Incontriamo il cantautore irpino Antonio Pignatiello che torna sul mercato discografico e in veste live con un nuovo progetto: P.A.O. Antonio Pignatiello voce e chitarrre, Gianfilippo Invincibile alla batteria. Una nuova band, un nuovo vestito sonoro, tra passato, presente e soprattutto futuro (matematico)
Ciao Antonio e bentornato su Slowcult. Partiamo da P.A.O. In tempi di forti individualità tu riparti da un progetto di band. Raccontaci il percorso che è stato intrapreso.
P.A.O. nasce dal desiderio di togliere il nome dalla copertina per rimettere la musica al
centro. In un’epoca dominata dall’io, dall’immagine e dall’algoritmo, abbiamo sentito
l’urgenza di tornare al noi, alla voce collettiva. Dopo anni di lavoro solista, ho sentito il
bisogno di condividere non solo il palco, ma anche il processo creativo con altri musicisti.
È stato un passaggio naturale: più che una band, siamo un organismo vivo, che respira
insieme, sbaglia insieme, e si rinnova ad ogni nota.
P.A.O. – acronimo di pulsazioni d’anime oneste – è un manifesto di poetica. È un modo
per camminare spalla a spalla, in un tempo che spesso ci vuole distanti e autoreferenziali.
“A cuore aperto” è la vostra prima opera. Un nuovo gruppo di lavoro per
nuove canzoni. Hanno lavorato con voi P.A.O., Filippo Gatti (Elettrojoyce) e
Cesare “Mac” Petricich dei Negrita. Fateci un diario di bordo di queste
scritture e registrazioni. Portateci in quei luoghi.
Tutto è iniziato in Maremma, con Filippo Gatti, immersi nella natura, con il mare in
lontananza. Dopo esserci ascoltati a fondo – non solo musicalmente – ci siamo detti che
volevamo tornare alla sincerità del fare le cose, alla poesia onesta, come la chiamava
Saba: quella che non teme la fragilità, che non si traveste.
Volevamo recuperare l’emozione, in un’epoca che ci vuole perfetti e performanti, dove
ogni gesto è ottimizzato. E, allo stesso tempo, volevamo riscoprire il piacere di suonare
insieme, per il gusto stesso di farlo.
In qualche modo, Filippo ha contribuito alla nascita dei P.A.O., anche perché tutto è
ripartito dal rapporto di amicizia con Gianfilippo. Con Filippo abbiamo lavorato sulla
produzione, sul suono, sulle ombre delle canzoni: sul silenzio. Poi siamo entrati in studio e
lì abbiamo costruito le versioni definitive del disco, tutte registrate in presa diretta da Griffin
Alan Rodriguez, bassista dei Beirut.
L’incontro con Mac è stato fondamentale per chiudere l’album: Cesare ha saputo
valorizzare e orientare i brani con un gusto che sentiamo nostro; c’è sempre da imparare,
soprattutto dai più grandi.
È stato un viaggio collettivo, fatto di ascolto e di condivisione. Ogni nota è stata una presa
di posizione, come una pietra posata con cura sul sentiero che vogliamo percorrere.
Quali album e quali letture hanno contraddistinto questo album?
Musicalmente ci siamo nutriti di dischi che hanno lasciato un segno: Nebraska di
Springsteen, Ok Computer dei Radiohead, Lou Reed, Fontaines d.c., i primi Sonic Youth.
Ma più che le influenze dirette, ci ha guidato un’urgenza espressiva, una necessità.
Volevamo un album che fosse fragile e forte allo stesso tempo, come una ferita che pulsa,
aperta al mondo, e che non ha paura di mostrarsi.
Tra le letture che mi hanno accompagnato ci sono “La società della stanchezza” di Byung-
Chul Han, che riflette sul peso della performance e sulla fatica invisibile del nostro tempo; i
“Frammenti” di Eraclito, che mi hanno ispirato per la loro potenza poetica e per il senso del
divenire; le “Lettere a Lucilio” di Seneca, che invitano a una vita essenziale e profonda; e “Enea, lo straniero” di Guidorizzi, che racconta il viaggio come ricerca di senso e identità.
Sono testi che hanno lasciato un’impronta sul disco, perché parlano di fragilità, di
trasformazione e di verità.
Dal vivo i brani dei P.A.O. si uniscono ai tuoi brani in un tutt’uno.
Prevedi che in futuro terrai le due finestre aperte? Avremo lavori a nome
Antonio Pignatiello e album a nome P.A.O.?
Sì, credo che le due strade continueranno a coesistere. Sono due anime dello stesso
corpo. Come due finestre aperte sulla stessa stanza: l’una guarda verso l’interno, l’altra
verso il mondo. Dal vivo, inevitabilmente, si mescolano e si influenzano; per i prossimi
lavori dei P.A.O. mi piacerebbe approfondire questo “soffio al cuore di natura elettrica” per
citare un altro dei miei maestri.
Staremo a vedere cosa ci riserva il futuro… per ora, iniziamo con il gioire delle piccole
cose reali che abbiamo e che troppo spesso dimentichiamo.
Gianfilippo Invincibile (batteria) è un tuo sodale da tempo. Dove vi siete incontrati?
Con Gianfilippo ci conosciamo dal 2013. Cercavamo un batterista che non suonasse solo
con le mani ma anche con il cuore, per l’album A sud di nessun nord, un lavoro che ha
coinvolto circa trenta musicisti provenienti da mondi geograficamente e musicalmente
molto diversi.
Da lì non ci siamo più persi di vista. La musica, come la vita, è fatta di incontri. E quello
con Gianfilippo è stato uno di quelli che restano.
Prossimi appuntamenti dove presenterete “A cuore aperto”?
Dopo la presentazione dell’album al Wishlist Club di Roma e la data milanese al Detune, giovedì 15 maggio saremo al Jazz in Cantina di Roma, poi il 18 maggio a Napoli per un secret concert molto intimo.
Vogliamo portare A cuore aperto ovunque ci sia qualcuno disposto ad ascoltare… sempre
a cuore aperto.
Intervista a cura di Fabrizio Fontanelli