Ago 022012
 

Roma, Auditorium della Musica, Cavea, 20 luglio 2012

Ripetendo una recente e stimolante iniziativa, eccoci a proporre due angolazioni del recente concerto della grande artista statunitense. Speriamo che l’idea sia apprezzata e che l’iniziativa possa avere un seguito.

★★★★★

La fenice punk nella notte dell’Aurora

E’ una serata particolare, l’America stasera cosi lontana, ma cosi vicina è scossa dal dramma di Aurora, una tranquilla serata di cinema con Batman si è tramutata in una nottata di sangue per un Joker impazzito. E qua a Roma una delle voci più importanti dell’America sale sul bellissimo palco della Cavea dell’Auditorium di Roma per raccontarci la sua vita, le sue ferite, le sue mancanze e le sue forti immagini. Un appuntamento imprendiscibile per chi ama il vero rock, quello macchiato di punk, di ballate sofferte, di inni, ma anche di introspezioni soniche dalle quali venire inghiotitti in una spirale blues onirica.
L’inizio è affidato a due classici “Redondo Beach” con il suo lento incedere reggae style e a “Dancing Barefoot”. La Cavea inizia a scaldarsi e Patti ci tiene subito in pugno. Magnetica e intensa ci saluta spesso cercando e trovando subito un forte legame con il suo pubblico.
Saluta la città sorridendo (“Roma”) felice di aver visto finalmente un negozio di dischi (“A New York non ci sono più record stores” dice amaramente) con in vetrina il suo ultimo album. Aggiunge scarcastica “E’ anche vero che oggi mi eccito facilmente”. “This is the girl” viene dal suo nuovo, ottimo, album chiamato “Banga”. E’ il brano per Amy Winehouse che entra cosi nel Pantheon delle vite che ci hanno prematuramente lasciato che Patti è solita raccontare. Che “Banga” sia un gran bel lavoro lo dimostrano sia il brano seguente, il singolo, “April fool” che “Fuji-san”.(Omaggio al Giappone post terremoto del 2011).
“Free Money” è il solito inno, Patti prende in mano tutta la Cavea e l’anima punk traspare, forte e vivida come non mai, come se non fossero passati tutte queste decadi. Il brano successivo è “un brano che non facciamo spesso..è tratto da…” e si rivolge a Lenny Kaye per aver conferma “è tratto da Radio Ethiopia” ed ecco la rara “Distant Fingers”.
“Beneath the southern cross” dal bellissimo cd “Gone Again” è sempre uno degli apici dei concerti della poetessa punk e anche stasera non si fa eccezione, con la cavea ipnotizzata dalle trame sonore del group e di Patti alla chitarra acustica
“In my bleaken year” spezza un pò questa suprema ipnosi con il suo forte incedere.
Patti solo con la chitarra ci racconta che è andata al Pantheon a trovare Raffaello. Ma Raffaello dormiva in pace, dunque i suoi passi si sono diretti a Piazza della Minerva per per salutare l’elefantino, un animale che visto molti accadimenti, e che ora visti i lavori di restauro non può più assistere a nulla.
Il desiderio di condividere tutto con l’audience si palesa fortemente quando per il medley di “Night Time/Nothin’ Yet/Born To Lose/Pushin’ Too Hard” (un unione mirabile di Blue Magoos, Heartbreakers e Seeds tratto dal cofanetto “Nuggets” curato da Lenny Kaye)Patti si getta nell’audience a gustarsi il Patti Smith Group (con alla voce appunto Lenny Kaye)come una di noi.
“Maria” è dedicata alla sua amica Maria Schneider, recentemente scomparsa e indimenticata protagonista dell’Ultimo Tango Parigino di Bartolucciana memoria.
Scorrono di seguito il primo singolo di Patti Smith “Pissing in a river” e l ‘inno immortale di “Because the night”.
I saluti ad Emergency introducono uno dei brani più belli di “Trampin” la deliziosa ballata “Peaceable Kingdom” (che si combina benissimo con l’appello anti armi declamato da Patti Smith pensando alla strage di Aurora).
“Gloria” infiamma definitivamente la cavea, un inno immortale, vivido, punk, una rielettura del brano dei Them di Van Morrison che non stanca mai di arrivare come un orgasmo lento che esplode nella notte romana.
I bis sono dedicati a “Wave”, la title track “Banga” e l’immancabile “People have the power” già in precedenza accennata.
Un concerto forse troppo breve (credo che non siamo arrivati a 2 ore), ma quando si assiste a un concerto di Patti Smith ci si lascia trasportare verso mete libere, passionali, dove la poesia, l’energia, il mistero, la vita e la morte si fondono in unico flusso. Ci si deve arrendere ad esso a mente e cuore sgombro e per questo parafraso il ritornello del brano del suo amico Bruce Springsteen e le dico “No retreat Patti, No surrender” questo mondo, questa musica ha fottutamente bisogno di una voce come la tua.

