Dublino, The Mezz, 13 agosto 2015
A volte succede. Succede che per caso ti imbatti in un video girovagando sul tubo e ti innnamori di una band. Che scopri essere in procinto di attraversare l’oceano per suonare in Italia quando sei all’estero per le agognate ferie. Che, dopo le date italiane, ti inseguiranno per esibirsi a pochi passi dal tuo alloggio! A questo punto capisci che diventa imprescindibile non mancare l’appuntamento. La data è quella del 13 Agosto, il luogo è Dublino, il gruppo è quello degli australiani Rumjacks, autori di un folk punk che molto deve agli autoctoni Pogues, ma anche ai Flogging Molly e Dropkick Murphys, pionieri di un rock celtico portato oltre confine. Un suono che affonda le radici nelle tradizioni popolari e che si contamina di irriverenza e orgoglio, di vitalità e senso di appartenenza, soprattutto nei contesti partoriti dalle grandi comunità di immigrati irlandesi e scozzesi d’oltreoceano, cui i 5 di Sydney fanno capo.
Con un suono dilagante scaturito da strumenti tradizionali della cultura gaelica che si infrangono nel ritmo di chitarre elettriche e batteria, la band sbarca in Europa per promuovere il loro secondo album ‘Sober And Godless’ che segue a distanza di ben 5 anni il disco di esordio ‘Gangs of New Holland’. Ed è racchiusa proprio in questo primo lavoro la traccia diventata il loro marchio di fabbrica “An irish pub song” che agli astanti, essendo in procinto di ascoltarli proprio in un pub di Temple Bar, farà un certo effetto. Il pubblico che affolla la sala nel seminterrato del Mezz è uno zoccolo duro di aficionados, in prevalenza skinheads e post punk di mezza età. L’apertura è affidata a The Lee Harveys, rockers dublinesi duri e puri dalle liriche politicamente impegnate. Dopo la loro intensa intro, i Rumjacks si presentano sul palco in perfetto orario (da sottolineare questo aspetto così poco rispettato in italia) e con il pubblico già abbastanza surriscaldato, complice anche la birra che scorre copiosa. La formazione è composta dal frontman Frankie McLaughlin alla voce e tin whistle, Johnny McKelvey al basso, Anthony Matters alla batteria, Gabriel Whitbourne alla chitarra elettrica, e l’eclettico Adam Kenny a tutti gli strumenti tradizionali quali mandolino, banjo, bouzouki, bodhrán e chitarra acustica. Reduci da una serie di date in cui si sono esibiti all’interno di rassegne e quindi al cospetto di un pubblico assai numeroso, questa location raccolta ci da la possibilità invece di godere di uno spettacolo molto intimo ma allo stesso tempo coinvolgente. Il ritmo è trascinante, la distanza azzerata, basta allungare un braccio e i 5 sono li, pronti ad offrirsi anche fisicamente ad una platea in delirio, che poga su ogni singola nota in un contesto gioioso da festa di villaggio. Vengono eseguiti quasi tutti i brani dei due album per due ore circa di un live contagioso, dove la gente alla fine si abbraccia e dove, al rito collettivo dei saluti, i 5 scendono dal palco mescolandosi al pubblico e continuando a intrattenerlo tra una chiacchiera e una… due… tre… quattro (?) pinte, sino a notte fonda. Se è vero che il pub in generale ha sempre rappresentato il centro della comunità e il luogo di aggregazione per eccellenza, mai quanto stasera la tradizione è stata onorata. Grazie ragazzi!
Claudia Giacinti
Setlist