Apr 102016
 

p_george_martin__crosettiAd un mese dalla scomparsa, Slowcult vuole ricordare George Martin, dai più considerato “il quinto Beatle”. Fu lui infatti a scritturarli per la Parlophone, l’etichetta sussidiaria della EMI da lui diretta, dopo che i futuri Fab Four erano stati appena scartati dalla Decca. Ne intuì subito il potenziale e ne seppe guidare ed esaltare le qualità. Insieme al produttore Brian Epstein fu il vero artefice  musicale dell’esplosione della beatlemania, facendo crescere quattro ventenni nella loro evoluzione artistica, compositiva ed umana, unica ed irripetibile.

Abbiamo pensato che fosse opportuno nonché interessante farne parlare chi ha avuto l’onore e la fortuna di incontrarlo per un’intervista; qualcuno quindi che avesse più autorevolezza e titolo per parlarne.
Abbiamo pertanto intervistato Paolo Somigli, direttore della prestigiosa rivista ‘Chitarre‘, esperto dei Beatles e soprattutto traduttore e curatore dell’edizione italiana di “Summer of Love – The Making of SGT. Pepper” scritto appunto da George Martin, che racconta i Beatles dall’interno, non solo di Abbey Road dove il disco fu in parte composto e totalmente registrato, ma proprio dal punto di vista di chi i Beatles li ha scoperti, guidati , consigliati e aiutati a crescere. Paolo ebbe l’opportunità di incontrare Martin all’epoca della pubblicazione in Italiano. Il libro è fondamentale per conoscere meglio non solo il quartetto che ha cambiato la musica del ventesimo secolo, ma per capire meglio gli ultimi cinquant’anni ed approfondire la conoscenza di un uomo, George Martin, di cui si è parlato troppo poco, sia quand’era in vita che ora che è scomparso.
-Come ti sei imbattuto nel libro e come sei riuscito ad intercettare George Martin per poi addirittura riuscire ad incontrarlo?
È una lunga storia, ed è durata anni e anni. Il libro l’avevo letto in inglese durante un viaggio a Liverpool a metà anni ’90. Sono rimasto folgorato dalla sua bellezza e dalla sua straordinaria poeticità. In seguito mi è venuta voglia di leggerne la versione italiana, dando per ovvio e scontato che ce ne fosse una. Sono entrato da Feltrinelli e ho chiesto candidamente una copia di Summer of Love (il titolo originale), insistitendo a lungo e anche un po’ seccamente dopo che il commesso continuava a ripetermi che non esisteva alcun libro di George Martin. Sono uscito sconvolto dopo essermi reso conto che qui da noi nessuna delle grandi case editrici l’aveva mai tradotto. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che ogni grande libreria dello Stivale continuasse a mettere in mostra e sfornare ogni mese decine e decine di nuovi libri sull’universo Beatles (molti dei quali riportavano notizie inesatte o comunque mal tradotte dall’originale di G.M.) senza che esistesse la minima traccia di quel libro scritto dall’unica persona che poteva veramente dire “Io c’ero”.
Da allora, contro ogni pronostico, ho tentato di contattare Sir George. Ma sembrava impossibile trovarne traccia.
E anche se avessi scovato un suo indirizzo mail, davvero mi avrebbe mai risposto? I miei amici e colleghi alla redazione di Chitarre mi dicevano “Tu sei pazzo: se nessuno l’ha tradotto, ci sarà pure una ragione; e davvero pensi di poterci riuscire tu?”. E invece, nel 2008, grazie all’aiuto di Emanuela Crosetti, fotografa e beatlesiana convinta, abbiamo trovato un contatto con il suo agente a Londra. Da lì in poi è andato tutto molto in fretta, come in un sogno caleidoscopico, fino a che non mi sono trovato in un salotto davanti a Hyde Park con lui e sua moglie che mi offrivano sorridendo tazze di tè e pasticcini, mentre io chiacchieravo con lui di Strawberry Fields Forever, musica beat, psichedelia e di tante altre storie.

DSC_0076 [800x600]-Dalla lettura del suo libro affiora una figura lontana dal clichè dello star system, molto simile all’idea dello “Zio George” più volte emersa nei racconti di ciascuno dei Fab Four, Quest’idea è stata confermata dalla tua conoscenza diretta di Martin?
George Martin è stato un uomo decisamente schivo che sapeva e voleva tenersi il più possibile lontano dai riflettori. Un uomo sicuramente di una generazione diversa e lontana anni luce da quella dei quattro scavezzacollo di Liverpool. Ben lontano dalle rivoluzioni giovanili e dai paradisi delle droghe, George Martin era un uomo di cultura tradizionale, ma non per questo meno curioso di loro… Per loro è stato più un fratello maggiore che uno zio. Nel mio piccolo, quel magico pomeriggio anche a me è davvero parso di trovarmi di fronte una persona semplice e tranquilla che poteva davvero assomigliare ad un mio parente, un vecchio zio… con cui era dolce parlare dei vecchi amici e dei vecchissimi tempi. Non me lo dimenticherò mai. Quando sono uscito ci siamo baciati e abbracciati come vecchi conoscenti. Non ho parole.

