Ott 162012
 

(powerHouse Books, 2003)

★★★★☆

Charles Peterson ha avuto la fortuna di essere la persona giusta al posto giusto nel momento giusto: non solo ha documentato con le sue foto la nascita e l’esplosione della scena alternativa di Seattle a cavallo tra anni ’80 e ’90, il cosiddetto “grunge”, ma ha decisivamente contribuito a forgiarne l’estetica e ne ha incarnato gli ideali, in un proficuo incontro tra giornalismo e arte. Le sue foto sono sulle copertine di molte fra le più importanti release delle band che quel movimento hanno animato, e in particolare sulla grande maggioranza di quelle targate Sub Pop Records, della quale era una specie di fotografo ufficiale (“the visual part of what happened in Seattle”, come lo definisce Jennie Boddy, allora addetto stampa proprio della Sub Pop).

Pubblicato nel 2003 e intitolato come il celeberrimo lato A del primo singolo dei Mudhoney, questo libro raccoglie 92 foto, di cui 80 fino ad allora inedite: troviamo ritratte, rigorosamente in un magnifico bianco e nero, band del calibro di Nirvana, Soundgarden, Mudhoney, Green River, L7, più alcuni fra i padri putativi più illustri della scena come Black Flag, Sonic Youth e Big Black. Non mancano scatti di alcune band, come Pussy Galore, Beat Happening o Dwarves, comunemente non associate al grunge, ma la cui presenza mostra la continuità e la comunanza di attitudine e di valori di tutto il rock alternativo americano degli anni ’80 con il grunge stesso, che di fatto fu la punta dell’iceberg (nonché il canto del cigno) di una controcultura musicale già diffusasi in tutto il paese lungo il decennio reaganiano, e di cui erano attori con pari grado band e fan: stessa estrazione sociale, niente distanza tra chi suona e chi ascolta (un aspetto evidente in queste foto), niente divismo.

La forza di Peterson sta nella sua capacità di catturare l’energia e cristallizzare il disordine creativo espresso da musicisti e pubblico: le foto migliori infatti sono quelle scattate nei piccoli club, in mezzo al pubblico che poga, o i primissimi piani dei volti o di altri dettagli. Non importa se l’inquadratura o il fuoco siano imperfetti, o se la foto sia mossa. Ogni scatto riesce a trasmettere il sudore, la dinamica e la forza emotiva sprigionati dalla musica, mostrando i volti di chi è sul palco deformati in espressioni di foga, di adesione mistica al demone rock. Dalla stessa foga è rapito chi è sotto il palco, spesso colto con il volto diviso tra ammirazione e puro divertimento, o intento in un liberatorio crowd-surfing sulla folla oceanica di un festival. Altre foto mostrano i musicisti fuori dal palco, e spesso sono ritratti ironici e divertiti, quasi a testimoniare l’ingenua inconsapevolezza con cui queste band hanno contribuito alla storia del rock, semplicemente travolte dall’urgenza di suonare.

“Touch Me I’m Sick” è un libro che celebra l’ultima volta che il rock è stato grande, un’epoca in cui per un attimo l’underground fu vincitore sul mainstream e in cui da una piccola città in un angolo dell’America si sprigionò un’energia musicale che ancora oggi non può dirsi esaurita né dimenticata.

Recensione di Andrea Carletti

Il sito ufficiale di Charles Peterson: www.charlespeterson.net. Nella sezione “Touch Me I’m Sick” sono visibili alcune delle foto tratte dal libro, e altre della stessa epoca che ne sono rimaste escluse.

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