Gen 012010
 

7 14 21 28, di Flavia Mastrella ed Antonio Rezza
Roma, Teatro Vascello, fino al 3 gennaio 2010

★★★★½
Va in scena il disadattato sociale (figura ricorrente nelle rappresentazioni, sia teatrali che cinematografiche, di Flavia Mastrella ed Antonio Rezza), personaggio soggetto, sia nei rapporti interpersonali che in quelli con la divinità, ad un formalismo di cui si può fare a meno; assillato da vocioni continui e fastidiosi, anche, anzi soprattutto, provenienti dalle persone teoricamente più vicine; sopraffatto e succube di chi si trova in posizione predominante.
Il risultato ottenuto dalla coppia è sempre lo stesso, e per giunta sempre ottimo. Leggi di cosa tratta lo spettacolo, e ti aspetti un’analisi introspettiva dalle amare conclusioni; poi lo guardi e ti accorgi che si tratta proprio di questo, ma rappresentato in condizioni tali da suscitare ilarità. Non si tratta tuttavia di riso catartico o liberatorio, ma di una risata che si strozza in gola. Qui non c’è lieto fine, ma semplicemente la realtà. Ma è proprio l’assurdità della realtà che sarebbe comica, se non ne fossimo coinvolti.
Antonio Rezza mette benissimo in luce tutto ciò, coadiuvato dalla sua mimica ineguagliabile, dalle sue voci contraffatte, dalle sue innumerevoli interpretazioni, dal suo modo di tenere in piedi da solo uno spettacolo di un’ora e mezza senza mai appesantire. Unico suo aiutante sul palco (muto, come da consuetudine nel teatro rezza-mastrelliano) è Ivan Bellavista, già presente nel precedente spettacolo “Bahamut”.
L’habitat allestito da Flavia Mastrella ha il suo centro in un simbolo dell’infanzia, quale l’altalena, che permette al Rezza di interpretare prima un personaggio dalle rosee prospettive, poi un padre separato che ammazza il figlio, perché costretto dal tribunale ad incontrarlo il sabato, quando ha altro da fare.
La galleria di personaggi prosegue imperterrita, e non si salva nessuno. La sfera più bersagliata è forse quella religiosa-clericale: arrivano infatti affondi sui preti pedofili e sulle convenzioni adottate nelle messe moderne, c’è finanche una bestemmia, che non ha però carattere blasfemo, ma è vista più come forma espressiva in sé. Forte anche la presenza di personaggi politici, come il ministro della ricerca, che perde il suo straccio ed è costretto appunto a ricercarlo in continuazione (sarcastica la battuta “Per sistemare la ricerca, basterebbe essere ordinati”), o i due candidati alle elezioni con comportamenti e programmi praticamente identici. Non si salvano nemmeno la sanità, con la raffigurazione dell’infermiera saccente ma convincente; l’arte, con la presentazione di un tarocco della Pietà del Mantegna, che mette in luce la distanza tra mondo raffigurato e mondo reale; la letteratura, con un’esilarante rilettura dell’Otello, in cui Desdemona appare dissacrante all’ennesima potenza, ma paradossalmente molto vicina al nostro modo di pensare.
Il teatro di Rezza e Mastrella non è affatto convenzionale, mancando, così come accade nei corti e lungometraggi della coppia e nei libri di Rezza, di un filo conduttore. Presenziano invece dei leit-motiv, per esempio in “7-14-21-28” non è raro trovare riferimenti all’infanzia: oltre all’allestimento scenico centrato sull’altalena, ritroviamo il gioco della campana (o, comunque, qualcosa che gli somiglia), di cui Rezza spiega il significato nell’intervista che segue, i nomi dei protagonisti della famosa filastrocca di Gigino e Gigetto, mentre il personaggio del bambino che chiede la cioccolata è una delle travi che sostiene l’impalcatura dello spettacolo.

Recensione ed intervista di Andrea Longobardo

Ascolta l’intervista ad Antonio Rezza

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