-Nel libro è evidente la voglia dell’autore di trasmettere al lettore il continuo stupore e l’entusiasmo nel constatare quotidianamente il genio, la classe cristallina e l’istinto dei Beatles nella costruzione della loro musica. Quanto di tutto ciò era riscontrabile incontrando GM di persona?
I suoi occhi chiari, che mi ipnotizzavano, si sono inumiditi più volte in quel pomeriggio, mentre ripassava con la memoria antichi gesti o parole compiuti tanti anni prima. E sì che sono storie che credo abbia dovuto raccontare centinaia e centinaia di volte. Eppure la sensazione è sempre stata quella che il suo fosse uno stupore assolutamente sincero e genuino che si ripeteva ad ogni ricordo. Non ho mai avuto neanche lontanamente l’impressione che stesse recitando una poesia mandata a memoria, come pure sarebbe stato possibile e comprensibile. Parlava lentamente, socchiudendo gli occhi, con lunghe pause di riflessione, accarezzando con amore i ricordi, come se avesse di nuovo tutto di fronte a sé. Il suo affetto enorme per quei ragazzi, tutti e quattro, senza distinzioni, era assolutamente palpabile.

-al netto di quanto Madre Natura abbia fornito ai 4, quanto conta il contributo di Martin nell’economia del repertorio dei Beatles?
Diciamo che La Grande Alchimia, il big bang miracoloso, è andato nei due sensi: lui ha incontrato loro, ma è pur vero che loro hanno incontrato lui, che aveva una sensibilità particolarissima, sia umana che musicale. Si è accorto subito, e con grande lungimiranza di cosa avesse davanti a sé, ne ha pienamente intuito il potenziale assolutamente devastante. Agli inizi aveva dei dubbi, cercava di trovare il giusto modo per produrli, e sapeva perfettamente che c’era qualcosa gli stava sfuggendo; e poi all’improvviso ha avuto la geniale intuizione: si è infatti reso conto che doveva smettere di ragionare secondo il tipico cliché dell’epoca, che prevedeva che ogni band fosse composta da un frontman e poi dal suo gruppo (Cliff Richard and the Shadows, Tommy James and the Shondells, ecc), ma era esttamente sul gruppo come entità indivisa che doveva puntare. Era quella la forza dirompente dei Beatles. Il tutto era diverso dalla somma delle parti. E quanto aveva ragione…

p_george_martin__12_– il libro evidenzia che alcune ‘magie’ di Sgt Pepper siano state il frutto del caso o della necessità di industriarsi per utilizzare la scarna tecnologia disponibile all’epoca oltre i limiti fino ad allora esplorati. Non ti pare un eccesso di ‘understatement’ nel non voler dare troppo risalto al fondamentale ruolo che il Genio di GM ha avuto nella nascita di questo capolavoro?
Sir George è stato decisamente un gentleman e uomo d’altri tempi, che non amava mettersi troppo in luce e comunque contraddire apertamente la politica dell’azienda che gli dava lavoro, anche se nel libro le carenze della EMI nei confronti dei suoi impiegati (perché questo alla fine era George Martin: un impiegato di un’industria inglese del dopoguerra) erano assai miopi e tirate, anche se le vendite dei dischi dei Beatles risollevarono le sorti monetarie dell’impero britannico. Al di là di questo, è necessario capire che il sodalizio dei cinque Beatles funzionava alla grande proprio perché sapevano ‘giocare’ oltre che lavorare. O meglio: i due concetti coesistevano. Erano davvero come ragazzini felici chiusi notti e giorni in un’enorme negozio di giocattoli. Giocattoli poveri, a volte insignificanti e banali, ma pur sempre fonte di enormi ispirazioni, se sai vederli con occhi (e occhiali) diversi e colorati…

-Sono certo che nella storia della Musica del ventesimo secolo (e anche di questo inizio di 21°) non ci sia nulla di paragonabile al rapporto tra Martin con i Beatles, intendo dire nessun connubio ha saputo creare la stessa alchimia, la stessa incredibile amalgama nella creazione di musica, un sodalizio così intenso e fruttifero. Sono tuttavia convinto che il ruolo di Martin non sia stato sufficientemente esaltato, nè quando era in vita nè ora che è scomparso. Sei d’accordo?
Perfettamente d’accordo. GM ha corso il rischio di essere addirittura dimenticato, negli ultimi anni, a parte i suoi straordinari lavori con il figlio, vedi Anthology e Love. Oggi viene scambiato addirittura regolarmente con il suo omonimo romanziere. Ma tant’è: rimarrà ancora di più nel nostro cuore.

