Gen 232025
 

Mardi Gras: Sandcastle (Underground Symphony 2024)

I Mardi Gras, ormai da più di vent’anni, rappresentano una delle più singoari espressioni della musica
“indie folk” romana, ma pervasa da forte respiro internazionale: la loro caraltteristica essenziale è quella di celebrare un ” Classic Rock” suggestivo e senza tempo, le cui radici vanno ricercate nel mondo
anglosassone: nelle grandi “highways” americane, che omaggiano nella prima ispirazione, prendendo il
nome dall’ultimo album di Creedence Clearwater Revival, esprimendo il suono country bluegrass del Sud
degli U.S.A., il canto poetico di Dylan, le ballate di Springsteen, nonché nelle grandi città inglesi dove The Beatles, The Who, The Kinks si formarono, fondando l’estetica “pop rock” che lentamente sarà assimilata dalla cultura “mainstream”, segnando profondamente i profili della cultura e del costume moderno,.ed inoltre nelle splendide pianure irlandesl da cui deriva una loro peculiare, appassionata rilettura del”folk celtico”, soprattutto nella prima fase della loro attività artistica. Questa anomalia, questo disancoraggio dal suono “italico” ha fatto si che la band abbia raccolto nel corso del tempo maggiore attenzione in lrlanda, dove ha realizzato ben due tour, in Usa e nei festival internazionali, come allo Sziget di Budapest dove si è esibita con pieno successo nel 2012, piuttosto che nel nostro paese. Sono una band che raggiunge notevoli livelli di abilità tecnico compositiva, pur muovendosi nel solco di una tradizione musicale che ebbe la sua massima espressione negli anni sessanta e settanta. Tutto ciò, comunque, in una miscela di sonorità non di rado caratterizzate da notevole fascinazione, anche se talvolta un pochino di maniera.
La caratteristica peculiare dei Mardi Gras è quella di avere una visione “sociale”, che si batte per i diritti
civili, come nella bella “The Wait”, e in “Scarecrow in the Snow”, brani riconosciuti e valorizzati addirittura
da Neil Young sul suo sito “Songs of the Times”,in una apposita menzlone delle musiche del mondo, che
affrontano il tragico tema della pena di morte e quello della diversità e della sua strumentalizzazione
politica: ma più interiormente, la band, nella sua analisi tematica, osserva le inquietudini e le
contraddizioni delle persone, le proprie debolezze ed il loro anelito di riscatto nel nome di valori spirituali; se possiamo in qualche modo definirne la “poetica”, dobbiamo abbandonare il consueto, spesso compiaciuto, aspro e violento nichilismo oggi imperante in tanta parte della cultura rock, per approdare a valori di emancipazione e di impegno valoriale.
Ed è l’America che torna ad essere il terreno di osservazione dei Mardi Gras sulle vicende esistenziali di noi stessi e del nostro tempo: il nuovo album “Sandcastle” è il racconto musicale di 8 episodi del
soggetto originale di Sante Sabbatini, Francesco Braida e Filippo Novelli, di cui è uscito un graphic
musical a fumetti (disegnato da Filippo Novelli con i dialoghi di Fabrizio Fontanelli, Dario Santarsiero e dello stesso Novelli) che racconta tutta la storia: sostanzialmente, un concept album che descrive una storia raccontata in musica ed immagini, epicentro nella New Jersey anni 80, ove si racconta la storia di Nicholas, ragazzo geniale, ma timido ed introverso, costantemente bullizzato dai suoi coetanel, che di fronte al tentativo di violenza che Ia sorella subisce, troverà la forza per reagire mettendosi sulle tracce degli autori del sopruso da lei subito. Una esaltazione dell’amore fraterno, e, nel contempo, un imperativo morale attraversa Sandcastle: se venissimo umiliati, colpiti nei nostri affetti più cari troveremmo la forza di reagire?
ll nuovo album rappresenta certamente l’apice creativo della band, che dopo i passati riconoscimenti a
livello internazionale, potrebbe finalmente approdare ad una maggiore visibilità nel mondo del
“.mainstream” .musicale. innanzitutto l’innesto della cantante estone Liina Rätsep ha portato maggiore
fluidità ai molti brani dalla struttura melodica, come il bell’incipit di “The Dance of the Sun”; nel contempo ll loro “sound” epico e trascinante si è arricchito di sfumature symphonic heavy rock, come in “Cinematica”;elementi orchestrali mescolati a sensibilità alt/rock pervadono diversi brani, come “Stop the Presses” e “Don’t Touch the Sinner”, mentre la originaria ispirazione alt folk, propria della band ritrova colore in “Cross the Line” e “Wake up”, e l’ispirazione melodica che sottende “Lia’s Theme” è notevole, mentre “After the Fire” risulta chiara espressione di quel rock “radiofonico” che ha fatto la fortuna di band ben inserite nel “Radio mainstream”, come Boston e Toto. Le radici irlandesi rimangono nei magnifici arpeggi chitarristici, a nostro parere, meno ridondanti del passato, e per questo più suggestivi ed autentici.
Non rimane che di augurare a questa band romana, dall’animo cosmopolita, dalle sonorità avvolgenti e
suggestive, caratterizzata da un “umanesimo” valoriale, insolito nella musica rock attualmente in voga, in
vista del prossimo concerto all’Auditorium di Roma del 26 febbraio, le migliori fortune, per un pieno riconoscimento del suo valore.


Recensione di Dark Rider

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