Dic 122023
 

Ciao Luigi e benvenuto su Slowcult!

Passaggi è il tuo secondo album. Un album che ha un grande fascino, mi ha riportato a un mondo
dove la musica giocava un ruolo centrale. Sono brani che richiedono cura nell’ascolto, sia per la
parte letteraria sia per la cura sonora.
Parlaci del processo che ti ha portato a Passaggi. E del tema che lega i vari brani.


Ciao a tutti! Allora faccio un passo indietro, necessario per poter comprendere meglio la genesi di Passaggi. Negli anni ’70, come molti, avevo scritto qualche decina di brani, suonandone dal vivo alcuni soltanto in pochissime occasioni: ad esempio al mitico Folkstudio, che la domenica pomeriggio riservava uno spazio, chiamato Folkstudio giovani, a chiunque volesse condividere le sue canzoni. Altri tempi…
Successivamente gli impegni familiari e di lavoro – sono medico, psicoanalista e saggista – hanno
lasciato alla musica soltanto uno spazio, comunque ampio, dedicato all’ascolto. Insomma, non ho
più scritto ma ho molto ascoltato. Fino a che, nel 2015, non ho ricevuto una chiamata che non ho
potuto rifiutare: mio figlio Simone, musicista, mi ha proposto di registrare la parte migliore di
quell’antico canzoniere, che giaceva in un cassetto, letteralmente, da quasi quarant’anni. Così mi
sono recato a Tenerife, dove lui vive e lavora, e ho visto prendere forma un album, uscito nel 2016,
che ho voluto significativamente intitolare Ballate di un’altra estate. Oltre a mio figlio,
polistrumentista ma soprattutto chitarrista, hanno lavorato al disco musicisti locali, dando alle mie
canzoni, composte originariamente con la chitarra acustica, una veste nuova. Questa esperienza,
iniziata come un esaltante e commovente gioco tra padre e figlio, mi ha spinto a cercare un gruppo
che mi potesse accompagnare nei live di presentazione dell’album in Italia (a fine luglio 2016, a
Tenerife, c’era stata una “data zero” coi musicisti che avevano suonato nel disco). Con una certa
sorpresa, lo ammetto, i live registravano invariabilmente il “tutto esaurito”: il che racconta che
esiste uno zoccolo duro di pubblico che desidera ascoltare dei racconti in musica, se ben scritti e
ben eseguiti. Il CD conta nove tracce, per cui nei concerti ho sempre intercalato i miei brani con
perle della canzone d’autore italiana che reputo abbiano una certa omogeneità compositiva,
pescando nei repertori di autori come De Gregori, Locasciulli, Fossati, Guccini. Spinto dalla buona
risposta del pubblico, ho ricominciato a scrivere. Così un anno fa ho potuto licenziare un album di
dodici canzoni, appunto Passaggi, nel quale figurano dieci brani interamente miei, uno scritto sulla
musica di Simone Turinese e una interpretazione de Il disertore, un capolavoro scritto nel 1954 da
Boris Vian, che nella magnifica versione italiana di Giorgio Calabrese mantiene intatto il suo
inossidabile fascino di canzone antimilitarista e che già suonavo dal vivo semplicemente
accompagnandomi con la chitarra; e in questa versione l’abbiamo registrata, in presa diretta.

Mi è piaciuto molto sentire la voce che gioca un ruolo preminente dei brani. Il tessuto sonoro
arreda la tua stanza, ma tu sei focale.

Come dicevo prima, la canzone d’autore è innanzitutto una narrazione di storie con un vestito
musicale adeguato. Gli arrangiamenti sono fondamentali – qui il lavoro di Simone è stato
determinante – ma non devono soffocare la voce narrante. Anche nei live raccomando sempre al
fonico di far sì che le parole rimangano in evidenza.

Tuo figlio Simone ha avuto un ruolo principale nell’album. Sono curioso di sapere che dinamiche
avete avuto. Hai portato a lui delle idee già abbastanza definite o solo degli accenni di canzoni?


