Apr 132011
 

Rain, A tribute to the Beatles. New York, Brooks Atkinson Theatre, 22 marzo 2011.

★★★★☆

Ce lo siamo chiesti tutti, cosa sarebbe successo se l’8 dicembre 1980 Mark Chapman avesse sbagliato mira o strada. Probabilmente nulla, considerato il soggetto John Lennon, ma sarebbe stato interessante vedere come avrebbe reagito alle sirene tentatrici che lo avrebbero assalito strenuamente in epoca new wave (molto di più che in epoca punk, sicuramente).
Lasciamo da parte questi sogni ed apriamone altri : chiunque suoni, ha cominciato provando cover di brani altrui, di cui , in buona percentuale, dei Beatles. Terreno minato, come parlare di politica nel nostro parlamento o di calcio in casa Mourinho. In ogni caso, le cover band sull’argomento pullulano, spesso con risultati indecenti , comici o disgustosi. Però, come sempre, le eccezioni ci sono. La cover band, se così si può definire, che sto recensendo , non è una cover band : è una fotografia, è una copia pressoché perfetta, è un sogno ad occhi aperti. Anzi, chiusi, poiché a lasciare all’udito il giudizio, su quel palco c’erano Loro in persona, anche le voci erano le stesse. John interagisce con il pubblico con fare cazzone e con la sua incondondibile voce nasale, mentre Paul seriosamente fa il direttore d’orchestra (George e Ringo ovviamente muti in panchina).
Lo spettacolo verte inizialmente sulle esperienze beatlesiane newyorchesi. Due schermi laterali al palco introducono la storia americana del 1964, dopodiché Ed Sullivan compare e sobriamente introdurrà il gruppo in visita quel 9 febbraio 1964. Cala il sipario e , in uno scenario identico a quello televisivo, comincia lo show con I Want To Hold Your Hand. Spettacolo nello spettacolo, confrontare i quattro cloni dal vivo con i quattro originali che per i primi pezzi vengono trasmessi dagli schermi laterali (poi saranno sapientemente sostituiti da immagini finte vintage dal vivo in cui noi spettatori veniamo inseriti tra il pubblico dell’ Ed Sullivan).
Passa un anno, i Beatles sono nuovamente da queste parti, stavolta allo Shea Stadium (15 agosto 1965), per l’ultimo show newyorchese della loro storia. Solita storia, concertino di mezz’ora tra fan ululanti, con la differenza che stavolta ci partecipiamo anche noi. Lo sfondo del palco si illumina del verde dell’allora stadio dei Mets, che oggi non esiste più, e per 7 canzoni siamo anche noi parte di quella follia.
A questo punto la parte documentaristica sarebbe finita e, di conseguenza per me, comincia la parte migliore. Cambio di scenario, passano due anni e tanta acqua sotto i ponti (musicali) , si riaccendono le luci ed i quattro, ovviamente in costumi e fattezze originali, attaccano l’incipit di Sgt Pepper. Per chi scrive è un delirio di mezz’ora , in cui lo spettacolo si snoda tra il citato album (Sgt. Pepper, With a little help, When I’m 64 e la reprise) , divagazioni (Eleanor Rigby, Strawberry fields) ed un finale commovente con una memorabile esecuzione di A day in the life, che mai avrei pensato di sentire un giorno live e che al solo pensiero provoca brividi veri.
Altro cambio di palco e Lo show che non fu mai , titolo più che mai azzeccato, si riaccende sul periodo di fine carriera, immortalando i quattro su un fantomatico set semiacustico precursore degli Unplugged che tanto spopolano. E’ il momento di trichechi, di attraversare gli universi, di Girl ed anche gustose versioni di I, Me,Mine e Mother Nature’s son.
Ultimo cambio di palco, arriva il saluto (doveroso) da Abbey Road. Da dentro lo studio, il cui ingresso è riprodotto fedelmente sul palco, sullo sfondo memorabili strisce pedonali, attaccano Come Together e da li, passando per Get Back e Revolution, arrivano a The End attraverso parte della suite di Abbey Road.
Per me, lo spettacolo finisce qua , il bis dedicato al pubblico in cui suonano Give Peace a Chance, Let It be ed Hey Jude non ha il pathos delle esecuzioni precedenti, ma ricalcano una normale cover band beatlesiana.
Uscendo dal teatro, peraltro molto bello, almeno 500 persone di capienza, stile ottocentesco, mi resta una grossa soddisfazione ed un tarlo che sono riuscito a dipanare solo ore dopo : Paul McCartney era destro! Era tutto così fatto bene che, appunto, non ce ne eravamo accorti. Ma poiché l’originale è morto da più di 40 anni, più di tanto non ci si fa caso.

Recensione di Attilio

Scaletta Ed Sullivan: I want to hold your hand\All my loving\This boy\I saw her standing there

Scaletta Shea Stadium : A hard day’s night\Tell me why\Yesterday\I feel fine\Day tripper\It’s only love\Twist and shout

Scaletta Sgt Pepper : Sgt Pepper lonely hearts club band\With a little help from my friends\Eleanor Rigby\Strawberry fields forever\When I’m 64\Sgt Pepper reprise\A day in the life

Scaletta acustica : I am the walrus\Across the universe\Girl\I, me, mine\Mother nature’s son

Scaletta Abbey Road : Come together\Get Back\Revolution\Golden slumbers\Carry that weight\The end

Bis : Give peace a chance\Let it be\Hey jude

I cloni sono :Steve Landes (John), Joey Curatolo (Paul), Joe Bithorn (George) e Joe Bologna (Ringo). Con l’aiuto di Mark Lewis alle tastiere.
Se volete saperne di più, http://www.raintribute.com/ .

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