Lug 192011
 

Rock City, Roma, Parco degli Acquedotti, 13 luglio 2011

★★★½☆

Difficile introdurre una figura come quella di Stan Ridgway, cantautore californiano già frontman di uno dei gruppi cult degli anni 80, i Wall of Voodoo, considerati di nicchia anche tra gli addetti ai lavori per la loro non facile catalogazione in un genere musicale ben definito, seppur forzatamente relegati nel filone post-punk più per contestualizzazione temporale che per analogia musicale. Infatti la commistione che si mescola nel lavoro della band da vita ad un qualcosa di innovativo, in cui convivono in simbiosi le radici della musica americana country e blues al fianco di ritmi new wave dalle sonorità tipicamente elettroniche, il tutto tenuto insieme dalla particolarissima voce istrionica di Ridgway, vero animale da palcoscenico. Ciò che ne scaturisce è un sound graffiante ed intenso, con atmosfere di diretto rimando al west, ma non quello epico della frontiera, bensì più consono agli spaghetti-western nostrani, dove l’aria è pesante e putrida e gli eroi alla John Wayne lasciano il passo ai balordi da saloon. Non a caso Stan è un dichiarato estimatore di Ennio Morricone, al quale dedicherà anche un omaggio nel corso della serata romana che lo vede protagonista al Rock City. Accompagnato da 3 elementi (tra i quali la moglie Pietra Wexstun alle tastiere) e armato lui stesso di chitarra e armonica, affida a “Scavenger Hunt”, brano del suo ultimo lavoro “Neon Mirage” (2010), l’apertura di un concerto che sarà comunque caratterizzato dall’esecuzione dei pezzi più significativi di una carriera intensa sia come frontman che come solista. Ci si tuffa infatti immediatamente nelle sonorità del passato con la traccia di apertura dell’album che diede maggior fama ai Wall of Voodoo, quella “Tomorrow” contenuta in “Call of the west” del 1983 e dal quale verranno riprese anche “Factory”, la bellissima title track “Call of the west” e il loro pezzo sicuramente più famoso riservato al gran finale “Mexican Radio”, cantato a squarciagola da un pubblico osannante ma purtroppo esiguo rispetto alla levatura del personaggio. È però una costante di tutta la carriera di Ridgway quella di essere considerato uno dei più grandi e allo stesso tempo uno dei più sottovalutati talenti del panorama musicale indie. E ciò nonostante abbia dato alla luce uno dei lavori più intensi e struggenti degli anni 80, “The big heat” (1987) che rimarrà il capolavoro assoluto della sua produzione artistica. Le atmosfere musicali fanno da sfondo a storie maledette, dove gli ultimi dell’umanità, sviscerati dal ventre molle di un America in declino, divengono eroi. Oltre alla title track, la sintesi perfetta di quanto appena descritto la troviamo nella splendida esecuzione di “Camouflage”, toccante ballata che traspone il dramma del Vietnam attraverso la figura di un reduce in salsa malinconicamente western. L’atmosfera surreale viene enfatizzata da colonne di fumo che avvolgono il palco e la platea in uno scenario da deserto post-industriale. Ma alle liriche e alle sonorità apocalittiche, Stan contrappone una personalità gradevole e gioviale, molto ironica e ben disposta al dialogo. Non pochi saranno sul palco i momenti di pura ilarità scatenati dai suoi improvvistati sermoni o dai siparietti organizzati con la complicita della bella moglie. Il concerto quindi prosegue con pezzi tratti ancora dal primissimo repertorio dei Wall of Voodoo, quali “Longarm” brano di apertura del loro primo EP composto nel 1980, e del quale verrà eseguita anche una delle più belle cover di sempre, “Ring of Fire” di Johnny Cash, composta in un periodo nel quale ancora non era stata avviata la fase di recupero del grande folksinger statunitense, risultando pressochè sconosciuto a quelle generazioni. E ancora la riproposizione del brano scritto a 4 mani con Stewart Copeland “Don’t box me in” soundtrack della pellicola di F.F. Coppola “Rumble fish” e primo esperimento come solista dopo l’addio ai Wall of Voodoo nel 1983. Con l’esecuzione di “Mexican Radio” si chiude così un concerto riservato ai fedelissimi, che già ebbero modo di apprezzare le precedenti performance romane di Ridgway al Piper e all’Alpheus. Di tempo ne è passato ormai, ma le emozioni che è riuscito a regalarci questo signore di mezza età che ritroviamo a fine concerto seduto dietro il banchetto del merchandising intento a firmare autografi e a spendersi in conversazioni, sono equivalenti a quelle che ci regalava il ragazzo con lo sguardo inquieto e le movenze nevrotiche di 30 anni fa. Grazie Stan!

Live report e foto di Claudia Giacinti

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