Ago 252016
 

Red Hot Chili Peppers: The Getaway (Warner 2016)

I peperoncini rossi alla prova sul nuovo sound

★★★☆☆

red-hot-chili-peppers-the-getaway-ltdLa notizia principale è che i Red Hot Chili Peppers sono riusciti a cambiare il loro sound, dopo tanti anni di tentativi spesso andati a vuoto. C’erano state alcune avvisaglie in I’m With You del 2011, che rimaneva a metà tra il vecchio e il possibile nuovo, ed andando più indietro anche By The Way del 2002 segnalava esigenze diverse, ma ora è ufficiale che l’aggiornamento è avvenuto.

Salutato lo storico produttore Rick Rubin, regista dello spettacolare successo della band avuto negli anni ’90 e 2000, che a partire dal lavoro svolto sull’album Blood Sugar Sex Magik del 1991 fece fare un’importante salto in avanti nel suono dei Red Hot che portò la band dal funk metal quasi di nicchia degli esordi a un più maturo crossover (ogni tanto accusato di aver svoltato verso il pop), è ora il momento di Danger Mouse, dj molto famoso che ricordiamo in particolare per un bizzarro mix tra il “White Album” dei Beatles e il Black Album di Jay-Z ,denominato guarda caso Grey Album.

Momenti interessanti non mancano. Sul pop funk di Dark Necessities, sul disco funk Go Robot e sul quasi prog di This Ticonderoga è innegabile che il contributo di nuovi sound portato da Danger Mouse e dai vari musicisti che hanno collaborato al disco porta frutti che mischiano passato e presente e che fanno pensare davvero bene. Per il resto, a parte il rock distorto di Detroit, il disco non sembra avere pezzi particolarmente forti. Qualche altro tentativo apprezzabile di ricordare i vecchi tempi (The Getaway, We Turn Red, Goodbye Angels), altri esperimenti più o meno riusciti (The Longest Wave, Encore, The Hunter, tutti che ricordano le atmosfere più rilassate di By The Way, e Dream Of A Samurai), e altre canzoni davvero trascurabili (Feasting On The Flowers e Sick Love, quest’ultima si fregerebbe di un contributo nientemeno che di Elton John al pianoforte, che però è davvero impercettibile).

L’idea che questo album trasmette è che si è voluto scommettere su una nuova strada piena di suoni nuovi anche a costo di far storcere il naso ai fan della durezza della prima ora: nel complesso però il prodotto finale fa pensare che, pur essendo potenzialmente un percorso interessante, ci sia per ora qualche limite nella scrittura dei pezzi stessi, non tutti particolarmente forti.

Una delle note positive è certamente la maggiore incisività che Josh Klinghoffer, chitarrista nei RHCP dal 2009 in sostituzione di John Frusciante, è riuscito a conquistare: se in I’m With You il suo contributo era lasciato sullo sfondo, ora la sua chitarra è sicuramente più presente (ciononostante, il cantante Anthony Kiedis ha recentemente dichiarato che Frusciante gli manca ancora…). Molto sembra essere cambiato invece per Flea e Chad Smith, le cui estroversioni tecniche sono state limitate: in un pezzo come Go Robot, suonata con due bassi la parte più funk viene addirittura suonata dal secondo bassista; in altri come Encore (dove il basso è suonato da Klinghoffer) e The Hunter anche il ruolo di Smith è molto più soffuso.

Dal vivo, la storica alchimia sembra ancora tenere, anche considerando per la maggior parte le scalette sono composte dal vecchio materiale (dove Klinghoffer sembra sentirsi sempre più a suo agio).

Nel complesso, si potrebbe dire che il disco è un successo a metà: poteva essere fatto qualche passo in più per rendere questo disco davvero mitico. Pazienza, magari succederà la prossima volta. Ma nel frattempo è ormai chiaro che siamo di fronte a una band rinnovata per davvero.

recensione di Christian Dalenz

 Leave a Reply

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

(required)

(required)

*