato dal cruento colpo di stato ordito dal generale Pinochet ai danni del governo democratico di Salvador Allende. A stretto giro, si susseguono i pezzi di Darwin, da L’evoluzione alla vigorosa Cento mani e cento occhi, passando dalla consueta, bellissima 750.000 anni fa… l’amore? in versione solo per voce e piano, che strappa applausi a più riprese ad un pubblico mai sazio di ascoltare una simile gemma, sulla cresta dell’onda da oltre quarant’anni, ma impossibilitata a conoscere una qualsiasi forma d’invecchiamento. Quando giunge il momento di Non mi rompete, vero e proprio inno generazionale targato Banco, arriva sul palco lo storico chitarrista Rodolfo Maltese a completare la line-up: i presenti cantano in coro, si divertono e qualcuno si commuove, veleggiando sulla voce sempre eccezionale di “Big” Di Giacomo, dimenticando le baruffe tecniche che sembrano tartassare Vittorio Nocenzi e le proprie tastiere, attendendo pazientemente brani-manifesto come Traccia e R.I.P. a suggellare una serata emozionante che testimonia (semmai ce ne fosse stato bisogno) di quanto credito godano ancora tra gli appassionati dei pionieri del rock progressivo come Osanna e Banco.

Museo Rosenbach ★★★★☆

L’evento nell’evento previsto per il giorno successivo è rappresentato dall’esibizione live del Museo Rosenbach, nuovamente on-stage dopo la fugace ma memorabile apparizione datata 1973: il loro Zarathustra, infatti, è a tutt’oggi considerato come uno dei capolavori assoluti del genere, un lavoro che ogni appassionato di prog (e non solo) dovrebbe recuperare e riascoltare, data l’eccellente qualità della proposta in questione, passata quasi sotto silenzio all’epoca della propria pubblicazione a causa del soggetto concept del disco (di nietzschiana memoria) e delle (presunte) ideologie di destra attribuite al gruppo, soprattutto riguardanti il collage di copertina che annoverava tra gli elementi anche un provocatorio busto del duce che sbucava nel disegno. Il Museo, forte di tre membri originari come Alberto Moreno (tastiere) e Giancarlo Golzi (alla batteria, da anni nei Matia Bazar), nonché della storica voce di Stefano “Lupo” Galifi, ha recentemente pubblicato un nuovo lavoro intitolato Barbarica (2013): l’estratto Il Re del circo, proposto in questa data romana, lascia intendere quanto ancora l’affollato complesso ligure (che conta in totale sette elementi) abbia voglia di misurarsi con i crismi del genere, nonostante i presenti smanino per ascoltare chicche inossidabili (ovviamente per gli incalliti del prog) come Dell’eterno ritorno o Della natura, splendidi affreschi del lavoro d’esordio rimasti confinati per tanto, troppo tempo nel limbo del collezionismo e poco considerati per l’effettiva qualità contenuta nella proposta. Il Museo Rosenbach si dimostra in ottima salute, gli anni non sembrano aver per nulla intaccato la possente vocalità di Galifi mentre Golzi, scevro dai dettami pop utilizzati nei Matia Bazar, dà fondo al proprio campionario dimostrandosi batterista rock di sopraffino livello, raggiungendo l’apice assieme al resto del gruppo con la strepitosa esibizione della suite Zarathustra, esempio sublime di progressive italico che chiude la performance della band, indubbiamente la migliore di questa due giorni di revival progressivo.

Premiata Forneria Marconi ★★★★☆

La serata prosegue con la PFM, complesso dalla notorietà internazionale che non ha bisogno di troppi orpelli e presentazioni. Il quartetto formato da Mussida, Djvas, Fabbri e Di Cioccio apre con la suadente Per un amico (dall’LP omonimo), dedicata ovviamente a Claudio Rocchi: la commozione per la scomparsa dell’ex bassista degli Stormy Six è palpabile, e perfino il proverbiale istrionismo di Di Cioccio risulta mitigato, con la consueta orazione di Maestro della voce dilatata ed intonata col pubblico, ricordando un altro grande che non c’è più oramai da molti anni, il leggendario Demetrio Stratos. In mezzo, ovviamente, tanta altra grande musica, come l’inossidabile La Luna nuova o la devastante La Carrozza di Hans (al solito il miglior brano del concerto), prima che una voce amabilmente atonale come quella di Franco Mussida introduca il must di Impressioni di settembre, il cui giro di moog riesce ancora a trasmettere brividi autentici a distanza di oltre quattro decenni. A degna chiusura di un grande concerto, la consueta E’ festa che diviene in corso d’opera Celebration grazie all’intervento degli spettatori, aizzati da Franz Di Cioccio, vero e proprio bandautore ed anima rock di un gruppo in grado di stuzzicare gli appetiti dei neofiti di genere, continuando a deliziare coloro che rimirano negli scaffali delle proprie case la prima stampa originale di Storia di un minuto, acquistata magari nel lontano 1972 e divenuta senza esagerazione alcuna uno dei cimeli intramontabili della sacra tradizione musicale italiana.

PS.: La nota parzialmente stonata di queste due bellissime serate, l’unica tra il nugolo di meravigliose note musicali susseguitesi, riguarda la presenza del pubblico, accorso in maniera non certo massiccia, con spazi vuoti a vista d’occhio specialmente sulle tribune sovrastanti il parterre. Data la ricchezza del cartellone in programma (articolato all’interno di Luglio suona bene), qualche Euro in meno sui prezzi dei biglietti avrebbe indubbiamente incoraggiato un numero di presenze più cospicuo ed adeguato all’importanza della manifestazione; la crisi si fa sentire sempre di più, nelle tasche e nella mente della popolazione, e lavorare sulla quantità dei convenuti sarebbe sicuramente la scelta migliore per riempire platee destinate ad eventi immortali come quelli summenzionati. Meditate gente, meditate…

Reportage di Fabrizio ‘82

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