Lug 102008
 

Cavea Auditorium Parco della Musica, 9 luglio 2008
L’astro di Sinead O’Connor è in caduta libera da alcuni anni. L’inizio della fine è probabilmente coinciso con la nota esibizione al Saturday Night Live nell’ottobre del 1992, nella quale la cantante strappò in diretta la foto di papa Wojtyla per protestare contro gli abusi sessuali ai danni dei minori maturati negli ambienti ecclesiastici. Dopo il clamoroso successo del secondo album “I Do Not Want What I Haven’t Got” (1990) che ha venduto circa 7 milioni di copie, è stata una continua corsa al ribasso, per finire con i due album più recenti (“Theology” e “Throw Down Your Arms” ) che insieme non hanno venduto neanche 700 mila copie. L’artista, controversa quanto basta nei primi anni di carriera, sembra aver raggiunto in questi ultimi tempi una certa qual pace interiore, anche se una personalità come la sua può rimanere dormiente per qualche tempo ed esplodere Plinianamente e in maniera quanto mai improvvisa. Tra gli aneddoti più particolari, ricordiamo che nel 1999 Sinead è stata ordinata Prete dal vescovo irlandese Michael Cox, capo della setta scismatica “Latin Tridentine Church”. Nonostante tutto ciò, un nocciolo duro di estimatori della O’Connor riesce a riempire l’Auditorium per l’unica data italiana del suo Tour mondiale.
In veste bianca, Madre Maria Bernadette, entra sommessamente in scena, francescanamente scalza, quasi a voler trasmettere a tutti i costi una forte spiritualità. Se non fosse qui per presentare “Theology”, il suo ultimo lavoro di ispirazione biblica, potremmo pensare ad una Santona indiana in arrivo da Varanasi per parlarci delle “quattro verità”.
È accompagnata dal chitarrista Steve Cooney, che ha avuto un ruolo di primo piano nella preparazione dell’ultimo album e dal polistrumentista Kieran Kiely. Particolare curioso, che suggerisce un grande affiatamento tra i due, la mancanza di calzature anche nel chitarrista.
Il concerto è acustico, tecnicamente perfetto per un salmodiare ordinato e dolce al tempo stesso ma manca appunto di spiritualità o almeno riesce soltanto in parte a trasmetterla. Nell’ora e venti di concerto, la Sciamana d’Occidente ci propone 7 brani del nuovo album e altri 9 dagli album precedenti. Ma sono proprio i brani nuovi a deludere alquanto le aspettative, risultando poco incisivi ed emotivi, forse proprio a causa della loro monotonia e del cantato troppo sommesso. Infatti sono soltanto rari gli acuti, dove la magnifica voce di Sinead esce prepotentemente fuori e riesce a trasportarci in altri luoghi, in altri tempi. Un po’ come se fosse volutamente tenuta al guinzaglio dalla cantante per paura di andare fuori registro. In effetti per ben due volte nell’arco del concerto la cantante è attaccata da una stizzosissima tosse che però riesce abilmente a domare.
I brani classici del repertorio di Sinead riescono a salvare un concerto altrimenti da dimenticare. Prima tra tutti la splendida “All babies”, in cui finalmente la voce struggente di Sinead ci indirizza ad un facile gemito, commuovendoci coralmente. Poi il brano scritto da Prince, una canzone senza tempo, che la cantante permea a sua piacere, solleticando il pubblico, provocando brividi quasi proibiti.
Ancora ci ha piacevolmente colpito la versione “I Am Stretched on Your Grave”, una bella canzone d’amore ispirata da visioni a cavallo tra il gotico e il romantico, adattamento di Philip King da un poema Irlandese del 17° secolo. Abituati alla versione cantata da Brendan Perry dei Dead Can Dance rimaniamo spiazzati dalla dolcezza timbrica di questa esecuzione, quanto eravamo ammaliati dalla Melancolia profonda, imbevuta di ineluttabilità, del brano cantato da Perry.
Nello stitico bis con due soli pezzi eseguiti, va a chiudere il concerto una bella interpretazione di “Rivers of Babylon”. Francescanamente parlando la spiritualità è una bella cosa ma non basta togliersi le scarpe e mettersi un saio per trasmettere parole divine, soprattutto quando si chiedono fior di fiorini agli astanti. Crediamo sia più trasparente fare spettacolo ed essere retribuiti per quello, per questo preferiamo la Sinead incostante, turbolenta ma alla fine artista, non certo la sacerdotessa di questi tempi.
Recensione by Magister
Le foto sono di Haags Uitburo e sono state scattate durante l’esibizione all’Aia (13-06-2008)
Scaletta del Concerto di Roma

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  One Response to “Sinead O’Connor: Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra”

  1. E’ vero che Sinéad è cambiata molto nel corso degli anni ed è anche vero che prima aveva degli elementi in più che la rendevano più affascinante…sia musicalmente sia personalmente…però sembra un esagerazione l’articolo…sembra che il concerto a Roma abbia fatto schifo.
    Io c’ero ed è stato un bel concerto! Commovente ed intimo, regalando quelle emozioni che solo Sinéad è in grado di regalare……e poi….cambia o non cambia, rimane sempre l’icona della trasgressione, dell’arte in quanto espressione e non tecnica. Rimane un eroina più che coraggiosa che, conoscendo i rishi ai quali andava incontro ha sempre mostrato ciò che pensava e combattuto per i suoi ideali…il fine giustifica i mezzi (nel suo caso lo strappo della foto del papa). Non si può dire che le sue intenzioni non fossero buone….e poi,per me rimarrà sempre la mia Sinéad! A priori e a prescindere!

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