Il lavoro dell’arrangiatore e del produttore artistico, sempre cruciale, nella canzone d’autore lo è se
possibile anche di più. Basti pensare ad esempio al ruolo che ha avuto Daniel Lanois in alcuni
album di Bob Dylan. Nel mio caso, porto a Simone dei brani completi, eseguibili anche voce e
chitarra, come li ho composti. Poi, certo, su disco le canzoni assumono una complessità che le
arricchisce e in qualche modo ne svela le intenzioni nascoste. Considera che la composizione alla
chitarra acustica tende sempre a sfornare ballate. Nel primo disco ci sono due brani che
esemplificano molto bene quanto vado dicendo. La canzone del papalo egiziano diventa un rock
elettrico molto “tirato; e Sulla strada diventa una bossa nova molto orecchiabile. Simone ha voluto
sottolineare questa trasformazione inserendola come ghost track alla fine del disco, dove appare
nella versione “nuda”, chitarra e voce, che gli avevo fatto ascoltare in sala prima che la arrangiasse:
una bellissima idea, in qualche modo didattica, che mostra l’importanza del ruolo del produttore
artistico nella nascita di un lavoro discografico. In Passaggi c’è un blues a cui sono molto
affezionato, Ballata di un uomo solo. Eseguito chitarra e voce ha la rude semplicità di tutti i blues;
con i soli di chitarra elettrica di Simone e di pianoforte elettrico di Mattia Carrara assume una
pienezza e una drammaticità che lo dignificano al massimo grado.

Che musica ascoltavi durante la realizzazione di Passaggi? Che libri leggevi? Che film
guardavi? Cosa ti ha colpito che hai riportato nell’album?


Non è facile e al tempo stesso è semplice rispondere a questa domanda. Infatti abitualmente ascolto
molta musica, di tutti i generi; leggo molto, dai romanzi ai saggi relativi al mio lavoro clinico; e
guardo regolarmente film, soprattutto classici della storia del cinema. Aggiungo che, avendo
composto gran parte dell’album durante lo sciagurato periodo della pandemia, in cui eravamo tutti
reclusi, musica, letture e film sono stati una consolazione necessaria. C’è un brano, Crown power,
che racconta in modo surreale e ironico lo strapotere del(la) Corona(virus) nelle nostre vite.

Hai avuto il desiderio di portare le tue storie a teatro o dare loro un’altra veste oltre quella della
forma canzone?

Se intendi la strutturazione del mio lavoro nella forma del teatro-canzone – come fece Giorgio
Gaber, per intenderci –, non ci ho mai pensato. Poiché però i teatri e gli auditorium sono i luoghi
elettivi perché si possano ascoltare con la dovuta attenzione le storie che racconto, per la
presentazione di Passaggi ho scelto il Teatro Garbatella, dove peraltro nel 2019 Francesco De
Gregori aveva effettuato un fortunato tour urbano: un bel teatro delle dimensioni giuste, 250 posti,
dove chiunque, anche nelle ultime file, ha potuto ascoltare e vedere in tutta comodità. Mio figlio
Simone è venuto da Tenerife per arricchire con la sua chitarra elettrica il suono della band (Adriano
Piccioni alle chitarre; Fabrizio Sellan alle tastiere; Francesco Cognetti al basso; Piero Tozzi alla
batteria. Per l’occasione ho anche ingaggiato come corista la bravissima Ines Melpa). Poi, certo,
non sempre si può suonare in queste condizioni ottimali; ma tra i locali scelgo quelli dove si fa
musica, e magari si può anche mangiare qualcosa, piuttosto che quelli dove si mangia e la musica
viene presentata come un sottofondo: niente contro il piano-bar ma it’s not my cup of tea…

Invitaci ai prossimi appuntamenti live! E grazie!


Grazie a te, Fabrizio, per questa lunga intervista: se nelle risposte c’è, come spero, qualcosa di
sensato, il merito è delle tue domande, davvero pertinenti. Quanto ai progetti dell’immediato futuro,
ve li comunicherò puntualmente. Al momento so che il 16 febbraio suonerò, in una serata condivisa
con il cantautore Valerio Billeri – le collaborazioni sono un nutrimento prezioso – al Salotto di
Bouad Aire, un locale elegantissimo come la sua proprietaria e Musa e il cui Direttore Artistico
Vincenzo La Gioia, pur privilegiando una programmazione jazz, apre a generi diversi come la
canzone d’autore. Inoltre, e questo si collega alla domanda precedente, ho proposto alla Libreria
Eli, una delle realtà indipendenti della nostra città, delle lezioni-concerto sulla storia della canzone
d’autore in Italia: in pratica racconterò al pubblico come si è evoluta la nostra musica autoriale a
partire dalla rivoluzione de Nel blu dipinto di blu fino a… Luigi Turinese!
Alla prossima, ancora grazie per l’ospitalità.

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