Apr 072013
 

Roma, Auditorium della Conciliazione, 23 marzo 2013

★★★★½

Grande atmosfera all’Auditorium della Conciliazione di Roma per l’atteso concerto della Premiata Forneria Marconi, storica band foriera di quel verbo progressivo fiorito nel fertile terreno dei primissimi anni ’70. In questa occasione, la PFM non si limita al consueto amarcord in memoria dei bei tempi, quelli di Storia di un minuto o di Per un amico, per intenderci: stavolta, la proposta della band lombarda si rivela assai più ambiziosa, tanto nella confezione quanto nella risoluzione pratica, riproponendo dal vivo La Buona Novella, l’immortale capolavoro del maestro Fabrizio De Andrè pubblicato nel 1970 e tratto dai vangeli apocrifi. Del resto, non era certo la prima volta che la PFM si cimentava con il repertorio del grande cantautore ligure, visti i trascorsi riguardanti le trionfali tournée del periodo 1979-81 e le recenti esibizioni aventi a tema i remake dei concerti suddetti, in memoria di un sodalizio per certi versi irripetibile tra uno chansonnier raffinato com’era De Andrè e le sonorità apparentemente distanti di un gruppo progressive come la Premiata. In verità, l’incontro tra la band e La Buona Novella avvenne proprio nell’anno di grazia 1970, visto che i musicisti del disco altri non erano che dei giovani di belle speranze denominati genericamente I Quelli, che di lì a poco avrebbero mutato il nome in Premiata Forneria Marconi. In questa tappa romana, Mussida, Djivas, Di Cioccio e compagni hanno deciso però di “ampliare” la struttura originale dell’LP, inserendo gli elementi propri del prog a loro confacente riadattando nel contempo tutto il lavoro, con la consueta collaborazione dello storico Lucio Fabbri al violino, oltre ad Alessandro Scaglione alle tastiere ed a Roberto Gualdi alla batteria che si alterna con Franz Di Cioccio quando quest’ultimo si cala nelle vesti di vocalist. Ecco, allora, che l’immaginifico mondo della Buona Novella prende pian piano vita, seppur riarrangiato in chiave PFM, con brani manifesto come L’infanzia di Maria che si dilatano oltre gli otto minuti, mentre Il Ritorno di Giuseppe rifulge con sobrietà nella voce di Franco Mussida che anima quella sorta di presepe pagano descritto da De Andrè; in rapida successione, scorrono così Il Sogno di Maria, poi Ave Maria, quindi una formidabile versione di Maria nella bottega del falegname, seguita dalle strazianti Via della Croce e Tre madri, entrambe amabilmente sotto le righe, prima dell’esplosione de’Il Testamento di Tito, vero manifesto del disco nobilitato dalla verve della PFM che riesce a provocare brividi di autentica emozione nel passare in rassegna impietosamente uno ad uno tutti i comandamenti, concludendo l’esibizione con una versione di Laudate Hominem incredibilmente progressiva, elaborata ma, al tempo stesso, straordinariamente concreta. Certo, per coloro che hanno le proprie orecchie abituate alla voce suadente di De Andrè, qualche difficoltà di adattamento può sorgere: del resto, alcuni momenti risentono inevitabilmente delle lievi lungaggini dettate da qualche barocchismo che affiora qua e là, ma ciò non intacca minimamente la riuscita di un progetto emozionante che sollazza a dovere i palati fini dei melomani presenti. Nella seconda parte, la PFM ripropone una carrellata di vecchi successi mai tramontati, anzi lustrati a dovere ed esibiti con la consueta classe: brani come Dove… Quando… o La Luna nuova non hanno bisogno di particolari orpelli di presentazione, mentre i virtuosismi al basso di Djivas introducono la commossa dedica all’immenso Demetrio Stratos contenuta in Maestro della voce. Immancabile, poi, La Carrozza di Hans nella devastante versione live con Di Cioccio al solito straordinario dietro la batteria; obbligatoria, inoltre, Il Pescatore (ancora De Andrè) cantata a squarciagola dal pubblico, mentre il giro di moog di Impressioni di Settembre affonda le radici direttamente nella storia del rock italiano (e non solo) prima della chiusura di E’ Festa (o Celebration… che dir si voglia), anch’essa portata a termine con l’ausilio di un pubblico giubilante incollato alle poltroncine di velluto per oltre due ore di adrenalina pura. In definitiva, una serata che non ha minimamente tradito le attese, in compagnia di una delle migliori band italiane di sempre, composta da musicisti eccellenti, mai domi sul palco nonostante le primavere che impietosamente si susseguono ed i capelli che s’incanutiscono, ma con la stessa voglia che li contraddistingueva quasi mezzo secolo fa. Qualcuno, forse, muoverà qualche critica al fatto che gli omaggi di Di Coccio & co. a De Andrè siano divenuti nel tempo sempre più frequenti, in controtendenza alla produzione di inediti da parte della stessa PFM, forse definitivamente sazia di nuovi parti in sala di registrazione. In questo caso, è d’obbligo ricordare il livello altissimo della tecnica esibita da questi eccellenti musicisti ogni qualvolta ci si appresta ad assistere ad un loro concerto. E pazienza, se qualche ripetizione solleverà una timida rimostranza da parte dei puristi del genere, poiché questi giovanotti alle soglie dei settant’anni incarnano ancora una delle migliori pagine riguardo la vera tradizione del rock made in Italy. E per questo non possiamo che ringraziarli infinitamente.

recensione di Fabrizio ’82

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