Giu 062013
 

La Grande Bellezza, di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Carlo Verdone, Carlo Buccirosso, Sabrina Ferilli, Pamela Villoresi, Iaia Forte, Galatea Ranzi, Roberto Herlitzka, Giorgio Pasotti, 150 min. – Italia, Francia 2013 .

★★★★☆


La Grande Bellezza è un film che merita un ampio approfondimento, soprattutto perché va riconosciuto a un grande autore e regista come Paolo Sorrentino, il giusto e meritato valore artistico. Non sono molti registi italiani che esprimono lo stesso coraggio narrativo ed estetico. Nei suoi film ci sono sempre azzardo e originalità non comuni, che generano, come in questo caso, giudizi in totale contraddizione tra loro. Gli aggettivi con cui i critici hanno definito il film sono molti e, a mio avviso, non sufficienti a raccontare un’opera che offre diversi livelli di interpretazione. Film decadente, onirico, Felliniano, retorico, evocativo, ambizioso, vuoto; Paolo Sorrentino ha scritto e girato osando molto, in qualche caso sfiorando la retorica, come un audace pilota che si lancia in picchiata, sicuro di poter virare all’ultimo momento creando la sorpresa.
Per tutte queste ragioni ritengo necessario e anche interessante, esprimere sia le mie prime impressioni che le successive riflessioni, quelle a cui sono giunta in seguito: sono convinta che mai come in questo caso, siano possibili due approcci mentali entrambi veri. In realtà solo Sorrentino può raccontarci questo film. Di certo ci ha offerto materiale per riflettere e questo è il valore di un’opera d’arte e conferma il suo talento, la sua sensibilità e la sua intelligenza.

Estetica di un’idea. La Grande Bellezza è un film costruito in quadri: sequenze montate con il gusto estetico dell’improvvisazione. Come una sequela di magnifici scatti fotografici, arricchiti di musiche e parole, che hanno il compito di guidare lo spettatore. In particolare è pieno di simbolismi, che scena dopo scena, fermano e confermano un pensiero.
All’inizio del film un coro intona il Dies Irae, un testo latino che descrive il giorno del giudizio, dove i buoni saranno salvati e i cattivi condannati al fuoco eterno. Più volte durante il corso del film tornerà la voce narrante del protagonista a confessare i suoi vizi e le sue aspirazioni megalomani, mentre passeggia nelle strade di una Roma splendida che sfoggia tutta la sua bellezza architettonica e la sua storia. Poi l’epilogo con l’apparizione dei fenicotteri rosa, che nella simbologia mistica indicano il passaggio dalle tenebre alla luce, sulla terrazza, alla presenza di una suora santa che predica verità e povertà. Un film che snocciola, uno dopo l’altro, teoremi e giudizi etici sulla società e sui sentimenti che rasentano l’ovvio. Patetici e grotteschi personaggi del nostro tempo trasformati in ridicole macchiette che pur tentando, non arrivano a quell’amara crudezza cui aspirano. Restano figure piatte da rotocalco. Poco interessanti e senza spessore, tracciate a grossolane pennellate da un pittore che, forse, desidera infierire, e condannare in modo sottilmente arrogante. Jep Gambardella, il protagonista, è dentro ed è oltre questo futile mondo vuoto, egli lo guarda, lo riconosce e consapevolmente resta.
«Lo ammetto: io non ho speranza. Il cieco parla di una via di uscita. Io ci vedo. Quando tutti gli errori sono esauriti l’ultimo compagno che ci sta di fronte è il Nulla». Bertold Brecht.

Poetica della speranza verso l’essenziale: l’amore. Qualunque sia la nostra vita, tutti noi restiamo intrappolati dalle nostre opinioni, condannati a distinguere continuamente tra il bene e il male senza fermarci a pensare che la vita invece, così come le persone, sono espressione di una molteplicità di sfumature meno definibili che si mescolano tra loro. Jep Gambardella, il protagonista della Grande Bellezza racchiude tutta questa complessità. È un personaggio che affronta la verità delle illusioni, un cinico narcisista pieno di generosa umanità, capace di individuare la bellezza lì dove abbiamo smesso di cercarla. Non negli splendidi palazzi signorili, nelle feste mondane, nelle affascinanti donne che lo corteggiano, la bellezza è nascosta tra le pieghe della quotidianità: silenziosa e sempre presente. È il candore di un viso di bambina, gli spensierati giochi infantili, sono le voci gentili, gli abbracci, le parole e i gesti d’amore. L’amore è l’unica Grande Bellezza, l’amore che torna dentro un ricordo e che fa affiorare la nostalgia di chi eravamo, prima che il mondo ci corrompesse, trasformandoci in patetiche figure che cercano di sopravvivere. Il frastuono assordante delle feste, pieno di scomposta euforia non copre quello più lieve e a tratti dolcemente malinconico dello scorrere del tempo: il suono della morte, una melodia soave e struggente allo stesso tempo. Così come nelle feste si celebra la vita o per meglio dire, la vitalità dell’esistenza nella ricerca di un divertimento spinto all’estremo, allo stesso modo, il silenzio di chi è solo o di chi si sente solo, si apre alla spaziosità del mistero: a una dimensione più profonda e più semplice. Ci sono echi della Dolce Vita di Fellini malinconici e anche grotteschi, ma sono solo il sottofondo, un pretesto allegorico oserei dire, puramente estetico.
In questo film Paolo Sorrentino racconta la decadenza inconsapevole di una società a lui molto familiare, ma anche la solitudine e il vuoto di cui siamo tutti quanti vittime, in una spirale autodistruttiva. Ci facciamo del male per stare bene. Dimenticando che la morte a un passo da noi, accanto a noi, racconta di un dolore che non vogliamo conoscere. Un dolore che pensiamo appartenere ad altri, ma che solo accettando ci permetterà di essere in contatto con la vera bellezza totalizzante della vita.
«Tutto quello che so, l’ho imparato dall’amore.» (Lev Tolstoj)

Recensione di Costance

  One Response to “La Grande Bellezza”

  1. La migliore recensione che ho letto,complimenti. Ho letto un sacco di scemenze nessuno che abbia scritto cose interessanti

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