Ott 292010
 

Roma, Teatro Palladium, 24 ottobre 2010
★★★☆☆
Con una minitournèe che si è conclusa a Roma dopo aver toccato Ravenna, Torino e Firenze, torna a proporsi dopo sei anni il progetto di Marta Collica dei Sepiatone, in collaborazione con alcuni dei migliori esponenti della scena musicale indipendente: italiana, con Manuel Agnelli e Rodrigo d’Erasmo degli Afterhours, Cesare Basile e Giorgia Poli, ex bassista degli Scisma (=Paolo Benvegnù), ed internazionale come John Parish, già in duetto con la nostra amatissima PJ Harvey, Hugo Race dei Bad Seeds per finire con Stef Kamil Carlens degli altrettanto amatissimi dEUS. Dal numero di link che avete appena passato capirete quanto il nostro sito potesse essere attratto da una simile serata che radunava sullo stesso palco un così nutrito parterre de roi.
Forse proprio per le grandi aspettative, il risultato finale è stato a nostro avviso leggermente deludente, se si esclude una manciata di guizzi davvero notevoli (un’insolita e davvero apprezzabile versione alla Shadows di Ballad for my little hyena, la bella riproposizione di ‘Boston’ dal repertorio dei Dream Syndicate, grazie alla presenza di Steve Wynn e soprattutto la finale, lunghissima, lancinante e dilatata versione di ‘Black Eyed Dog’ di Nick Drake splendidamente interpretata per il bis di chiusura da un Cesare Basile davvero ispirato.
Per il resto ci è parso di vedere un’auto da corsa che circolava col freno a mano tirato: l’interessante idea di un gruppo eterogeneo di performers che si scambiavano gli strumenti e la ribalta sul palco e che si cimentavano in un repertorio variegato di brani ricercati tra le pieghe degli ultimi quarant’anni di musica è stata in parte rovinata da un eccesso di rigore sul palco, da una scarsa propensione a ‘sporcarsi le mani’, dalla mancanza di quella spontaneità e scioltezza che avrebbero reso un incontro di questo livello un grande evento. L’interazione tra gli artisti sul palco ci è parsa davvero limitata e poco sentita; non si avvertiva quella complicità sinergica che deve necessariamente essere alla base di progetti di questo genere. Soprattutto alla luce da quanto lasciato immaginare nel già citato brano conclusivo, in cui le buone vibrazioni dal palco arrivavano sino alle ultime file, in cui l’alchimia creata dai nove musicisti dava vita ad un grande momento di creatività collettiva, tutto quello che abbiamo ascoltato prima del finale ci è apparso alquanto freddo e poco coinvolgente. Crediamo di interpretare anche l’opinione di molti spettatori in platea (purtroppo la galleria era semivuota) che non si sono certo spellati le mani con gli applausi e che raramente abbiamo sentito davvero entusiasti e partecipi, fatta ecccezione per l’annuncio di Cesare Basile che ha voluto dedicare il brano in dialetto siciliano ‘L’orvu’ alle popolazioni del parco Nazionale del Vesuvio, in lotta contro il degrado ambientale del proprio territorio.
Intendiamoci, parliamo comunque di una serata sicuramente di buon livello; la nostra vuole essere una riflessione più generale sull’attuale carenza d’ispirazione che sembra affliggere la scena musicale contemporanea, in cerca di appigli creativi che il più delle volte non sono altro che stanchi tentativi di riproposizione di formule collaudate, con scarsa propensione al rischio ed alle novità. Ma questo è un discorso più complesso ed articolato che merita un approfondimento che non tarderemo a pubblicare su queste pagine.

Recensione di Fabrizio
Foto di Rosa Paolicelli

Scaletta:

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