Apr 092010
 

Roma, Circolo degli Artisti, 7 Aprile 2010
★★★½☆
La Piccola Grande Orchestra canadese dal nome sempre più chilometrico è ormai una garanzia per chiunque cerchi il giusto equilibrio tra minimalismo folk, spruzzate di improvvisazione di estrazione jazzistica, ampio respiro da suite strumentale, post/punk-rock con venature hard. Tutte queste etichette non fanno altro che rendere ridicola qualsiasi classificazione, e solo chi ha avuto il piacere di assistere ad un loro live set può realmente comprendere quanto superfluo sia il tentativo di ricondurre la musica dei SMZ ad un genere musicale predefinito. La band guidata da Efrim Menuck (ma non fatevi scappare la parola ‘leader’ in sua presenza, potrebbe partire con una delle sue interminabili filippiche con le quali ha farcito lo spettacolo di stasera) torna a Roma dopo il concerto dell’ottobre 2008 con un nuovo batterista (il più delicato David Payant al posto dell’energico Eric Craven) presentando estratti dall’ultimo album Kollaps Tradixionales, con cui hanno aperto e chiuso la serata, inframezzati da un’acclamata ed apprezzatissima God Bless Our Dead Marines, il brano più ‘cantautorale’ del loro repertorio, brano di apertura di Horses in the Sky, il lavoro nel quale l’attenzione ai testi ha avuto maggiore risalto.
Il concerto in realtà potrebbe essere considerato quasi un’unica, lunghissima suite in sette movimenti, se non fosse per l’incontenibile vena istrionica di Efrim Menuck, che spesso ha interloquito con il pubblico, risponendo a domande che spaziavano dalla situazione politica italiana e canadese, alla distribuzione gratuita della musica in formato digitale, ad una dedica al compianto compagno di tante avventure Vic Chesnutt recentemente scomparso e con il quale avevano collaborato nel disco del 2006 North Star Deserter. Il brano che meglio di altri a mio parere racchiude la vera essenza del progetto SMZ è One million died to make this sound, col suo alternarsi di pianissimo e rumore, di canone canoro e lunghi intermezzi strumentali, di alternanza tra distorsioni al limite del rumore e delicati vocalizzi in quintetto. Un’esperienza difficilmente descrivibile a parole, non sempre fruibile e di facile ascolto, ma certamente sincera, coerente ed onesta, mai piegata al compromesso ed alla banalità.

Recensione e foto di Fabrizio

Scaletta:

1. I Built Myself a Metal Bird
2. I Fed My Metal Bird the Wings of Other Metal Birds
3. Black Waters Blowed / Engine Broke Blues
4. God Bless Our Dead Marines
5. ‘Piphany Rambler
6. 1,000,000 Died to Make This Sound

7. There Is A Light

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  One Response to “Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra: Canadian Mantra”

  1. […] Young, Joni Mitchell o Robbie Robertson ma semplicemente limitandosi al ventunesimo secolo, dopo Silver Mt. Zion ed Arcade Fire ecco tornare in Italia i Black Mountain da Vancouver, British Columbia. La band […]

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