Giu 252015
 

Remotti-CuranderoSlowcult vuole ricordare Remo Remotti, figura unica, inconfondibile, irripetibile della cultura della nostra città. Un Artista con la A maiuscola, pittore, poeta attore, performer, un giovane di 90 anni che abbiamo avuto modo di conoscere ed apprezzare direttamente in occasione della slowfesta ‘AromadeRoma‘ del 26 ottobre 2012 all’Init, protagonista di una performance esilarante, trasgressiva ed irriverente, come sua abitudine, un intervento per noi indimenticabile da un personaggio del quale già sentiamo la mancanza. Attore fra i prediletti del primo Moretti, ma anche di Marco Bellocchio, Scola e Soldini ed altri ancora. Chi ha avuto la fortuna di assistere alle sue esibizioni sul palco del Beba do Samba, quando amorevolmente maltrattava il partner-spalla-vittima predestinata-complice Emanuele Curandero,  oppure al recital nella rassegna ‘Cinema di Raccordo’, ospite di Ken Loach, ricorderà l’energia, la vitalità, la graffiante ironia ed al contempo il lirismo dei suoi spettacoli. Il talking del brano ‘Mamma Roma Addio‘ racconta meglio di qualsiasi reportage o studio sociologico le trasformazioni della città di Roma negli ultimi sessant’anni. Non risulti ardito l’accostamento alle pagine di Pasolini o ai fotogrammi della Grande Bellezza  Suggeriamo ai meno esperti ed ai neofiti anche l’ascolto dei suoi CD, che ben testimoniano la vena creativa e la forte propensione alla contaminazione tra i generi. Un’avanguardia, una colonna romana, un puttaniere pacifista, un pezzo della nostra storia contemporanea. Di certo Roma oggi piange uno dei suoi figli più brillanti, contraddittori, acuti e geniali.

Fabrizio Forno

REMONel campo artistico, è tristemente consuetudinaria l’usanza di preparare, con adeguato anticipo, i coccodrilli giornalistici da utilizzare come commemorazione nei confronti di personalità giudicate prossime alla dipartita. C’è da scommettere, che nel caso di Remo Remotti, quell’articolo non ce l’aveva pronto nessuno, considerando la vitalità dimostrata fino all’ultimo da questo artista ultranovantenne che, a parte l’età avanzata, mai dimostrava di pensare, nemmeno lontanamente, all’evenienza della morte. Poi, d’improvviso (almeno per il pubblico), Remo se n’è andato, lasciando Roma orfana di uno degli ultimissimi esponenti della cultura locale, lui romano verace che nulla c’entrava con il romanismo vorace degli scandali e di mafia capitale, quasi un passaggio di consegne tra uno dei simboli della città eterna di un tempo che oggi sprofonda nello squallore del malaffare che sembra regnare incontrastabile sulle sponde del Tevere. Remotti aveva compiuto novant’anni a dicembre, nella sua lunga carriera si è cimentato nell’arte a tutto tondo, dalla pittura alla poesia, sia in campo teatrale che cinematografico, fino alle comparsate nei programmi televisivi dei tempi recenti, senza dimenticare la componente musicale, con concerti che diventavano veri e propri reading interpretati da Remotti che metteva in musica (assieme ai Recycle ed altri complessi locali) i propri versi composti nell’arco di una vita, con il consueto stile ruspante ed un gusto per la provocazione inderogabile dalla personalità del personaggio, riuscendo a disegnare spaccati di vita quotidiani intramontabili come la splendida “Mamma” Roma, addio!, vera e propria summa del Remotti pensiero densa di ricordi personali e scevra da qualsiasi campanilismo di facciata. Tra le sue esibizioni cinematografiche, oltre alle collaborazioni con cineasti del calibro di Scola, Bellocchio, Mazzacurati ed i fratelli Taviani, Remotti andava fiero del cameo come cardinale nel Padrino parte III di Francis Ford Coppola, ma è impossibile dimenticare il sodalizio umano e lavorativo formato con Nanni Moretti, iniziato con Sogni D’oro (1981) con Remo nei panni di un eccentrico Freud, proseguito poi con Bianca fino ai fasti di Palombella Rossa. Avvolto nelle pagine dell’arte, l’inguaribile donnaiolo Remotti aveva appunto festeggiato i suoi novant’anni con la mostra Ho rubato la marmellata (dal titolo di un suo libro) nell’amata Roma, tra quadri e sculture figlie di un apprendistato iniziato a cavallo della seconda guerra mondiale con un viaggio in Perù, in un’alternanza tra la madrepatria e la Germania, prima di rientrare definitivamente alla base e dedicarsi alla letteratura ed alla poesia, intraprendendo in seguito la carriera cinematografica ed infine quella di cantante, o meglio di “cantore”, sorta di aedo di una Roma popolare e popolana sempre più distante dal cuore dei romani, che in quest’inizio d’estate non potranno far finta di sentirsi, con malcelata commozione, un po’ più soli.

 

P.s.: Remo Remotti, oltre ad essere uno degli ultimi simboli rimasti di una Roma che non c’è più, era intervenuto anche ad una nostra Slowfesta, animando la serata con una delle sue consuete performance sulfuree. Un ulteriore motivo per ricordarlo. Ma soprattutto, colui che ha redatto questo ricordo ebbe la piacevole sorpresa di trovarselo dinanzi, una domenica mattina di un febbraio di cinque anni fa… in un incontro casuale dentro un negozio, che divenne l’occasione per una rapida chiacchierata con un arzillo vecchietto che dava perennemente l’impressione di vivere ancora per chissà quanto nonostante l’età, uno di quelli che, come si dice a Roma, sembravano convinti che a loro “nun je toccasse mai d’annà prima o poi all’altro monno”. L’incontro si concluse con una promessa del buon Remo di consegnare al sottoscritto uno dei suoi ultimi libri. Inutile dire che quell’incontro non si replicò mai, visto che Remo aveva tanti progetti per la testa e difficilmente avrà ripensato a quel fugace scambio di battute con un ragazzotto che tanto lo apprezzava. Ma il tempo di una foto non ce lo tolse nessuno, e quella che vedete qui è un’istantanea attinta dai ricordi personali di chi scrive. In ricordo di un artista vero che era anche una persona rara.

Fabrizio 82

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