-Non esistono altri scritti di Martin che parlino della nascita di altri album (penso principalmente a Revolver)?
Io stesso gli ho fatto la medesima domanda, e la sua risposta è stata semplicemente “Nemmeno per sogno: non ho nessuna intenzione di essere ricordato per le parole che scrivo sui libri. Voglio che tutti ricordino invece la musica che ho contribuito a regalare al mondo, nient’altro”.

-Dopo il 2008 hai avuto altre occasioni di contatto con lui?
Ci siamo sentiti di quando in quando, abbiamo parlato ad esempio di software di notazione musicale. Io sono sempre stato un fautore del vecchio Finale, lui invece di Sibelius. Mi ha fatto vedere e sentire cose sul suo Mac che una volta non avrebbe mai nemmeno lontanamente immaginato che sarebbero mai esistite. Le avesse avute in quegli anni…. Ma no, che dico: forse è davvero molto meglio che sia andata così. Cinque anni più tardi, in particolare, ci siamo sentiti di nuovo perché ho dovuto rinnovare i diritti di traduzione per altri cinque anni e ristampare il libro con le edizioni La Lepre. In quell’occasione è accaduto un fatto che ha addirittura del comico, oltre che del tragico: siamo stati contattati da Fabio Fazio (grande beatlesiano) che avrebbe voluto avere Sir George in diretta in una sua trasmissione. Sir George mi ha fatto capire che sarebbe stato assai lusingato di partecipare a una trasmissione italiana così prestigiosa, ma che purtroppo – essendo ormai quasi sordo – lui stesso non sarebbe potuto essere a Roma durante una diretta, e che avrebbe volentieri invece proposto un collegamento dal suo salotto di Londra, insieme ad un traduttore simultaneo d’eccezione che noi proponevamo fosse Stefano Bollani. Fazio ha purtroppo declinato l’invito spiegando che la sua trasmissione si è sempre svolta in diretta negli studi Roma, e non si poteva fare diversamente. Peccato, credo che sia lui che il pubblico italiano abbia perso un’occasione che sarebbe divenuta certamente storica.

-Nonostante si parli dei Beatles, quanto è stato complicato pubblicare il suo libro in Italia?
Inizialmente (e ingenuamente) avevo creduto di poterlo pubblicare io stesso, visto che mia moglie era l’editrice della rivista “Chitarre”. Ma una cosa sono i libri, un’altra sono le riviste: la distribuzione e la loro logica di fondo sono totalmente diverse. Ma quando mi sono presentato al primo editore a cui mi sono rivolto nel 1980 con un libro di George Martin già tradotto da me (e i cui diritti erano già stati da me assolti), ho visto il suo sorriso allargarsi da un’orecchia all’altra.
Diciamo che non ci ho mai guadagnato una lira, anzi; ma il mio intento era ben altro, e cioè far conoscere quel libro a tutti gli appassionati italiani. E ho avuto fortuna: i miei secondi editori, Alessandro e Sabina Orlandi, erano miei vecchi amici d’infanzia; con lui suonavamo i Beatles nei locali di Roma fin dagli anni ’70. Niente di più bello e più facile, quindi…

-Cosa altro vuoi aggiungere, magari un episodio personale
Posso soltanto aggiungere una piccola chicca, che penso possa farti piacere: un piccolo estratto audio di quel pomeriggio a Londra, quando GM mi racconta in che modo aveva convinto i Fab Four a registrare “Can’t Buy Me Love”, e cioè quando gli spiega che è meglio iniziare il pezzo non con la strofa, ma con una versione breve del ritornello successivo. E per spiegarmi meglio, ha addirittura cominciato a canticchiarmela…

E come capirai, trovarsi in un pomeriggio sonnacchioso londinese in un loft sorseggiando un tè con Judy Lockhardt Smith e George Martin che ti parla di John Ringo George e Paul canticchiandoti “Can’t Buy Me Love” è una cosa che non capita tutti i giorni a un vecchio fan verace dei Beatles.
E così mi sono accorto, mentre ridacchiavo felice, che avevo gli occhi molto, ma moooolto lucidi.

Grazie Paolo per questa testimonianza, unica ed emozionante, e grazie per il grande regalo che hai voluto fare a Slowcult. Infine, grazie a Sir George, ci mancherai.

Intervista di Fabrizio Forno

Foto di Emanuela Crosetti per gentile concessione dell’autrice

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