Mar 142016
 

Don Wislow, Il cartello. Einaudi, 2015. 882 pag. 22 euro

Traduzione: Alfredo Colitto

★★★★☆

Don Wislow, Il cartelloVolendo restringere il campo di una recensione ad una sola frase, non si potrebbe fare nulla di meglio che trascrivere lo stringato commento di James Ellroy che compare sulla copertina di questo libro: “Il cartello” è il guerra e pace della lotta alla droga.
Volendo andare oltre questa forma di estrema sintesi ed aprire il ventaglio delle valutazioni, il discorso si fa ben più complesso e articolato, coinvolgendo molti piani di analisi, sia dal punto di vista puramente letterario che divulgativo-giornalistico. Innanzitutto, di questi tempi, non è usuale avere tra le mani un volume di circa novecento pagine e la sorpresa, man mano che si avanza nella lettura, la si ha capendo che non c’è una sola virgola in più del necessario, che l’autore non perde il controllo di questa gigantesca macchina narrativa per un solo rigo e che, alla fine, si è sorpresi di non essersi annoiati neppure per un momento..
E tutto questo, si badi bene, non per un classico caso da voltapagina compulsivo, ma per il piacere della lettura in sé, per la capacità di narrazione dell’autore. Per il come, non solo per il cosa.
E il soggetto della narrazione, il cosa, è di grande interesse. Un cosa corposissimo e denso che va molto oltre la storia della lotta al narcotraffico, tanto inutile quanto sanguinosa e delle infinite battaglie tra i vari cartelli. Il corpo vero di quest’opera monumentale è la storia di una ossessione e questo, al contrario di quanto pensa Ellroy, la fa somigliare più a “Moby Dick” che a “Guerra e pace”. Esattamente come nel capolavoro di Melville, la narrazione è guidata e spinta ad alta velocità dall’ossessione del protagonista, quell’Arthur Keller già protagonista de “Il potere del cane”. E che sia una ossessione e non una “missione”, un incarico o un lavoro, lo chiarisce l’autore già all’inizio del libro con una frase tanto banale quanto illuminante.
“La cosiddetta Guerra alla Droga è una porta girevole. Elimini un tizio e subito un altro occupa la sedia rimasta libera a capotavola. Le cose non cambieranno mai, finché esisterà questo insaziabile appetito per le droghe”
Partendo da questo presupposto è lapalissiano come il motore di tutto sia una ossessione, un correre incontro ad un treno che non vuole e non può fermarsi. La vita di Keller non è dedicata alla lotta contro i cartelli e contro il suo più acerrimo nemico che è Adan Barrera (la sua personale balena Bianca), la vita di Keller, pur nella consapevolezza di una sostanziale inutilità, è la lotta alla droga. A dispetto del buon senso e della ragionevolezza.
Pur non scrivendolo mai da voce narrante, il messaggio di Wislow è chiarissimo: la guerra al traffico di droga non ha nessuna speranza di essere vinta. E a dirlo è certamente una persona che conosce a fondo il problema, con i suoi risvolti, contraddizioni e lati più o meno oscuri. La conoscenza del fenomeno, infatti, trasuda da ogni pagina, da ogni frase. Wislow non ha inventato una “storia” sulla droga: ne ha raccontato la realtà usando dei nomi e delle situazioni non realmente accadute nel particolare dei singoli fatti ma narrandone la vera essenza. Questo, va sottolineato, è anche un fatto di rilevanza giornalistica. In Messico, negli ultimi anni, per situazioni legate più o meno direttamente alla guerra tra cartelli ci sono stati, a seconda delle stime, tra gli 80.000 e i 100.000 morti e più di 22.000 desaparecidos.
O io sono molto distratto oppure se ne parla pochino, e quel che fa l’autore con la “scusa” di un romanzo d’azione è proprio puntare i riflettori su questa semisilente carneficina. Quella in atto è una vera e propria guerra, una guerra in cui i diversi cartelli si alleano, si scontrano, si tradiscono e si rialleano vorticosamente, dando luogo a vere e proprie mattanze in cui efferatezza, crudeltà e totale disprezzo per la vita umana raggiungono livelli impensabili.
Prima che a qualcuno salti in mente di dire la solita frase: “Finché s’ammazzano tra loro…” sarà meglio precisare che circa il settanta per cento di queste vittime sono estranee al traffico di stupefacenti. In Messico non è più una questione di scontri tra bande, l’intera società è devastata da questa guerra. A volte, leggendo “Il cartello”, si ha la sensazione che Wislow esageri, che cerchi di rendere la situazione ancora più drammatica di quel che è, ma se si cerca di approfondire la questione con letture mirate, ci si rende conto che sta solo facendo cronaca, non sta affatto calcando la mano. Forse (e scrivo forse soltanto perché non c’è controprova, per amore di onestà intellettuale) la chiave di lettura di tutto l’aberrante fenomeno, ce la racconta proprio il “Re” dei trafficanti, quell’Adan Barrera che il protagonista insegue e cerca di catturare. Quelle che sono le sue parole, rivolte proprio a quel Keller che è il protagonista ed “eroe” del romanzo.
“Tu credi davvero che a qualcuno importi sul serio della cosiddetta guerra alla droga? A qualche poliziotto di strada, forse, E a qualche crociato di medio livello come te. Ma ai livelli alti di governo e finanza? Le persone serie non possono permettersi di combattere seriamente la droga, specialmente dopo la crisi del 2008, quando l’unica fonte di liquidità era il denaro della droga. Se ci distruggessero, per l’economia sarebbe il tracollo finale. Hanno abbandonato la General Motors, non noi. E adesso? Pensa ai miliardi di dollari investiti in proprietà immobiliari, azioni, aziende start-up. Per non parlare dei milioni di dollari generati da questa “guerra”: armi, produzione varia, aerei, sorveglianza, costruzioni di carceri. Credi che il mondo degli affari lascerà che tutto questo si fermi?”
Wislow ha scritto un grande romanzo. Certo, può non piacere il genere, può non piacere il taglio che ha deciso di dargli, può infastidire la figura di Keller e quasi tutti i personaggi soffrono di mancanza di chiaroscuri, sono monolitici e tagliati con l’accetta, ma i meriti sono senz’altro superiori ai difetti che ognuno, a seconda delle inclinazioni personali, può imputargli.
Volendo essere pignoli si potrebbe dire che il plot, ricalcando strutture ipercollaudate, non ha molta originalità, ma la citazione di prima (pag. 737) ha una sua evidente trasparenza, e se il prezzo da pagare è quello di andare ad arpeggiare sulle corde più facili da far vibrare, per questa volta farò finta di non essermene accorto.

recensione di Daniele Borghi

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