Mag 132012
 

3/13 maggio 2012 – Teatro Vascello Roma
Scritto e diretto da Marco Calvani
★★½☆☆

Il titolo dello spettacolo è sicuramente evocativo: Penelope che tesse la tela aspettando il suo amato Ulisse, non ad Itaca ma in Groznyj. Groznyj, capitale della Cecenia, sede delle torture perpetrate dai Russi sotto il velo di omertà e silenzio più o meno generale dell’Europa e del mondo.
L’opera ha il pregio di portare all’attenzione del pubblico il dramma ceceno proponendo uno spaccato delle violenze e delle torture operate dai russi sulla popolazione caucasica. La ricostruzione dell’accaduto è basata prevalentemente, secondo quanto affermato da membri dello spettacolo, sugli scritti della giornalista russa Anna Politkovskaja che venne ritrovata morta, assassinata, il 7 ottobre 2006, giorno del compleanno dell’allora presidente russo Vladimir Putin.
La storia è quella di un gruppo di donne e uomini sequestrati, mal nutriti, seviziati, offesi, derisi, privati della loro dignità. Se da una parte è molto efficace il modo in cui tutto questo viene rappresentato attraverso la nudità dei corpi e la mortificazione della carne, dall’altra molto debole è l’intreccio che vede la presenza di alcuni personaggi con un ruolo poco chiaro e definito, presenti sulla scena ma con una difficile collocazione all’interno della storia, come Nicolà Hendrik nel ruolo di Cassandra. Altri personaggi, come quello interpretato da Francesca De Sapio, dovrebbero essere il collante della storia, una sorta di voce narrante, ma anche in questo caso si perde in alcuni passaggi la collocazione temporale e la coerenza narrativa. Inoltre l’eccessivo compiacimento nel mostrare metodi di tortura e degradazione dell’individuo (tutto lo spettacolo sembra reggersi solo su questo), se da una parte serve agli attori come banco di prova per cimentarsi in ruoli indubbiamente molto impegnativi, dall’altro non consente allo spettatore di appassionarsi alla vicenda, sortendo in questo modo l’effetto contrario a quello che immaginiamo si sia proposto l’autore. Riteniamo che una maggiore attenzione ai dialoghi e un maggiore approfondimento della psicologia e dello spessore dei personaggi avrebbe di gran lunga giovato a questo spettacolo (ricordiamo, per esempio, Antica Babilonia, il bellissimo monologo sulla guerra in Iraq di Carmine Borrino per la regia di Roberto Azzurro -premio Vigata 2007- che, senza neppure mostrare una goccia di sangue, riesce a colpire e ad arrivare al cuore dello spettatore in modo efficacissimo, lasciandogli un ricordo indelebile).
Per tutta la durata dello spettacolo la tensione è alta e gli attori sono molto bravi nel mostrare, attraverso la mimica facciale e corporea, questo sottofondo continuo di sofferenza e dignità violata. Sono proprio gli attori con ruoli minori che tengono insieme la scena mentre quelli principali risultano meno coesi e con toni interpretativi meno affiatati e a volte troppo esasperati e caricati.
Bella l’apertura dello spettacolo con i militari sulle gradinate del teatro, che insinuano nell’anima dello spettatore, già prima dell’inizio della rappresentazione, un sottile senso di angoscia; belli l’incipit e la scenografia e alcuni passaggi molto intensi, come quello che vede Penelope sdraiata, svenuta, sul tavolaccio dove i suoi aguzzini tranquillamente cenano (forte e suggestiva in particolar modo la collocazione del corpo della donna) e quella, altamente suggestiva ed evocativa, di Pireo che lucida gli stivali di Anfinomo (simulando un amplesso); mentre altre scene più esplicite (come quella di Penelope che alla fine si concede ad Antinoo, non in accordo con la Penelope di Omero che rimase fedele ad Ulisse) sono meno efficaci, anche se autentiche. Ci sarebbe piaciuto trovare in scena più intuizioni narrative come quelle sopracitate piuttosto che non un esplicito uso dei corpi, suggestivo di per sé, ma proprio per questo meno innovativo.
In conclusione, è un peccato che l’intuizione di questo giovane regista -unire il mito narrato da Omero alla crudeltà dei regimi attuali, in particolare quello ceceno- venga solo accennata e non sviluppata. Così, l’unico legame tra le due realtà resta il nome dei protagonisti: Telemaco, Attoride, Melanto, etc. Manca, a nostro avviso, l’uso del teatro, della scena, dei costumi, come potente mezzo per giocare tra le due realtà storiche come si è visto fare sapientemente in altri spettacoli teatrali (ad esempio l’Edipo di Martone).

Recensione a quattro mani di Annalisa Terracina e Francesca Bordini

PENELOPE IN GROZNYJ
scritto e diretto da Marco Calvani

con
Alberto Alemanno (Anfinomo), Elisa Alessandro (Attoride), Luca Celso (Telemaco), Karen Di Porto (Elena), Filippo Gattuso (Pireo), Giovanni Izzo (Antinoo), Letizia Letza (Ippodamia), Nicola Mancini (Leocrito), Lucilla Miarelli (Afrosine), Marta Pilato (Animone), Gianluca Soli (Teoclimeno), Emilia Verginelli (Melanto)

e con
Francesca De Sapio nel ruolo di Euriclea, Nicolà Hendrik nel ruolo di Cassandra, Gabriele Salvi nel ruolo di Laerte

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