Ott 172016
 

bobdylanE se tutto il cosiddetto mondo culturale si stesse accapigliando soltanto su una bieca mossa di marketing pseudoculturale? Se tutto questo affannarsi a commentare, soppesare, disquisire, approfondire, valutare e sentenziare fosse soltanto quello che cercava il comitato dei Nobel che da anni premia autori sostanzialmente irrilevanti a livello artistico e culturale?

Possibile che nessuno abbia pensato che premiare Dylan potesse essere più importante per il premio che per il premiato? Sono giorni e giorni che tv e giornali di tutto il mondo non parlano d’altro: se questo era l’obiettivo è stato certamente centrato.

Il nocciolo della questione non è tanto capire se il Nobel per la letteratura a Dylan abbia un senso logico e/o sia “accademicamente” corretto, queste inutili, ipersoggettive e tristissime valutazioni le lascio a quel poverino di Baricco e a quel cazzone di Irvine Welsh che hanno perso una magnifica occasione per tenere la bocca chiusa, il nocciolo è il momento in cui questo riconoscimento arriva.
La motivazione con cui il Comitato ha premiato Dylan:“Per aver creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana” se è da prendere alla lettera, arriva con almeno di trent’anni di ritardo.
Questa affermazione, me ne rendo perfettamente conto, è tutt’altro che personale e/o originale. Lo so, ma in molti sembrano averlo dimenticato e quindi lo sottolineo.
In un magnifico libro, una raccolta di interviste di Bill Flanagan (“Scritto nell’anima, Arcana, 1987), Joni Mitchell dichiarava: “La prima volta che ho sentito Dylan cantare “You got a lotta nerve” ho pensato: evviva, la canzone popolare americana è cresciuta, ha tutte le strade aperte di fronte a sé. Adesso è legittimo scrivere su uno qualsiasi degli argomenti che tratta anche la letteratura”.
L’intervista è del 1985, quindi, come ho già detto, più meno trent’anni di ritardo.
E qui subentra il nocciolo di cui parlavo prima: perché ora?
Il comitato del Nobel si è assopito per tre decadi? Ci hanno provato tantissimo ma soltanto ora hanno capito il valore dell’opera immensa di quest’uomo che in un’epoca di ipercomunicazione ha fatto del silenzio fuori dal palco una sorta di nuova religione? Su quali basi si decide l’assegnazione? E’ necessario che un autore abbia almeno settant’anni? Occorre che abbia un piede e mezzo nella fossa perché se poi l’autore in questione ha troppo tempo davanti si rischia che si sputtani e dare il Nobel a uno che si sputtana non è cosa buona e giusta? O premiare un autore che è amato e conosciuto più di Gesù Cristo (copyright John Lennon) da più visibilità, risonanza, post e tweet al Nobel che al Nobellizzato? Oppure non è un caso che dopo vent’anni dal Premio a Fo il comitato avesse voglia e necessità di un po’ di polemiche gratis?
Oppure, e questa è l’ipotesi che più mi intristisce, il comitato valuta che sia opportuno attendere il diluirsi, lo spegnersi del potenziale eversivo di un artista. Trent’anni fa il mondo non somigliava neppure lontanamente a quello in cui viviamo ora: premiare Dylan per ciò che ha fatto in quel mondo (e, guarda caso, vale anche per il Fo di vent’anni fa) equivale a disinnescarne definitivamente la virulenza, la forza e il residuo potenziale esplosivo.
Forse non è una metafora molto azzeccata ma quando ho avuto la notizia ho pensato a quelle persone che vivono con una pallottola in corpo perché non la si è potuta estrarre. Il proiettile è rimasto dentro di loro, magari vicino ad un organo vitale e si è deciso di non estrarlo perché troppo rischioso e dopo decenni si è sistemato, ha trovato un suo spazio, magari si è coperto di grasso corporeo e non da più fastidio. Quasi quasi il proprietario gli si è affezionato.
Ecco, ho pensato che Dylan fosse quel proiettile. Ormai l’impatto è stato assorbito dal corpo/società e si può anche ricordarlo con affetto, come fosse un vecchio zio eccentrico.
In queste giornate in cui la coincidenza della morte di Fo e il premio a Dylan hanno addirittura conquistato le prime pagine dei giornali, mi è capitato di vedere un filmato della premiazione di Fo.
La motivazione del suo premio era stata: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.
Vederlo su un palco in abito acconcio, praticamente un pinguino, rivolgersi a re, regine, principi e principesse (mancavano soltanto vassalli, valvassori e valvassini) chiedendo loro, quasi implorando, di aiutare il teatro satirico fu un atto di trasversale e involontaria resa che contraddiceva la stessa motivazione del premio.
In altre più semplici e dirette parole: se ti danno il Nobel e lo accetti significa che ormai il sistema e l’industria culturale ti hanno mangiato, digerito e, pardon, ricagato con soddisfazione.
Tutto il resto sono chiacchiere al vento.
So che questo può sembrare il punto di vista di uno che non vincerà mai il Nobel e si mette a fare il maestrino invocando una purezza irraggiungibile, ma ricordo con immensa gioia un Oscar a Marlon Brando ritirato da una rappresentante dei nativi americani.
Forse essere frontisti, duri e coerenti non è impossibile.
Tra circa due mesi si terrà la cerimonia di premiazione, vedere la faccia di pietra di Dylan ritirare dalle mani del re di Svezia la pergamena e il robustissimo assegno del premio sarà sicuramente uno spettacolo da non perdere.
Se invece decidesse di non andare evitando di farsi canonizzare in vita, lo spettacolo sarebbe ancora migliore: mi sembra il caso di ricordare sottovoce, piano piano (copyright Marzullo) che, senza ombra di dubbio, quei soldi vengono dalle tasche di uno dei più famosi e straricchi tra i Masters of war. Certo, morto da tempo, ma di sicuro un Master of War.
Un’ultima cosa, marginale ma non troppo. Se qualcuno vuole fare un’opera di carità, vada in una libreria, compri due copie di una raccolta di testi di Dylan (se ne trovano molte, anche buone) e le spedisca a Baricco e Welsh.
Forse vedendole scritte e non cantate riusciranno a capire che le liriche di Dylan hanno enorme valore letterario a prescindere dalla musica che le accompagna. Vista la loro rozzezza nell’approccio al tema non è detto, però ci si può provare.

Daniele Borghi

  One Response to “Il Nobel a Dylan”

  1. Grazie di queste tue riflessioni, anche io sento il bisogno di rileggermi i testi di Dylan
    ieri su La Repubblica questo articolo illuminante di Silvia Ronchey: http://www.silviaronchey.it/articolo/6/734/Bob-Dylan-un-classico-universale-La-sua-voce-la-liturgia-dei-nostri-tempi/

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