Recensione di Fabrizio Fontanelli

La leggerezza vince il tempo

★★★★★

Tra Patti Smith e l’Italia c’è un rapporto particolare, e si vede. Nell’ultimo album, “Banga”, in parte composto a bordo della Costa Concordia, ci sono molti riferimenti al nostro Paese, che le riserva sempre un’accoglienza molto calorosa. E infatti alla tappa romana del tour italiano, nella cavea dell’Auditorium, c’erano due tipi di spettatori, ma ben distinti: gli over 50, che avevano amato la cantante ai suoi esordi rock punk degli anni ‘70, e tanti giovani, che adorano l’energia positiva che questa 65enne riesce ancora pienamente a trasmettere, col suo messaggio in fondo semplice e senza tempo (“people have the power”).
E questa distinzione s’è vista. I giovani soffrono particolarmente l’assurda discrasia che c’è tra l’allestimento di luoghi concepiiti come “tempi” della musica – e perciò legati a modalità di ascolto controllate e formali – e la musica che vi vene suonata, che spesso (come nel rock) è inseparabile dalla gratificazione dei corpi, ritmata, vicina alla più genuina essenza della musica stessa, come rito colletivo, al quale nessuno può assistere quale spettatore del tutto passivo. È per questo che, a mio parere, la posizione migliore per ascoltare la musica, quasi senza eccezioni, è quella in piedi. E all’Auditorium dovrebbero considerare molto seriamente l’ipotesi di eliminare del tutto le sedie dalla platea, almeno nella Cavea, lasciando a chi non può o non vuole stare in piedi la possibilità di starsene comodamente seduto in galleria. Così potrebbe continuare ad includere nel cartellone artisti pop e rock, ad esempio con performance saltellanti (musicista e pubblico insieme) come quella di Caparezza.
Ma torniamo a Patti Smith. I suoi concerti sono sempre bellissimi. È una musicista di talento ed esperienza, che – nella scelta della scaletta – può contare su un repertorio vasto, ma non in declino, come dimostrano le molte chicche presenti in “Banga”. A parte i vecchi pezzi che più scaldano il pubblico, come “Because the Night” e “People Have the Power”, l’arrangiamento live – curato in ogni dettaglio – di un brano come “Gloria” ne rivela tutta le potenzialità che, nel tempo, sono fonte inesauribile di spunti creativi.
Patti Smith invecchia anagraficamente, come tutti, ma non stanca mai, non si ripete, diverte, è leggera e profonda al tempo stesso. È questo il suo segreto. Il suo linguaggio è universale, semplice ma non banale – ha anche canzoni di un solo accordo – e perciò regge nel tempo. La sua musica ha perso la componente punk, ed è logico che sia così, ma non il resto. La lunga chioma sbiancata, ma intatta, dell’inseparabile chitarrista Lenny Kaye, a suo modo simboleggia la tenuta di un’arte che attraversa le generazioni grazie alla sua solidità.

Recensione di Paolo Subioli
foto di Anna T ( http://www.flickr.com/photos/anna/ )

 

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